lunedì 18 agosto 2014

"giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza"



Peso: 73,7 kg

La cosa brutta dello stare così male con se stessi è che si finisce per diventare odiosi anche con gli altri. Io sfogo la mia rabbia sulle persone che mi sono più vicine – il mio fidanzato, i miei genitori, l’amica più cara – mentre alle persone con cui sono meno in confidenza mostro sempre il mio lato più allegro e solare. È terribilmente ingiusto, lo so, ma so anche che con la maggior parte delle persone recito una parte e che solo con quei pochi che devono sorbirsi i miei sbalzi d’umore e la mia intrattabilità sono davvero me stessa.
Da qualche mese non ho voglia di fare nulla. Se dipendesse esclusivamente dalla mia (vacillante) volontà trascorrerei le giornate seduta alla scrivania a sfogliare svogliatamente un libro o a navigare pigramente su internet: facebook, mail, Blogger, Giallo Zafferano – “oh, come vorrei preparare questa ricetta per cena.” “Ma che dico? Sono già una palla di lardo ambulante, stasera bresaola di tacchino e pomodori sconditi.” – ancora facebook. A volte poi mi perdo a fissare il nulla per minuti interi, poi mi scuoto, mi arrabbio perché sto perdendo tempo, buttando via preziosi istanti della mia estate e perdo qualche altro minuto ad esaminare nella mente i motivi per cui sono una cretina: lavoro al mattino e vorrei dormire, quando non lavoro non riesco a dormire, non prendo impegni perché non ho voglia di fare nulla e a fine giornata mi maledico perché un’altra giornata è passata e non ho fatto nulla.
Non conosco i vostri gusti musicali perciò mi permetto di linkarvi una canzone di Guccini che rispecchia esattamente il mio stato d’animo di questo periodo, “Un altro giorno è andato”; la frase che mi tocca più da vicino recita: “Giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza.” Ecco, mi sembra che la maggior parte delle mie giornate non abbia senso, che se queste giornate non fossero esistite non solo non ne sentirei la mancanza, ma non me ne accorgerei neppure. Scorrono via come mare senza vento ed è già la seconda metà di agosto, l’estate sta finendo e io sono nella stessa condizione (fisica e mentale) di due mesi fa. Non posso neanche dire di essere triste, perché non sono davvero triste, sono troppo annoiata persino per essere triste, sono troppo annoiata.
Mi annoia lavorare, mi annoia non lavorare, mi annoia dover studiare per l’imminente sessione d’esami e mi annoia persino dover organizzare le serate. Non ho voglia di uscire, di pensare a come vestirmi, di mettere in ordine i capelli, supplire con abbondante fondotinta all’inesistente abbronzatura di quest’anno, di spendere soldi per drink che non dovrei bere, di vedere gente che mi dice che “sei troppo bella” e non si accorge che peso venti kg in più rispetto a quando ero troppo bella per davvero.
Però sono troppo stoica anche per abbandonarmi all’abulia totale. Una voce perentoria dentro di me mi rimprovera: “alza il culo ed esci.” Ed io obbedisco, perché non ho voglia di uscire ma ho ancora meno voglia di pentirmi di non essere uscita. Una parte di me non vuole uscire, una parte di me s’incazza con la parte di me che non vuole uscire. Forse sono bipolare. O sono semplicemente una pazza che ama languire nel dolore.
Il mio fidanzato me lo dice sempre. “Tu fai andare male le cose per potertene lamentare, decidi che un giorno dev’essere uno schifo e fai di tutto perché lo sia, così a fine giornata puoi dire che è stato uno schifo.” È vero, l’eroina tragica che è in me ha bisogno di potersi lamentare dello schifo che è la mia vita anche se la persona saggia e razionale che è in me (forse sono schizofrenica?) sa che la mia vita non è uno schifo: ho amici, salute quanto basta, denaro a sufficienza per togliermi più sfizi del necessario. Se volessi potrei godermi la mia estate e smettere di pensare così tanto e star male senza motivo.
Fosse facile. Voi lo sapete come e meglio di me: se la parte malata della nostra mente decide una cosa, la parte sana può fare poco per convincerla del contrario. Se la parte malata della nostra mente decide che siamo grasse, siamo grasse, e nulla può dissuaderci. Se la parte malata della mia mente decide che quest’estate fa schifo, che non ho nessuna ragione per sperare che oggi sia migliore di ieri e domani migliore di oggi, che sono brutta e antipatica e presto i miei amici se ne accorgeranno e mi lasceranno sola come merito, non c’è modo di liberarmi di questa convinzione.
Posso metterla da parte per qualche ora, posso decidere di uscire nonostante questa convinzione, posso persino provare a vedermi bella con un rossetto rosso fuoco e il total black che con i tacchi tredici toglie qualche chilo, ma non posso liberarmene e questo malumore dai confini incerti aleggia su di me da fine maggio. O forse da sempre, solo che in certi periodi si fa più spesso, come le nuvole prima di un temporale.
Sono le sei del pomeriggio, di un pomeriggio di metà agosto. Ho lavorato fino alle quattro ed avevo in programma di uscire con un’amica, invece sono salita sulla ciclette, ho pedalato fino alle cinque e mezza, poi le ho mentito dicendole che avevo appena finito di lavorare e s’era fatto troppo tardi per uscire, lei mi ha proposto un aperitivo, non le ho ancora risposto, fingerò di aver letto troppo tardi il messaggio e passerò le prossime due ore a meditare sulla mia cattiveria. Poi arriverà il mio fidanzato, cucinerà qualcosa di buono e io gli dirò che mi vuole grassa, litigheremo sul fatto che io non sono grassa, che sono fissata e che devo smetterla di volermi male. Sarà troppo tardi per uscire, ammazzeremo il tempo finchè non sarà ora di andare a dormire e io potrò pensare, mettendomi a letto, che “un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai passato e passerà.”
[Scusate lo sfogo così cupo, ma mi è sembrato il modo migliore per mettere ordine nei miei pensieri ingarbugliati e so che potrete capirmi.]

