giovedì 23 luglio 2015

promesse in valigia



Domani parto per il mare. Ho allineato sul letto le cose da mettere in valigia: a destra intimo e costumi, al centro i vestiti per il giorno, a sinistra quelli per la sera, davanti a tutto le borse e per terra le scarpe, e poi il beauty dei solari, quello dei trucchi e quello dei prodotti per doccia e capelli. Ho bisogno di ordine quando parto e ordine vuol dire disporre le magliette, piegate perfettamente, in rigoroso gradiente cromatico, spuntare voci da una lista compilata sull’agenda, appiccicare post-it dappertutto per ricordarmi di prendere la tal cosa, di fare la tal altra.
Adoro viaggiare, ma ho sempre l’ansia di dimenticare le cose più importanti, ma anche quelle più inutili. Controllo decine di volte di avere tutto, a volte mi sveglio di soprassalto convinta di aver dimenticato qualcosa, a volte mi viene un’illuminazione fulminea e mentre sto facendo tutt’altro corro a recuperare dall’armadio un vestito che non avevo pensato di portare.
Penso in anticipo agli abbinamenti, accosto le collane ai vestiti, le borse alle scarpe, infilo e sfilo decine di gonne, abitini, costumi. Ogni anno c’è una tendenza diversa. Il 2013 fu l’anno dei vestiti lunghi – mi ero convinta che mascherassero la mia obesità e avevo comprato zeppe vertiginose per arginare il mio secondo problema, il fatto di essere una nanetta – il 2014 quello dei vestiti sagomati stretti in vita e svasati sotto, con la gonna a ruota e magari una cinturina a sottolineare il punto vita. Quest’anno sono affascinata dai pantaloni: ampi, a palazzo, ma anche morbidi sui fianchi e più stretti alle caviglie, da indossare con top che arrivano al filo di dove inizia il pantalone.
Mi sono convinta che tentare di camuffare i propri punti deboli (le cosce, nel mio caso) può avere effetti indesiderati anche gravi. Me ne sono accorta provando una delle gonne passepartout del mio 2013 e trovandomi terribilmente simile ad una colonna. Una cariatide, con viso di donna e un blocco di marmo informe al posto del corpo.
Bocciati anche i pezzi sotto del bikini con l’elastico. Ammessi solo laccetti regolabili, perché l’elastico che strizza il grasso farebbe sembrare sovrappeso persino il manichino di calzedonia, figuratevi l’effetto che fa sui miei fianchi. Ho eliminato così un gran numero di costumi, ma voglio sentirmi più a mio agio possibile, pur dovendo indossare un capo che odio.
E veniamo alle promesse da marinaio che mi faccio (e vi riporto) mentre aspetto che lo smalto si asciughi sulle unghie dei piedi – sapevate che il colore dell’estate 2015 è il marsala? Me l’ha detto l’estetista mentre mi strappava dolorosamente i peli dall’incavo del ginocchio. Ho cercato uno smalto color marsala ma la commessa di Marionnaud me ne ha appioppato uno color corallo perché “fa più estate” (e perché costava 30 euro e dubito che avrebbe trovato un’altra cretina al quale venderlo).
Non mi potrò pesare per dieci giorni (a meno che fortuitamente l’albergo non disponga di bilance, ma non mi è mai capitato) ma non perderò la calma. Non mi abbandonerò alla tentazione del tantormai mangiando senza freni né tenterò disperatamente di restringere saltando sistematicamente il pranzo (non mi piace mangiare mentre sono al mare perché mi fa schifo l’idea della pancia gonfia dopo pranzo e perché il caldo mi rende disgustosa la sola idea del cibo, per non parlare del sale e della sabbia, ma cercherò di mangiare comunque qualcosa). Non mi farò prendere dal panico se il terzo giorno avrò la pancia gonfia come da copione e andrò comunque al mare, e mi toglierò lo stesso i vestiti. Non terrò il muso al mio fidanzato se mi sveglio convinta di essere ingrassata, sicura di avere i cuscinetti di lardo sotto le scapole e le braccia grasse e flosce come salamelle lasciate al sole prima di essere grigliate. Non chiederò di poter vedere le confezioni dei prodotti della colazione con la scusa di qualche intolleranza vera o presunta ma con la sola intenzione di controllare l’apporto calorico dello yogurt bianco, mangerò quello che ho voglia di mangiare, senza calcolarne mentalmente le calorie. Non mi farò rovinare questi nove giorni di pace e riposo dalle ossessioni che mi condizionano ogni singolo giorno: voglio arrostirmi al sole pensando solo al sole sulla pelle e non a com’era bello quando sentivo anche la pelle grattare sul bacino. Io so che non era bello, e so che non prendevo neppure il sole. Voglio farmi fare delle foto senza pensare che sembrerò una balena spiaggiata e senza cancellarle tutte di nascosto pensando che non l'avrei fatto se fossi stata magra. So che non è così e ne è la conferma il fatto che io non abbia quasi foto (di me stessa) delle estati più magre. Voglio cenare a lume di candela cogliendo solo il lato romantico e non quello calorico della cena.
Vi lascio con un monito, a tutte voi che state percorrendo la difficile risalita dal baratro del dca: non idealizzate il periodo della malattia raccontando agli altri e a voi stesse quanto eravate felici e imbattibili perché voi sapete benissimo che non è così.
Un abbraccio a tutte, vi seguirò da lontano!

