mercoledì 24 giugno 2015

in tempi di crisi anche l'happy ending è a tempo determinato

Ieri ho dato l'ultimo esame della sessione, l'ultimo della magistrale, l'ultimo della mia carriera universitaria. Tra l'altro sono stata indecisa fino all'ultimo se presentarmi o meno - ho avuto solo sei giorni per prepararlo e il materiale era molto di più di quanto mi aspettassi: testi, appunti, una dozzina di saggi e articoli da (almeno) cinquanta pagine l'uno. Un compagno di corso che avrebbe dovuto darlo con me ha gettato la spugna e l'ha rinviato al sette luglio, ma per me ormai era una sfida - ma alla fine ho preso trenta e lode. Il voto è stato accolto dal laconico "mi fai cagare" del mio migliore amico che ho interpretato come dichiarazione di affetto. 
Per suggellare l'inizio ufficiale dell'estate - benché l'aver da lavorare alla tesi mini un po' l'ontologia della vacanza - io e S. abbiamo speso il nostro buono in libreria con l'impegno di comprare solo libri "di piacere". Non sono una da "romanzi da ombrellone" ma ho cercato un compromesso tra lo standard consueto delle mie letture e i best-seller del momento e ho cercato di ampliare le mie vedute accostandomi allo scaffale dei romanzi contemporanei. 
Dopodiché, in un crescendo di frivolezza, siamo andate a comprarci delle camicie estive e poi a pranzo con la mia amica L.: carboidrati senza rimorsi, perché ero digiuna dalla sera prima (non riesco a fare colazione se mi sveglio troppo presto) e avevamo già camminato tantissimo prima di pranzo e per finire ci siamo concesse un paio d'ore di svacco al parco.
In serata invece io e il mio fidanzato siamo usciti con I., il suo fidanzato e altri amici e abbiamo fatto una bellissima passeggiata in una zona della città che conoscevo poco ma che ieri sera sembrava una località di mare: bambini che si rincorrevano per la strada, famiglie sedute ai tavolini all'aperto, ragazzi sui muretti ad ogni angolo, e quel tepore piacevole di fine giugno, con una striscia di cielo chiaro all'orizzonte che resiste fino alle dieci e mezza e la brezza leggera che raffredda l'asfalto dopo una giornata d'afa.
 Ero serena. Era tutto perfetto: il clima, il vino, le chiacchiere. Vi giuro, mi si gonfiava il cuore dalla gioia. Non so se vi capiti mai, di essere in un posto e sentire che non potreste essere da nessun'altra parte, che non potreste essere più felici.
Ovviamente, l'idillio non poteva durare. Ho mangiato due fette di pizza all'aperitivo senza pensare che il resto del tavolo potesse giudicarmi un'ingorda obesa, doveva necessariamente succedere qualcosa che riportasse il mio umore là dove è destino che stia: sotto terra.
E così, sulla via del ritorno, ho discusso col mio fidanzato. Tutto è nato per un motivo estremamente futile, a mio parere: lui si è offeso perché ho passato il pomeriggio con le mie amiche anziché raggiungerlo, nonostante finisse di lavorare alle due e avesse, quindi, il pomeriggio libero. Vani i miei tentativi di spiegargli che volevo condividere quel momento con chi ha condiviso con me cinque anni di gioie e sofferenze; lui, ha replicato, non avrebbe mai anteposto qualsiasi altra cosa alla possibilità di festeggiare con me, e con me soltanto, un suo successo. E poi aveva anche messo lo spumante in frigo, ma non poteva dirmi di passare da casa sua prima dell'orario stabilito perché altrimenti non sarebbe più stata una sorpresa, avrei dovuto essere io a decidere autonomamente di raggiungerlo a metà pomeriggio! E invece io sono arrivata con venti minuti di ritardo ed era troppo tardi per la sorpresa, perché l'appuntamento con I. e gli altri era dieci minuti dopo dall'altra parte della città. 
Insomma, gli dispiaceva che avessimo sprecato la possibilità - non così frequente, effettivamente - di passare un pomeriggio insieme perché io gli avevo preferito le mie amiche, incapace di comprendere che per me non era "un" pomeriggio qualsiasi, ma il pomeriggio della fine degli esami e che non potevo che passarlo con chi c'era dopo il primo, cinque anni fa, e che è venuta a farmi compagnia all'alba nonostante lei non dovesse neppure darlo, quest'esame, solo per poter rispettare la tradizione di ogni fine sessione: shopping, pranzo, parco. Non avrei sostituito il pomeriggio con S. con nient'altro al mondo, mi sono tenuta libera da ogni impegno apposta per questo pomeriggio speciale, e se lui ci teneva tanto avrebbe potuto raggiungerci al parco, piuttosto. 
Niente, io sono l'egoista di turno. Anzi, peggio: non sono egoista, ma gli antepongo tutti i miei amici e lui viene dopo I., dopo S. e i suoi drammi d'amore, dopo L. Invece per lui io vengo prima di tutto. Magari non prima del suo lavoro e del pranzo della domenica a casa sua, ma di sicuro prima dei suoi amici, e vorrei ben vedere, dato che sono degli stronzi e fanno le cose senza invitarlo.
Sapete quando le discussioni degenerano e poi si finisce a dire cose che non si vorrebbe dire? Io gli ho detto che non sono disposta ad organizzare la mia vita in base ai suoi turni al lavoro, né ora né mai, che non sarò mai Penelope che fa la tela mentre aspetta il ritorno di Ulisse, e lui mi ha detto che mi vorrebbe più allegra. Così io ho potuto ribattere che per una volta che allegra lo ero davvero, è riuscito a rovinarmi la serata e, quel che è peggio, il ricordo stesso del giorno della fine degli esami, viziato per sempre dalla litigata finale.
Mi ha messo una tristezza, discutere in macchina con i finestrini sollevati per non svegliare i vicini, e sentirmi colpevolizzare perché non sono abbastanza allegra. Come se io provassi piacere, a non essere mai entusiasta. Combatto con la depressione da anni, è già tanto che riesca ad essere tranquilla, volermi addirittura entusiasta è una gran bella pretesa. "Anche io mi vorrei più allegra, cosa pensi? Più allegra, più bella e più magra." Lui ha tagliato corto dicendo che non voleva toccare il tasto del "peso", ed era meglio lasciare perdere le mie fissazioni. 
Poi ha pensato di aver fatto pace con il bacio della buonanotte, ma io ho pianto fino alle quattro mentre lui dormiva accanto a me senza accorgersi di nulla. 
I glicini in fiore, le urla dei bambini al parco, i complimenti della prof, sembravano lontani anni luce, un ricordo sbiadito di una giornata perfetta, fin quasi alla fine. Mi sentivo così stanca, avevo tanto bisogno di chiudere i libri per ricaricarmi prima di riprendere in mano la tesi, aspettavo con ansia questa tregua, e invece ho dovuto fare i conti con un'altra battaglia, che non mi aspettavo e non credevo di meritarmi.

