venerdì 24 gennaio 2014

disturbo ossessivo-compulsivo di personalità



Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità fu la diagnosi che seguì la prima seduta di psicoterapia, ormai otto anni fa. Non ero lì per i problemi con il cibo ma per dei disturbi d’ansia che all’epoca, benché avessi solo quattordici anni, mi torturavano quotidianamente impedendomi di vivere una vita normale e costringendomi a negarmi i divertimenti tipici di quell’età, come i pomeriggi al centro commerciale e le serate al cinema o in qualche pub.
Appena entravo in un centro commerciale perdevo totalmente la percezione di me stessa e mi ritrovavo a guardare il mio corpo dall’esterno, mi vedevo muovermi con lentezza estrema, a scatti, e interagire con il resto del mondo come se ci fosse una spessa cortina di nebbia tra me e gli altri. La depersonalizzazione poteva durarmi per giorni e non abbandonarmi mai: in classe, anche durante le interrogazioni, a tavola con la mia famiglia, a danza…L’unico modo per riappropriarmi del mio corpo era chiudermi nella mia stanza, accendere la musica o sedermi al pc a scrivere racconti e sognare di vivere altre vite, diverse dalla mia. 

Lo psicologo, comunque, mi spiegò che alla base dei miei problemi c’era un disperato bisogno di controllo e di autocontrollo. Ecco perché quand’ero da sola, o in luoghi conosciuti, con persone amiche, stavo bene e non appena mi trovavo in mezzo alla folla ero colta dall’ansia: inconsciamente avrei voluto che tutte le persone che entravano e uscivano dai negozi, che salivano e scendevano lungo le scale mobili, che urlavano a gran voce, seguissero un ordine prestabilito. Il loro disordine mi destabilizzava, il fatto di non sapere quale direzione avrebbe preso tutta quella gente mi faceva sentire inquieta, agitata e quasi minacciata.
Tutti noi abbiamo delle piccole manie, delle piccole personalissime fisse che agli occhi degli altri possono risultare assurde, ma io vivevo intrappolata in un’intricata serie di ossessioni: gli oggetti avevano ciascuno un posto specifico in camera e se non li disponevo in base a questo preciso schema mentale non potevo fare nulla, né dormire, né uscire.
Quando cominciai ad avere problemi col cibo non feci altro che applicare la mia piramide di fisse ad un campo nuovo e ad inventarmi tutta una nuova serie di ferree abitudini. Mi pesavo sempre alla stessa ora, nella stessa posizione. Facevo sempre lo stesso numero di addominali, cercando di impiegare lo stesso tempo, e se sbagliavo qualcosa ricominciavo daccapo. La sera disponevo gli abiti per l’indomani sulla sedia, con maniacale precisione, e su un blocco marrone scuro prendevo nota di ogni caloria ingerita, comprese quelle del caffè (non zuccherato) e del dentifricio che mi fosse capitato di mandar giù per sbaglio.
Comunque, nel mio caso non si parlò mai di anoressia o bulimia nervosa. Era soltanto un’altra manifestazione del mio disturbo ossessivo compulsivo di ipercontrollo, come sistemare vestiti, pastelli, libri e gioielli in rigorosissimo ordine di colore o dividere gli oggetti sulla scrivania per quadrati tematici.
Lo so, sono pazza. Ma credo che la tendenza al controllo, sugli altri e su di sè, e la ricerca disperata di perfezione in ogni campo della vita siano alla base di ogni disturbo alimentare. Non si diventa anoressiche o bulimiche perché si vuole dimagrire, quello è soltanto l’aspetto esteriore di un vortice di ossessioni molto più complicato e la gente che liquida chi soffre di disturbi alimentari tirando in ballo i modelli sbagliati delle riviste e della tv è totalmente fuori strada.
Voi cosa ne pensate?

venerdì 17 gennaio 2014

Perché Euridice?



Euridice è la protagonista di un mito che mi ha sempre affascinata: bellissima (come tutte le eroine del mito, del resto le brutte chi se le fila?) e amatissima dal poeta Orfeo, muore prematuramente. Orfeo è talmente disperato e il suo amore talmente sincero che ottiene dagli dèi uno speciale permesso: gli viene concesso di scendere nell’Ade e recuperare Euridice, a patto che, nel ricondurla nel mondo dei vivi, non si volti mai indietro a guardarla. Naturalmente, invece, Orfeo non resiste alla tentazione e si gira, vanificando tutta la sua fatica e perdendola per sempre.