lunedì 20 luglio 2015

genitori e DCA

Mia madre che torna dalle vacanze e mi chiede se, in sua assenza, abbia mangiato abbastanza. 
"Sei dimagrita ancora, non dimagrire troppo. Al liceo eri troppo magra."
"Al liceo" è un'indicazione temporale vaga ma sappiamo bene entrambe a cosa si riferisca, nello specifico. Mia madre non parla volentieri del periodo dell'anoressia. Anzi, a dire il vero l'argomento dca è diventato tabù in casa, come se bastasse non parlarne per cancellarlo del tutto.
Credo che lo faccia perché si sente in colpa, o se ne vergogna, o un po' entrambe le cose. 
Quando incominciai a stare davvero male e gli svenimenti divennero troppo frequenti per essere ignorati mia madre mi portò dal medico dicendo che avevo dei problemi di pressione. Portai l'holter pressorio per qualche giorno, ma il verdetto del medico fu di altra natura. "Sua figlia è gravemente malnutrita, signora, ma non se n'è accorta?" Mia madre, punta sul vivo (non c'è offesa più grande per una madre che essere tacciata di scarsa attenzione) minimizzò spiegando che avevo fatto una dieta, avevo perso un po' di chili, forse avevo un po' esagerato, come fanno sempre i giovani quando si lasciano trasportare dalle cose che gli piacciono.
"Non è uno scherzo. Di queste cose si muore." Il medico non era in vena di leggerezze e mia madre, con il suo atteggiamento naïf, doveva sembrargli una pazza incosciente. "Posso consigliarle il nome di qualche centro..."
Ma mia madre lo fermò dicendo che non voleva intrusioni nella nostra vita privata, che ci avrebbe pensato lei. Invece ci avrei pensato io, di lì a qualche settimana, a rimettermi in riga. 
Lei invece non affrontò mai più l'argomento, tranne una mattina, in macchina, mentre tornavamo da scuola, ché non prendevo più il pullman per non rischiare di dover stare in piedi, quando mi chiese, a bruciapelo: "Ma tu non hai paura di morire?"
Certo che avevo paura di morire. Come ho raccontato più volte, è stata la paura di morire a salvarmi la vita, o meglio, la paura del dolore: non sono mai stata molto coraggiosa e il dolore fisico mi spaventava troppo. Per non parlare dell'idea di essere ricoverata, riempita di tubicini, costretta a letto con aghi da tutte le parti. Forse se avessi pensato di poter morire senza dolore non ne avrei avuta tanta paura, ma nella mia ingenuità di diciottenne mi ero immaginata una morte lunga e dolorosa fatta di agonia e consunzione e ne avevo paura, certo.
"Ho anche paura di vivere" le risposi, però, perché sentivo di doverle una spiegazione per la mia scelta di autodistruggermi.
"Adesso dici così perché sei stressata, ma finita la scuola starai sicuramente meglio."
Non capivo, e non capisco tuttora, se volesse rassicurare me o lei stessa. Si era convinta che la radice della mia sofferenza fosse la scuola, quella scuola che pretendeva troppo, e io che mi condannavo a lunghissime sessioni di studio dimenticandomi persino di mangiare. Lo raccontava a tutti quelli che facevano qualche osservazione di troppo sul mio corpo, sul mio viso spento, sulle ossa che sporgevano da ogni parte. Era il suo modo per proteggermi, forse, o per proteggere il suo ruolo di madre. 