P.S.
Al momento, comunque, la situazione è che ci siamo salutati con freddezza questa mattina, io a pranzo ho litigato anche con mia madre perché ero acida e scontrosa e poi ho scritto ad A. un messaggio in cui gli dico che non avrei mai pensato di passare così il primo giorno di "vacanza", tra l'astio e la rabbia, e ci siamo promessi un ulteriore chiarimento in serata. Vi terrò aggiornate!
P.P.S.
I. ha tentato di tirarmi su dicendo che era una pessima serata dal punto di vista astrale, dato che anche lui e M. hanno litigato sulla strada di casa. Mi ha strappato un sorriso, e sapete com'è? mal comune...

sabato 20 giugno 2015

odi et amo - le insidie del weekend



Sabato, sole, caldo e in programma per questa sera una rimpatriata tutta al femminile con un’amica che studia in Germania e che purtroppo vediamo di rado: cena con lei, sua sorella e S. e poi andiamo a ballare. Gli ingredienti perfetti per godersi il weekend. 
Eppure non entro su whatsapp da due ore perché è in atto un consulto su dove andare a cena e io non lo voglio sapere, non voglio sapere “di che male morirò”, come si suol dire. Perché mi conosco, se scopro il nome del ristorante mi metterò a spulciare incessantemente Google alla ricerca di un menù online e poi guarderò le foto su Tripadvisor e cercherò di valutare l’apporto calorico dei piatti basandomi su un criterio puramente estetico.