sabato 16 agosto 2014

propositi fuori stagione



Peso: 73,8 kg
Peso percepito: 120 kg.

Mi sento gonfia ed enorme, come se mi fossi rimpinzata senza tregua per gli ultimi dieci giorni. E un po’ è vero, nel senso che ho mangiato tantissimi carboidrati – pasta quasi tutti i giorni, pane e pizza per due sere su otto – ma anche molte cose sane, tantissimo pesce, ad esempio. Eppure dieci giorni senza addominali, senza step e senza ciclette mi hanno fatta diventare una gelatina flaccida. Ho la pancia molle che sporge dai pantaloni e io non ho mai avuto la pancia, né queste orrende braccione flaccide che fanno sembrare la mia testa microscopica se confrontata con il corpo.
La sproporzione è evidente, non sono fatta per essere così grassa. Guardo le foto della vacanza e l’enormità delle mie braccia sembra quasi frutto di un fotoritocco, “non possono essere davvero così grosse”, mi ripeto guardandole. Allo specchio non mi sembrano così gigantesche, non sembrano dei tronchi malamente appesi alle mie spalle ancora magre. Ed è assurdo che mi veda più grassa in foto che allo specchio, visto che di solito è il contrario. Perciò credo più alle foto che allo specchio, perché ai tempi in cui allo specchio mi vedevo come un’ippopotama tremolante di ciccia le foto erano l’unico mio appiglio alla realtà, riuscivo a guardarmi in maniera più obiettiva, a vedermi (quasi) come mi vedevano gli altri.
Fatto sta che sono enorme. Enorme e demoralizzata, che è la cosa peggiore. Basta una settimana di sgarri per vanificare mesi di sforzi: una settimana sopra le 1300 kcal, senza fare la mia consueta ginnastica (eppure ho camminato tantissimo anche questa volta, mi sono arrampicata su per le scogliere della costiera amalfitana, ho scarpinato sotto il sole a Pompei…) e rimetto i tre chili persi con enormi sacrifici. È la storia della mia vita: mi impegno per tutta la settimana, faccio sport e conto le calorie, e poi basta una cena fuori per mettere su un chilo o due.
Ma non posso continuare a vivere così, devo mettere fine a quest’inferno e fare pace con il cibo. Ormai è questione di poche settimane, si tratta solo di aspettare che il dietologo da cui voglio andare – anni fa seguì una mia amica che non doveva perdere molto peso (una decina di kg)  che si è trovata molto bene con lui, è dimagrita senza sforzi eccessivi e soprattutto non ha più ripreso il peso perso – torni dalle ferie e poi prenderò un appuntamento e mi metterò nelle sue mani.
Forse è un modo per deresponsabilizzarmi, ma ho bisogno che qualcuno più esperto di me mi dica se posso rimediare ai danni del passato, voglio che il mio corpo smetta di essere “a risparmio energetico” perché sono stanca di fare tutta questa fatica e pesare sempre più di settanta kg. Sono anche stanca di continuare a pesarmi, ma questa è un’altra storia e non credo che nessun dietologo possa darmi una ricetta miracolosa per liberarmi dalla schiavitù nei confronti della bilancia. Perché di schiavitù si tratta: qualche anno fa me la portavo dietro perché non mi fidavo delle altre bilance, neppure di quelle delle farmacie, e quindi la mettevo sempre in valigia, così da non dovermene separare neppure in vacanza. Ora, complice il fatto che la nuova bilancia è di vetro e non sopporterebbe un viaggio in valigia, non lo faccio più, ma ho la cattiva abitudine di sbirciare nei bagni della gente per scovare una bilancia che confermi o smentisca il parere della mia. Lo so che è un’abitudine malata e che è veramente maleducato mettersi a curiosare nei bagni degli altri, ma è più forte di me. È un po’ come quando mi infilavo di nascosto nella dispensa di mia zia per mangiare le tavolette di cioccolata nascondendo gli involucri: il DCA mi ha spinta e mi spinge ancora a fare delle cose che razionalmente non farei mai.
Ed anche di questo ne ho abbastanza.
Solo che non voglio arrivare all’incontro col dietologo grassa e flaccida come sono ora, perciò sotto con gli esercizi e largo alla bresaola di tacchino, al petto di pollo dell’Aia e alle insalate di pomodori. Voglio pesare meno di 70 kg quando salirò sulla bilancia di quest’uomo (anche perché temo che non avrebbe mai la sfrontatezza di darmi una dieta per perdere venticinque chili, e invece è proprio quello che voglio, quindi magari se arrivo da sola a 69 o 68 posso dirgli di volerne perdere quindici e fa meno impressione).
Un bacio a tutte.