La mamma di M., la mia amica anoressica, mi ha confessato un giorno che lei ha vissuto l'anoressia della figlia come un fallimento personale. Perché il primo è principale scopo di una madre dovrebbe essere quello di rendere i propri figli felici e lei sapeva di non esserci riuscita.
Forse mia madre provava lo stesso sentimento di disfatta e di impotenza - dove aveva sbagliato? Come rimediare? - e quindi preferì fingere per non dover ammettere il suo fallimento.
È stata anche fortunata, per certi versi, perché in effetti con la fine della scuola quell'anno arrivò anche la mia decisione di smettere di fare la fame e lei poté raccontare a tutti, trionfante, che finita la scuola mi stavo rimettendo in salute. E il picco della bulimia, con i bruciori allo stomaco e all'esofago, sarebbe arrivato in concomitanza con la maturità, offrendole un nuovo alibi per giustificare la mia "ricaduta". Ha talmente enfatizzato il mio stress-da-scuola che ancora oggi mio nonno mi saluta sempre con un "non studiare troppo, eh!". 
Dovrei avercela con lei perché è stata superficiale, forse. Dovrei essere arrabbiata perché ha sottovalutato il problema e perché se fosse stata più attenta, più presente, forse ora sarei guarita "meglio", sarei guarita "di più", sarei guarita del tutto. Eppure io la capisco. Capisco la frustrazione, soprattutto, di non essere riuscita a diventare una madre migliore di sua madre, una donna fredda, austera ed egoista, una nonna insolita, avara di complimenti e di gentilezze, che anche se non esce più di casa da anni mi ha negato la sua borsa di Chanel (che volevo in prestito, non in regalo!) dichiarando che andrà con lei nella tomba e non vuole che si rovini, per non fare la figura della barbona in paradiso. Sì, ha proprio detto così.
Mia madre è stata una brava madre, forse quand'ero più piccola troppo distante, di quella permissività che sembra quasi indifferenza, poco affettuosa. È inevitabile: anche se disprezziamo l'educazione che ci è stata impartita, finiremo per commettere gli stessi errori sui nostri figli o per esagerare nel senso opposto per contrasto (così mia zia ha straviziato sua figlia rendendola una ventenne insoddisfatta e infelice).
Comunque io ho sempre voluto bene a mia madre ed è anche per lei che ho scelto di guarire. In una delle mie fantasie malate mi ero figurata il mio funerale e il suo dolore nel dover raccontare a tutti che avevo avuto più paura della vita e della morte. Mi sono sentita in colpa, e ho buttato il diario alimentare sul quale segnavo i progressi verso i 39kg. 
So che non si guarisce con i sensi di colpa, me l'avete già detto, e non ho ancora capito se sono stata troppo altruista o troppo egoista nella mia vita, fatto sta che quando il mio fidanzato parla di filiare io penso sempre che sarei una pessima madre. Troppo perfezionista, troppo incontentabile, troppo suscettibile, troppo ansiogena, troppo autoreferenziale per crescere figli equilibrati e felici. E io non voglio mettere al mondo altre persone infelici, il mondo ne è già saturo.