Prima o poi dovrò rispondere, lo so, perché ci troviamo in una città che non conosco e dovrò almeno scoprire l’indirizzo da inserire nel navigatore, ma allora scorrerò i messaggi fino in fondo e dirò che a me va bene qualsiasi cosa e ci vediamo alle nove.

Scene patetiche di questo tipo si ripetono ogni sabato, e talvolta anche il venerdì e la domenica. A. mi chiede cos’ho voglia di fare e io temporeggio finchè non è abbastanza tardi per prenotare in pizzeria o al ristorante. I. esce a cena con il suo fidanzato e gira l’invito anche a noi, ma io gli do buca dicendo che siamo a cena con M., e quando mi chiama M. per chiedere che programmi abbiamo per la serata le rispondo che ho già preso un impegno con I.

Poi mi sento in colpa, perché spreco le occasioni che mi si presentano di trascorrere momenti felici con gli amici, e allora tento di organizzare il weekend successivo contando sul fatto di avere abbastanza tempo per arrivarci con un “credito calorico” (cit. Anais) che mi permetta di godermi la serata senza sensi di colpa. Cosa che ovviamente non succederebbe neppure se digiunassi dal lunedì al venerdì.

Durante la settimana aspetto il weekend e il venerdì vorrei che non arrivasse mai. E non soltanto perché da sempre soffro della sindrome da sabato del villaggio, ed amo le attese molto più degli eventi in sé, ma anche per avere un giorno in più per perdere altri trecento grammi, per poter fare un’ora di ciclette in più e affrontare con uno spirito diverso l’inevitabile +1kg della domenica mattina.

Amo il weekend ma lo temo. Amo le serate in compagnia ma odio il momento in cui devo prepararmi e comincio a provare tutto quello che ho nell’armadio e mi sembra che tutte le gonne enfatizzino le mie ginocchia orrende e che tutte le magliette sottolineino la pancia flaccida da “non ho tempo per gli addominali: devo studiare”. Pensate che qualche tempo fa avevo addirittura abdicato all’autonoma decisione delle mie mise, facevo scegliere al mio fidanzato e mi vestivo senza guardarmi allo specchio, così non potevo appigliarmi a nessun “ma guarda che difetto mi fa sulla schiena!” e simili.

Ma era ridicolo e non si vincono le difficoltà nascondendo la testa sotto la sabbia. Anzi, sapete che vi dico? Ora apro quella conversazione e leggo le proposte delle mie amiche, poi metto il telefono in carica e torno a studiare, così non sarò tentata di cercare i locali su google.

E già che ci sono mando a S. la foto del vestito che vorrei mettere stasera, che mi dica con sincerità se è troppo corto e sembro volgare, ché l’ho mandato a mia mamma ma lei dice sempre che sono bellissima, è di parte.

p.s.

Lo mostro anche a voi, ma siate oneste: è troppo corto? (Anadelcane, so che a te non piace il nero ma io invece lo amo :D)