domenica 3 agosto 2014

dimagrire senza "prenderci gusto" - la riflessione della domenica parte seconda




Ieri rileggevo un po’ di vostri commenti ad un mio post in cui mi lamentavo dell'eccessivo potere che ha la rassegnazione alla grassezza sul mio abuso del cibo, e che mi hanno indotta a riflettere su una questione: ammesso che io riesca a sbloccare il mio peso e a dimagrire, riuscirei per una volta ad essere soddisfatta del risultato, ad apprezzare il mio corpo e a rimanere stabile in un range di un paio di chili oppure, come è già capitato in passato, mi farei "prendere la mano" perdendo totalmente di vista l'obiettivo e sfogando nella dieta paure che non c'entrano affatto con il corpo e con il peso?

La mia paura è che, persi cinque, dieci o venti kg, non riesca comunque a tirarmi fuori da questo stato di perenne insoddisfazione e che il peso finisca per diventare una scusa, un campo in cui sfogare la mia rabbia, la mia frustrazione, senza provocarmi alcuna gioia, come mi aspetterei.

Mi conforta, almeno in parte, il diverso stato d'animo di partenza. Sei anni fa, quando cominciai a perdere peso in maniera incontrollata, il mio obiettivo non era dimagrire. Perdere peso era una sfida, ogni kg che perdevo erano attenzioni che acquistavo, ed inizialmente era a quello che puntavo: volevo che gli altri si accorgessero che io non ero la ragazza forte, allegra e solare che credevano che fossi. Volevo che mia madre capisse quanto potesse essere dannoso dirmi che le cose che mi mettevo mi stavano male perché avevo il culone, volevo che i miei amici smettesero di considerarmi la spalla su cui piangere e si preoccupassero per me.

Al desiderio di attenzione era poi subentrato il desiderio di annullarmi. Mi sentivo stanca come se avessi cent'anni anche se ne avevo appena diciotto, nella mia vita c'era solo la scuola - una scuola pesante, che mi rubava tutte le energie - e mi sentivo sola e inutile.

Ora, per fortuna, le premesse sono diverse. Ho incontrato persone che mi hanno aiutata, mi sono rialzata dal periodo più buio, sono mediamente soddisfatta della mia vita, anche se molto si può ancora migliorare. Ora non voglio dimagrire per annullarmi, né per attirare le attenzioni degli altri - Anzi, ora mi farebbe comodo non averle affatto, quelle attenzioni, e non temere di destare sospetti se salto la cena o se rimango più a lungo in palestra. - ma per stare bene con me stessa. Per volermi bene, per smettere di odiare il mio corpo, di percepirlo come un nemico, così squallido, così disgustoso rispetto alla mente, pulita, determinata, limpida.

Ricordo che questo pensiero mi ossessionava, nel periodo dell'anoressia: come potevano convivere in me una mente così forte e un corpo così debole, così attaccato a bisogni materiali disgustosi? Avrei voluto diventare come quei monaci buddhisti che non mangiano per giorni, non per dimagrire, ma per liberarsi dalla prigionia del corpo, per imporre il dominio della mente.

Ora, dicevo, mi sono liberata di molti di questi pensieri malati. Non credo più di meritare di sparire, non penso di dovermi chiudere in casa perché sono abominevole, non soffro neanche più di attacchi di panico con la frequenza di un tempo, ho ripreso ad usare la metropolitana, ad andare a ballare, a fare la spesa nell'ora di punta. Ora, credo, potrei fare una dieta sana, equilibrata, accettando il compromesso tra quello che vorrei ottenere io e quello che mi può consigliare uno specialista. Ora che il mio obiettivo è stare bene, amarmi come mi amano gli altri, vedere il bello che vedono gli altri in me, fare pace anche con i miei difetti, forse potrei anche dimagrire come hanno fatto diverse mie amiche, seguendo diete elaborate da persone esperte, concedendosi qualche sgarro, gioendo per i risultati anche minimi (ricordo di aver sminuito bruscamente il giubilo di una mia amica che si esaltava per aver perso un chilo dopo due settimane di cura dal dietologo perché a me sembrava troppo poco, sproporzionato e inutile rispetto ai sacrifici fatti).Ora, mi dico, potrei uscire da quel maledetto meccanismo del "tutto o niente" che ha regolato la mia vita negli ultimi anni. Del resto, gli errori del passato devono pure servire a qualcosa, o no?