giovedì 16 luglio 2015

non ho mai fame eppure mangerei sempre

Ieri incontro con la nutrizionista. Mi chiede se ho delle voglie particolari, in modo da inserirle nel mio regime alimentare, e io tentenno un attimo prima di buttare lì un "sashimi e carne alla griglia". "Ma ci sono già nella tua dieta!" protesta lei "Qualche voglia più peccaminosa? Ti metto il gelato alla panna per merenda? Te lo metto come alternativa ai tuoi yogurt" 
Così il mio regime alimentare si arricchisce della voce gelati/ghiaccioli nella fascia 16.00-17.00, e ieri ho diligentemente mangiato due cucchiai di gelato alla panna, benché non avessi né voglia né fame. 
Il punto è, ragazze, che io non ho mai fame, eppure mangerei sempre.
Non so come spiegarvelo, è come se il mio stomaco, offeso da anni di maltrattamenti, si fosse chiuso in una sorta di autismo e non mi passasse più alcuna informazione sul suo reale stato: non lo sento mai vuoto, né mai pieno!
È un paradosso, me ne rendo conto, ma io potrei saltare il pranzo tutti i giorni oppure riempirmi fino a scoppiare senza sentirmi sazia. Io sono quella che, a Natale o all'all you can eat, quando gli altri si dichiarano sfiniti dal cibo, pieni come tacchini ripieni, pensa "di già? Ma io mangerei ancora". E poi mi sento uno schifo, una grassona ingorda, una cicciona schiava della gola e fingo di lasciare anche io qualcosa nel piatto per non fare la figura del pozzo senza fondo, ma non mi sento sazia. 
Guardo quelle ragazze - non necessariamente magre - che faticano a finire una pizza e mi chiedo come sia possibile fare fisicamente fatica per mangiare, quando per me la fatica è tutta nella testa, mentre se dipendesse solo dal mio stomaco potrei mangiare chili di cibo. O nulla, e non percepirei comunque la differenza.
Io non mangio perché ho fame. Mangio perché assaggio cose nuove, mangio perché è bello mangiare in compagnia, mangio perché un piatto in particolare ha un aspetto davvero invitante. Se no, mangio perché devo. Ma in quel caso è pura sopravvivenza  e non ho particolari pretese. Né tantomeno voglie. Un piatto di pasta o una flebo da 450kcal hanno la stessa attrattiva.
È per questo che programmo i miei pasti se so di dover mangiare in solitudine. Li penso nutrienti - ci provo, almeno! - e cerco di mantenere l'equilibrio tra carboidrati, proteine e fibre, tutto qui. Non prendo in considerazione l'idea che un giorno possa avere voglia di qualcosa in particolare e che in quel caso il mio menù prefissato potrebbe diventare una limitazione, perché so che non avverrà. Anzi, sapere in anticipo che cosa mangerò domani mi sembra rassicurante. 
Qualche tempo fa, ve l'avevo raccontato, non sentivo neppure il gusto di quello che mangiavo. Ora invece almeno quello riesco a sentirlo, ma continuo a non sentire la fame. È come se stessi facendo una sorta di riabilitazione alla corretta alimentazione, dopo anni trascorsi a mangiare male, troppo poco, troppo, nulla. Così, come chi è rimasto a letto immobile dopo un incidente e deve riabituarsi a fare i movimenti più banali, io devo riabituare il mio corpo a mangiare normalmente e allo stesso tempo devo imparare di nuovo ad ascoltare e interpretare i segnali del mio corpo: se mi alzo al mattino e mi gira la testa vuol dire che ho fame? Se mentre mangio mi sento pungere il fegato vuol dire che ho mangiato troppo? 
La nutrizionista una volta mi aveva consigliato di rendere allettanti i cibi anche quando mangio da sola, per gratificare il mio lato da esteta. È un bell'esercizio, vi dirò, e ne sono uscite delle cose gustose in queste settimane, come i crackers integrali senza lievito ricoperti da un filo di pesto e pomodorini per accompagnare il quartirolo. Ho trovato molto simpatico il fatto che il piatto avesse i colori della bandiera italiana. 
Comunque, cioè, non dovete immaginare che il weekend mi sfondi di cibo perché tanto non sento la sazietà: sento le voci della coscienza che mi ricordano che devo mangiare meno degli altri e mi do una regolata. È un discorso puramente teorico, nel senso che quando si fanno quelle cene pantagrueliche la cui fine naturale è una distesa di amici vinti dai loro stomaci afflosciati sulle sedie - tanto per dirvi, a pasquetta dello scorso anno i miei amici avevano preteso di fare pizzoccheri e raclette. Primo e secondo. Due chili di pizzoccheri e tre chili di patate per due chili di formaggio raclette. Sedici bottiglie di vino. Dieci persone. - quando anche il maschio alfa che si vanta di essere stato cacciato dal giropizza per aver mangiato troppo non riesce a finire l'ultimo boccone io il bis lo farei.

In tutto ciò la bella notizia è che questa mattina pesavo 59,5! E che oggi pranzo con la mia amica L. che domani ha l'ultimo esame della sessione, quindi sto per mettermi a preparare una bellissima e coloratissima insalata greca (lei è vegetariana, perciò è perfetta per entrambe) e una salsa tzatziki con la ricetta che ho rubato al ristorante di cui vi parlavo. 
 