martedì 16 giugno 2015

"io mi ricordo quattro ragazzi..." - ricordi di (im)maturità

Domani cominciano gli esami di maturità e penso a quelle migliaia di studenti che questa notte ascolteranno Notte prima degli Esami, come da tradizione, e si troveranno in qualche parchetto con gli amici o ripasseranno freneticamente fino all'alba, aspettando qualche soffiata sulla traccia dall'amico che tiene sotto controllo quindici siti diversi.
Io me la ricordo come fosse ieri, la mia notte prima degli esami. Mi ero trovata con la mia amica M., il suo fidanzato di allora e il mio fidanzato di adesso, che all'epoca era solo un amico, e avevamo ripassato tutto il programma d'italiano, Dante compreso, con un'attenzione particolare a Pirandello, ché si diceva che sarebbe uscito lui come analisi del testo (ovviamente non uscì, invece, e ci toccò Levi). 
Alle due, spossati ma senza un briciolo di sonno (troppa ansia, troppa adrenalina, troppo tutto), c'eravamo raccolti intorno all'iPod del fidanzato di M. e avevamo ascoltato Notte prima degli Esami, versando qualche lacrima di panico ma anche di commozione per quella notte "ancora nostra" in cui ci sentivamo così grandi e così piccoli insieme, ad un passo dall'agognata libertà e al contempo spaventati da quel che il futuro ci avrebbe riservato. Ci tenevamo per mano, promettendoci che non ci saremmo mai persi, che saremmo stati amici per sempre, indipendentemente dalle strade che stavamo per intraprendere, tanto diverse: M. che andava a studiare cinese e sognava di completare gli studi a Shangai, il mio fidanzato che si sarebbe trasferito in un'altra città, io che per allora ero convinta di iscrivermi a giurisprudenza, e avrei cambiato idea proprio durante la maturità. 
È uno dei pochi ricordi felici di quelle settimane d'angoscia. A chi mi diceva che la maturità sarebbe stato solo il primo, e il più facile, di una lunga serie d'esami ora che me ne manca uno soltanto e ho già una discussione di laurea alle spalle mi sento di rispondere che per me non è stato affatto così. Non ho mai più studiato come in quei giorni - studiato fino a perdere la concezione del tempo, dimenticandomi di mangiare e di bere. Non ho mai più provato una delusione tanto cocente come quella del pomeriggio in cui uscirono i voti degli scritti e seppi con certezza matematica che non avrei preso 100. Non ho mai più vissuto l'ansia dei giorni dell'attesa dell'orale, il terrore di fallire, di non essere all'altezza delle aspettative, di non prendere il massimo e di non superare almeno il 90. Non ho mai più sperimentato la sensazione di sollievo e di leggerezza di quando mi sono alzata dalla sedia e, frastornata, sono uscita e ho capito di essere finalmente libera da quella prigione di ingiustizie e di ipocrisie.
Per me la maturità non è stata una prova di forza, spartiacque tra la vita da adolescenti e quella da adulti, come mi era stato promesso da insegnanti e professori, è stata un'infusione di veleno, un corso di disillusione. Ho visto la mia compagna di banco, diligente e buona, sempre generosa e studiosa, prendere un umiliante 29 agli scritti e uscire con un voto più basso di gente che per cinque anni s'era trascinata debiti e insufficienze, ho visto dare lo stesso voto all'orale a un ragazzo che partiva da un voto bassissimo ma che si voleva a tutti i costi far uscire con 60 e al mio amico N. che aveva la media dell'otto e non riuscì ad arrivare neppure all'80. Ho perso la stima di molti miei professori in quelle tre settimane e ho pensato che tutta la fatica che avevo fatto, riuscendo a conquistare la media dell'8,9 al quarto anno nonostante l'anoressia, quella del 9 e passa al quinto nonostante la bulimia, fosse stata inutile se non addirittura controproducente. Tanti sacrifici e notti insonni per non prendere neppure 100. Era un numero, uno stupido numero che nessuno mi avrebbe mai chiesto, ma io ero sicura di essermelo meritato, di essermelo sudato, più di quanto abbia mai pensato di meritare i trenta presi all'università. 
E a chi mi dice che la maturità mi ha resa più forte, insegnandomi a non riconoscermi in un numero, ad accettare le delusioni, posso dire che alla fine l'ho imparato, ma troppo tardi: ora lo so e posso anche permettermi di riderci sopra - su quel 92 che poi, per un buffo scherzo del destino, toccò l'anno successivo anche alla mia amica L., un altro 100 mancato - ma all'epoca non mi insegnò nulla, se non a odiarmi un po' di più, perché non ero riuscita a raggiungere il mio obbiettivo che, guarda un po'!, era sempre un numero.
La maturità no, non la rifarei per nulla al mondo. Ma la notte prima del tema, quella mi piacerebbe riviverla, con le stelle nel giardino di M. e tutte quelle promesse non mantenute, notte di lacrime e preghiere, davvero.
E voi, ve la ricordate la vostra notte prima degli esami? 

(Un post intero senza parlare di cibo, di grasso e di diete. Segnatevi questa data, fanciulle!)