Io sono come Orfeo, ho sempre lo sguardo rivolto al passato: mi metto un vestito e penso a come mi stava bene quando portavo la quaranta, ma quando portavo la quaranta perdevo ore davanti allo specchio a rimpiangere il periodo in cui compravo solo la trentotto e quando compravo la trentotto pensavo ossessivamente alla gioia di essermi, un tempo, infilata in una trentasei, e così via.

La mia mente è piena di immagini di me passate che sono tutte più magre e più belle della me attuale, e non riesco a trasporre la nostalgia esistenziale su un piano costruttivo, non riesco a pensare “se sono stata così posso tornare così”, ma soltanto a dannarmi perché ho permesso a me stessa di vanificare la fatica fatta negli anni, a più riprese, e perché non ho approfittato davvero della mia magrezza (l’estate in cui pesavo quarantatrè chili, ad esempio, non mi sono quasi mai messa in costume perché mi vedevo enorme e quest’estate pesavo venti chili in più e ho realizzato che ai tempi ero davvero una cretina).

Il compito per la settimana è riuscire a vedermi magra anche nel futuro, e non soltanto nel passato. Io sarò la thinspiration di me stessa. E voi, avete qualche modello di magrezza?
Io vorrei essere così:



giovedì 9 gennaio 2014

se solo non esistesse il cibo



Ho una famiglia normale, amici con i quali sto bene, una splendida relazione di coppia, una carriera universitaria brillante. Sarei felice se solo non esistesse il cibo.


Non ho mai avuto un rapporto sano con il cibo, mai. Da che riesca a ricordare mi sono sempre percepita grassa, ho sempre desiderato dimagrire – lo inserivo nella lista dei propositi per l’anno nuovo già in prima media – e mi sono sempre sentita in colpa dopo aver mangiato (troppo). 


Certo, ci sono stati periodi in cui l’ingordigia ha avuto la meglio sulla forza di volontà e sono arrivata a superare i 75 kg, e periodi in cui mi imponevo digiuno, sessioni massacranti di esercizio e ore di ciclette e ho sfiorato i 43. Ho portato la 46 e la 38, sono stata la più grassa e la più magra della classe, ho sentito i rotoli di ciccia frapporsi tra me e le scarpe mentre allacciavo le stringhe e le ossa premere sui fianchi. Il denominatore comune di questa mia altalena che dura da dieci anni è un unico obiettivo, un’unica ossessione: dimagrire.


Sono stata bulimica, ho camminato in equilibrio sul baratro dell’anoressia, e sono riuscita a schivarla, almeno clinicamente – psicologicamente no, nella mia testa sono anoressica da anni – mi sono abbuffata senza ritegno mangiando biscotti e gorgonzola insieme e ho digiunato per giorni interi andando a dormire con la pancia strizzata dai crampi e la sensazione di fluttuare sul letto, con la pressione troppo bassa per sentirmi la terra sotto i piedi.


Ho fatto anche delle diete “vere”, quando ho realizzato che potevo dimagrire in modo sano e mi sono rivolta ad una dietologa – in tre mesi di cura sono ingrassata di tre kg, poi ovviamente non ci sono più andata – e ho fatto delle diete “vere” ma senza essere seguita da nessuno, come la Dukan. Almeno, mi dicevo, dimagrisco seguendo un regime alimentare meno rischioso dei digiuni e delle 500kcal al giorno e per di più senza fare fatica (rinunciare ai carboidrati, per una che era abituata a rinunciare anche allo yogurt, capite che sembra una sciocchezza).


Forse anche a causa dei pasticci degli anni scorsi, ormai il mio metabolismo è impazzito: mi alleno costantemente – camminate, ciclette, step, addominali – per almeno un paio d’ore al giorno, arrivando a bruciare anche 1500kcal, eppure da mesi non riesco a perdere neppure un grammo. Anzi, continuo ad ingrassare.


La guerra al grasso – per l’ennesima, e forse defnitiva, volta – è stata dichiarata. Ho solo bisogno di alleati e di motivazione, che per ora giace sepolta dal grasso.