Buona giornata, care, e grazie del vostro sostegno e dei vostri commenti sempre bellissimi e pieni di spunti di riflessione!

lunedì 13 luglio 2015

la serenità sottoforma di shorts

Oggi il peso è tornato a toccare - e superare - i 61, dopo che venerdì ero arrivata a tanto così dai bramati 59. 
Ma oggi è lunedì, ed è tutto da rifare. 
Un chilo/un chilo e mezzo in più è la solita conseguenza del weekend libero - nella fattispecie questo weekend sushi, pranzo dai suoceri e grigliata - che impiega tutta la settimana a scomparire dai miei fianchi, per poi riapparire puntualmente il lunedì successivo. Ho già pianificato la settimana detox per smaltire il prima possibile questo chilo maledetto e procedere spedita verso il mio obbiettivo pre-partenza: oggi caprese con mozzarella light per pranzo e tris di verdure grigliate a cena, domani cous cous con verdure a pranzo e tartare di salmone a cena, mercoledì 50 gr di pasta integrale con pesto di peperoni a pranzo e insalata greca a cena, giovedì una patata bollita a pranzo e sashimi di branzino a cena e rimane da stabilire il venerdì, ma penso che eviterò in toto i carboidrati, per essere più in forma possibile per il weekend. Niente vino e poco caffè e tanta ciclette e tante addominali. 
Forse dovrei semplicemente sacrificare il weekend libero. Del resto quando la nutrizionista me lo aveva imposto a me era parsa una fastidiosa forzatura - se posso mangiare sano ed equilibrato per cinque o sei giorni, perché non posso riuscirci anche il sabato sera o la domenica a pranzo? - mentre ora mi ci sono affezionata. È il mio spazio di normalità, in un certo senso. Siccome "me l'ha prescritto il medico" riesco a limitare i sensi di colpa e paradossalmente mi risulta più facile mangiare le patatine fritte in una serata libera che una pennetta integrale in più in un qualsiasi altro giorno della settimana. 
E quindi ci tengo, e cerco di non cedere a quella seducente vocina che mi fa notare che senza questo chilo in più dopo ogni weekend avrei raggiunto i 59 settimane fa. Preferisco dare ascolto a quell'altra voce, più pacata e razionale, che mi incita a non giocare sporco. "Che senso ha dimagrire se ti barrichi in casa per paura di mangiare qualcosa che non hai programmato? Se te ne stai sola nella tua stanza pesare cento chili o cinquanta è totalmente ininfluente."
La stessa voce che mi ha convinta a comprare degli shorts. Sapete che le gambe sono le mie peggiori nemiche e perciò ho sempre considerato tutto ciò che le mette in mostra uno strumento diabolico. In cima a questa classifica di cose da evitare popolata da ballerine, leggings e pantaloni non sagomati ci sono gli shorts. Lembi di stoffa che permettono alle cosce di strusciare l'una contro l'altra mentre cammini, denunciando al mondo intero la loro enormità. Ritagli di cotone che non riescono a nascondere il cuscinetto di grasso nell'interno coscia e lo spremono fuori in un tripudio di grumi di ciccia. Straccetti che sottolineano il sedere evidente e sembrano dire "guardami! Sono un grosso grasso culo a botte, guardami!".