venerdì 12 giugno 2015

instabilità mentale ed umorale e compleanno alle porte



Peso: 61,3 kg

Il mio umore è instabile come quello di una quattordicenne in crisi pre-mestruale, passo dall’euforia allo scoramento alla noia esistenziale alla speranza all’esaltazione e tutto nel giro di un pomeriggio.
Lunedì ho dato il primo esame della sessione, è andato bene, ma faceva troppo caldo per ‘festeggiare’ il superamento del primo scoglio dell’ultima sessione (l’unico esame da dodici crediti che mi rimaneva da fare) come avrebbe meritato, con un giro in centro o un pomeriggio al parco, e così ne ho approfittato per lavorare tutto il pomeriggio. Però, nonostante il mal di testa post-esame mi sentivo carica, avevo programmato di uscire con L. per l’aperitivo e poi mi sarei messa a fare il programma di studio serrato per il prossimo esame. Poi L., reduce anche lei da un esame, ha detto che era troppo stanca per uscire, e c’era vento e forse sarebbe arrivato il temporale e così la mia serata ha immediatamente cambiato verso: l’esame sarebbe potuto andare meglio, la lode era assolutamente alla mia portata, e stavo perdendo tempo prezioso che avrei dovuto investire nella preparazione dell’esame di martedì prossimo.
Ieri sono stata alla giornata conclusiva del progetto in cui io e S. siamo coinvolte da ormai tre anni, una collaborazione tra la nostra università ed alcune scuole medie della città. L’anno scorso le nostre ore di lavoro sono state pagate in penne bic (non sto scherzando, ve lo giuro sulla mia passione per gli oggetti di cartoleria) e due anni fa con dei braccialetti Cruciani. Per quest’anno ci era stato promesso un biglietto per l’Expo, di quelli che agli enti pubblici arrivano in omaggio, e invece abbiamo ricevuto due sostanziosi buoni da spendere in una libreria! Ero contentissima, e non tanto per il buono in sé, quanto per il riconoscimento del valore del nostro lavoro. Ero soddisfatta, e allegra, e siamo andate a prendere un gelato anziché tornare a studiare. Poi mi sono rabbuiata di nuovo: il mio fidanzato non mi ha chiesto nulla di un incontro con un professore che voleva propormi uno stage post-laurea e ha attaccato a raccontarmi della sua giornata. Non che non gliene fregasse nulla, semplicemente si era dimenticato che fosse ieri, ma ormai il mio umore era rovinato: quello che faccio io non è mai importante, del resto io non salvo vite, semmai salvo qualche laureando dalla bocciatura all’esame di latino.
Due episodi, a titolo esemplificativo, per spiegarvi l’umore ballerino di questi giorni. Martedì ero a 60,5 e ho prenotato una giornata alla spa con mia mamma per quando finisco gli esami, poi il peso è inspiegabilmente risalito e ieri sera mi sono provata il tubino che contavo d’indossare stasera e che settimana scorsa scendeva perfettamente sui fianchi e mi sono sembrata volgare e flaccida.
Eppure all’inizio di questa settimana ero così fiduciosa che sarei riuscita a vedere il 59 per il mio compleanno. Che, a proposito, è domani. Mi torna in mente il mio diciottesimo compleanno, quando mi ero ripromessa di ricominciare a mangiare ma era così difficile e mi ero fatta fare una foto in cui portavo una forchettata di torta alla bocca perché volevo che tutti sapessero che la stavo mangiando, ma poi l’avevo sputata nel tovagliolo. Mi sentivo così stupida per il fatto di non riuscire a godermi la mia festa, allora, e pensavo che non sarebbe più stato così, che una volta guarita avrei imparato daccapo ad amare la vita e a ridere, ballare, ubriacarmi come le mie amiche. Ero così ingenua, però. Speravo che il dca si potesse cancellare come il numero di uno stronzo dalla rubrica del nokia 3310, e invece eccomi ancora qua, a mangiare con i sensi di colpa, a non mangiare con i sensi di colpa.
Qualche tempo fa mi aveva chiamata la psicoterapeuta del gruppo di sostegno per anoressiche e bulimiche; voleva che andassi a parlare della mia testimonianza alle nuove ragazze del gruppo ma io avevo inventato qualche impegno improrogabile. Non potevo presentarmi con settanta chili addosso e raccontare della mia storia da anoressica, non sarei stata credibile e mi sarei sentita uno schifo. Ora invece penso che ci andrei. E non perché sono più magra, non perché sono rientrata nel tubino taglia 40 che mi faceva sentire Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, ma perché vorrei dire loro che si sono infilate in un gran casino, che se pensano che un bel giorno potranno schiacciare il pulsante “esc” e tirarsi d’impaccio come succede nei videogiochi si sbagliano di grosso. Che tra il momento in cui decidi che vuoi guarire e quello in cui guarisci per davvero passano anni, e forse quel momento non arriva mai.
Compleanno più, compleanno meno, ho sempre provato un brivido d’angoscia all’idea di mangiare la torta sotto lo sguardo attento dei presenti. Che se la mangio sono la solita cicciona ingorda, se non la mangio si preoccupano che stia di nuovo male. Ogni anno, ogni sabato, l’incubo si ripete. E forse sarà così per sempre, non potrò mai permettermi un giorno di tornare a casa e dire ai miei o al mio fidanzato che non ho fame, ho caldo, e non voglio pranzare senza destare in loro il sospetto che stia meditando di non mangiare mai più.
E così oggi sono di nuovo cupa, come questo cielo grigio che incombe sulla mia cenetta romantica sul lago, ma magari tra due ore succederà qualcosa di bello, o che a me sembrerà bello, e tornerò ad essere elettrizzata per questa sera, per la festicciola con gli amici di sempre di domani, per il biglietto che mi ha scritto una ragazza dopo aver passato l’esame “alla mia insegnante di latino e di vita, grazie”, che è qui accanto a me e lo guardo e non capisco che cosa mai potrà insegnare sulla vita una come me.