Ebbene, nelle ultime due settimane ho comprato quattro paia di shorts. Un ritmo indiavolato, per una che ha comprato quattro paia di pantaloni lunghi negli ultimi quattro anni. Sarà il caldo che attanaglia la mia città da un paio di settimane e ha reso inevitabile il ricorso ad abitini, magliettine, pantaloncini. Sarà che il mio armadio è pieno di cose troppo grandi o troppo piccole, che l'ultima volta che sono stata intorno a questo peso era inverno, mentre nelle ultime estati sono sempre stata dieci chili di meno o dieci chili di più. Sarà che due dei quattro shorts comprati sono una taglia 40 e questo è sempre un ottimo incentivo all'acquisto quando sono incerta. 
Sarà che, tutto sommato, luglio è cominciato bene. Sono stata discretamente impegnata con un corso di fotografia regalatomi dai miei amici per il mio compleanno e poi la città si sta svuotando e una mattina di settimana scorsa ho fatto una rigenerante passeggiata per le strade deserte del centro e mi sono sentita leggera. E sabato abbiamo provato un ristorantino greco in una zona generalmente molto affollata ma che sabato mattina sembrava la via principale di una città di mare che si risveglia lentamente dopo una notte di festa e si ripopola piano piano, con un'atmosfera rilassata e allegra e sembrava davvero di essere su un'isola greca, con il profumo di olive e di carne alla griglia che usciva dalla cucina e le edere (finte!) rampicanti intorno ai tavolini. Ieri poi siamo andati al lago con S. e il suo fidanzato, abbiamo giocato a carte sulla sabbia, abbiamo improvvisato una grigliata serale cui si sono aggiunti altri due amici e ho assaporato quel clima di vacanza che consiste nel non avere orari e programmi, nel ritrovarsi tutti intorno a un tavolo a parlare di tutto e di niente senza averlo deciso giorni prima, come gli impegni di studio e di lavoro impongono la maggior parte delle volte.  
Dopo tanti mesi a lottare contro un umore terribile teso tra nervi a fior di pelle e noia esistenziale ho trovato un po' di pace. Fosse anche il venticello sul balcone che mi accarezza mentre leggo un libro per piacere e non per l'orale di un esame. 
Non è che all'improvviso é tutto rose e fiori, quel macigno fatto di rabbia e risentimento nei confronti di me stessa è sempre lì e lo sento quando salgo sulla bilancia e lei mi dice che neanche domani, neanche mercoledì, riuscirò a vedere il 59, ma a tratti sembra quasi farsi da parte per lasciarmi libera di respirare a pieni polmoni, senza temere così facendo di mettere in mostra la pancia.
Nel frattempo ho anche fatto il test bioimpendenziometrico per scoprire la mia composizione corporea, il mio metabolismo basale e, di conseguenza, il mio peso ideale che secondo questi calcoli dovrebbe essere 56kg, quattro chili meno di ora (cioè, in questo momento cinque, ma fa fede il peso di venerdì, che era appunto 60,4 a metà pomeriggio) e sei più di quello che ho sempre considerato essere il peso perfetto per me, 50. Mercoledì vedo la nutrizionista e le proporrò una soluzione di compromesso tra il responso della bioimpendenziometria e il mio desiderio: 53. 
Certo che con questo ritmo ci arriverò tra tre o quattro anni, ma preferisco perdere un chilo al mese e non riprenderlo che perderne dieci e rimetterli tutti il prossimo inverno. Questo ragionamento serio e sensato vale solo dal 59 in giù. Il 59 lo voglio adesso. È un mese che mi dico "alla fine di questa settimana ce la farò" e poi rimango a 60,3/60,5/60,1. Questa settimana devo farcela.