giovedì 4 giugno 2015

schiava della bilancia

Peso: 60,9 kg

La sessione d'esami è alle porte, io passo molto più tempo a casa, la maggior parte del quale da sola, e ho molte più occasioni per pesarmi. 
Mi peso dieci volte al giorno, forse di più. Mi peso al mattino appena sveglia, seguendo il solito rituale - mi alzo, vado in bagno, mi tolgo tutto tranne le mutande, mi sciolgo i capelli e salgo sulla bilancia. Poi scendo, mi raccolgo i capelli e risalgo. Poi la terza ed ultima volta, con i capelli di nuovo sciolti e senza mutande - poi mi ripeso dopo aver fatto colazione (170 grammi di yogurt greco determinano un incremento di circa 300/400 grammi, chissà per quale ragione misteriosa) e poi dopo pranzo, a metà pomeriggio, prima e dopo aver fatto ciclette, prima e dopo cena, prima di andare a dormire per fare un pronostico sul peso della mattina successiva, mi peso persino in piena notte, se mi capita di alzarmi per andare in bagno o per andare a bere.
Mi peso vestita e svestita, qualche volta anche con le scarpe. Mi peso in pigiama o con gli abiti con cui faccio ciclette, mi peso col cellulare in mano e poi senza per vedere se cambia qualcosa, per provare la sensibilità della mia bilancia.
Ma lei non è sensibile, è un'aguzzina impietosa che mi sbatte in faccia verdetti crudeli quando meno me l'aspetto.
Lunedì mattina, per esempio, mi ha accolta con un 63.4kg, un chilo e mezzo in più rispetto al giorno prima, due chili in più rispetto a sabato. È vero, ho mangiato risotto taleggio e noci domenica a cena, ma avevo preventivamente fatto un'ora e mezza di ciclette! E un chilo e mezzo, per un piatto di risotto e uno spiedino con mozzarelline e pomodori datterini non sarà un po' troppo?
C'è che ovviamente lunedì ho praticamente digiunato. 
Lo so che non si fa, ragazze, lo so. 
Ma avevo un inspiegabile chilo e mezzo in più sulle chiappe e lunedì sera dovevo andare a un aperitivo a sorpresa per un amico di famiglia, e sua moglie ha quasi sessant'anni ma è magrissima, non potevo andarci con la consapevolezza di essere COSÌ grassa. Ho pranzato con due pezzetti di feta senza olio, all'aperitivo io e il mio fidanzato siamo arrivati in ritardo perché lui lavorava e me la sono cavata con due assaggini dal suo piatto e una forchettata di torta e martedì mattina il peso era rientrato nei ranghi - 62 - ma ho comunque storto il naso alla proposta di A. di uscire a cena e gli ho imposto una triste insalata greca, con un filo d'olio e poco sale. 
Lo so, sono una stronza egoista, ma l'unica cosa che volevo, più di ogni serata piacevole e/o romantica, era rivedere il 61. Ieri la bilancia mi ha concesso questa gioia e così sono tornata a rigare dritto: 70 grammi di pasta integrale a pranzo e per cena ho superato me stessa e mi sono addirittura cimentata nel tacchino tonnato, una versione light del vitello tonnato con fettine di tacchino al forno al posto del vitello e Philadelphia light al posto della maionese. Niente di esaltante, ma rispetto ai pasti al limite dello squallore che faccio di solito quando sono da sola (come bresaola presa direttamente dalla confezione o un pacchetto di crackers integrali) era quasi Masterchef. 

Quello che mi pesa è essere schiava di un mucchio di vetro e ferro tenuto insieme da due viti e una resistenza elettrica. Ogni mattina la consulto e scopro se sarà una bella giornata, o se dovrò odiarmi, punirmi, triplicare l'allenamento. 
So cosa potreste pensare: allora non pesarti. Se fosse così facile l'avrei già fatto, no? E, in effetti, l'ho fatto sporadicamente: quando ho toccato il mio minimo storico e dovevo necessariamente prendere peso non mi sono pesata per tutta l'estate e a settembre ero risalita a 47kg. E poi quando ho ricominciato a ingrassare dopo la Dukan, nel 2012, anche allora smisi di pesarmi per non dover assistere alla disfatta quotidiana del mio corpo che si ribellava alla mia volontà e della mia volontà, troppo debole, che cedeva al mio corpo. Salvo questi episodi, non sono mai riuscita a gestire la mia dipendenza dalla bilancia. È capitato addirittura che me la portassi in vacanza, per non doverne usare una non mia o, peggio, per non dovervi rinunciare del tutto. 
"Non pesarti tutti i giorni, le variazioni di peso da un giorno all'altro sono normali". Sono io che non sono normale. Se non mi posso pesare vado ancora più in crisi, do per scontato di essere ingrassata (perché collego il fatto di non pesarmi ai periodi di ingrassamento, inevitabilmente) e restringo preventivamente. 
La bilancia per me è come una madre severa, di quelle che usano le punizioni come strumento educativo, non come la mia, che non mi ha mai negato il permesso di uscire. È la bilancia a vietarmi di cenare fuori il venerdì e il sabato. O il venerdì o il sabato. E il sabato esclude la domenica, è naturale. E in settimana niente sgarri, a meno di occasioni speciali, ma in quel caso bisogna recuperare il weekend. 
La bilancia non accetta scuse e giustificazioni. Non vale neppure la storia del ciclo - che tanto prendendo la pillola che blocca l'ovulazione la settimana di sospensione è solo un palliativo, ma a questo giro la faccio, tanto questo weekend avrò da studiare - per spiegare un aumento di peso: se sono ingrassata è perché ho mangiato troppo, tutto qui. 
Invece certi giorni è buona e rassicurante. Diventa più indulgente, e posso anche smezzare una fetta di viennetta con la mia compagna di studio.
Io vorrei essere una persona stabile ed equilibrata, davvero, e smettere di predicare bene e razzolare male. Vorrei essere in grado di accettare un invito all'ultimo minuto, invece di accampare scuse surreali. Vorrei essere una fidanzata allegra e spiritosa, e chiedere al mio fidanzato di fermarsi a prendere la pizza quando esce dal lavoro alle nove e mezza e mangiarla direttamente dal cartone, il mercoledì sera (di sera, e per di più in mezzo alla settimana!) oppure scofanarci una vaschetta di gelato mentre guardiamo un film o rimanere a letto a farci le coccole la domenica mattina, anziché alzarmi per fare ciclette prima di andare a pranzo dai suoi. Vorrei andare a fare l'aperitivo con mio padre quando non lavora o andare insieme alla Roadhouse il giovedì sera che fanno gli hamburger a metà prezzo e ci andavamo sempre quando ero al ginnasio e aveva aperto da poco, e io prendevo sempre la bistecca ribeye con la patata al cartoccio con la panna acida, il burro e il bacon. Tutti e tre su un'unica patata al cartoccio! Di sera, e di giovedì. 
Ma non ce la faccio. Penso sempre di aver fatto tanti progressi perché ora mangio in pubblico, mangio la pasta, mangio le cose condite, venerdì sera vado ad un compleanno e sono contenta, ma sono più le cose che non riesco più a fare di quelle che ho ripreso a fare, sono sempre di più le cose che mi mettono in crisi di quelle che so di poter controllare. E attraverso questo limbo da ormai cinque anni, e dico sempre di voler guarire, ma.