mercoledì 1 luglio 2015

l'ultima estate spensierata

Primo luglio. L'estate è ufficialmente arrivata, ne sono prova il caldo asfissiante che non dà tregua neppure la sera, le zanzare più agguerrite che mai e le foto di mare, cocktails e bikini che cominciano a vedersi su Facebook.
E io? Io temporeggio, accampando scuse più o meno credibili per rimandare il momento in cui dovrò (ri)mettere il costume su una spiaggia affollata. Ieri sera passeggiata in una città insolitamente viva per essere un comune martedì sera. "Sembra di essere in una città di mare" osservo e A. coglie la palla al balzo "Andiamo al mare domenica?" "Mah, non so, ci andranno tutti! Finiremmo per farci sei ore di coda in autostrada e non trovare neanche un ombrellone. Uhm, in Liguria danno variabile. Oh, ma domenica è la prima domenica del mese! Perché non andiamo in un museo?"
Lo so, sono patetica. E so anche che se domani, o dopodomani, vedessi l'agognato 59 sulla bilancia sarei molto più facile da persuadere. L'inevitabile coda in autostrada mi sembrerebbe persino divertente con il nuovo cd tamarro di Discoradio, proporrei di partire prestissimo e arrivare in tempo per vedere l'alba sul mare, che però non so neanche se albeggia sul mare in Liguria, io sono una frana in geografia.
Invece la bilancia insiste sul 60 (61 il lunedì) e io mi tengo stretta addosso i miei vestiti (leggeri, però) con la sola eccezione della famosa giornata alla SPA con mia mamma. Complice il fatto che fosse un lunedì non ho dovuto temere la concorrenza spietata di modelle anoressiche, era una specie di convention di donne di mezza età piuttosto flaccide e non mi sono sentita a disagio. Tra l'altro tutto quel bagno turco, acqua fredda, sauna e idromassaggio hanno avuto un effetto lisciante sulla mia pelle e dalle mie chiappe è scomparso ogni cenno di cellulite! Andrei al mare solo per poter sfoggiare il sedere liscio prima che torni la buccia d'arancia - non so se capiti anche a voi, ma a me la cellulite compare solo quando per qualche giorno mangio cose salate o comunque diversamente dal solito, ma in generale ho solo qualche buchino sul sedere. Almeno quello. - ma in compenso ho toccato il record negativo di 35 giorni senza addominali e mi sembra di avere la pancia mollissima, quindi il mare dovrà aspettare.
E dire che a me piace l'estate. Mi è sempre piaciuta, anche se ora non riesco più a godermela come un tempo.
L'ultima estate spensierata è stata quella dei diciassette anni. Era il periodo delle prime vacanze con le amiche, delle serate in discoteca che finivano sempre al mattino, delle sbronze prese perché "faceva figo" essere ubriache. Io e L., storica compagna di viaggi, ce ne siamo andate a Riccione. Riccione per due ragazze festaiole e in cerca di divertimento era il paradiso. Ci siamo fatte il nostro programma di discoteche da visitare, abbiamo studiato ciò che avremmo indossato ogni sera (assicurandoci di scambiarci tutto o quasi!), abbiamo passato ore a prepararci, per poi vedere le nostre belle opere di trucco smontarsi miseramente alla prova bicicletta.
Pedalavamo fino al corso principale di Riccione, poi sostituivamo le vecchie converse con i tacchi da battaglia e andavamo in cerca di pierre e prevendite. Il quinto giorno avevamo già finito i soldi e abbiamo dovuto elemosinare ad un PR di Baia Imperiale (una discoteca ispirata all'antica Roma) una toga gratis e un passaggio sulla biga, che non ci potevamo permettere neppure i quattro euro della navetta. E l'ultima sera, nonostante le nostre madri, impietosite, ci avessero ricaricato la postepay per consentirci almeno un minimo di dignità, abbiamo rinunciato alla discoteca e siamo rimaste in spiaggia, sul lettino di un bagno che non era il nostro, a ridere delle nostre disavventure.
Ero a 400km da casa senza un euro, ne avevamo spesi cinquanta per entrare al Cocoricò per scoprire che c'era una serata hardcore che non ci piaceva per nulla, avevamo fatto una figura ridicola entrando al Prince vestite da tamarre ed era un posto un sacco chic, avevamo strappato una gonna nella catena della bicicletta e perso la suddetta catena almeno dieci volte, ma ero felice. 
Sarà l'età, sarà che eravamo ingenue e non avevamo paura di nulla, camminavamo di notte per le campagne sperdute cercando di ricordare la strada che avevamo fatto per raggiungere la tal discoteca e non c'era Google Maps per controllare che non stessimo andando nella direzione sbagliata, né nessuno cui chiedere indicazioni. Mal che vada, pensavamo, farà giorno e troveremo la via di casa.
Mi sembra un'altra vita, quella. E non soltanto perché ero piccola e sciocca, ma anche perché (prima di finire i soldi) prendevamo una piadina per merenda e ce la mangiavamo sdraiate sulla spiaggia, lamentandoci dei rotoli di ciccia con quella leggerezza con cui se ne lamenta il 95% delle donne e poi torna a sbafarsi la sua pizza. 
Sì, va bene, forse non sarei più stata così spensierata (sprovveduta?) anche se non mi fossi ammalata, ma solo un anno dopo trascorrevo la vacanza con le amiche a vomitare sapientemente ogni pasto. Dovevo mangiare perché avevo promesso di riprendere peso, ma non potevo rischiare di superare il 50 e così avevo affinato la mia tecnica proponendo di spostare la radio dal corridoio al bagno con la scusa che ci avrebbe consentito più privacy nel momento del bisogno (che, si sa, quando si è in vacanza con tanta gente è sempre foriero di imbarazzo) e così vomitavo a ritmo di Infinity e Poker Face. Scusate, troppi dettagli.
Comunque non so cosa darei per rivivere quell'estate da diciassettenne, che poi è stata l'estate in cui (ritornata al verde da Riccione) ho guadagnato i miei primi soldi con le ripetizioni, e i miei allievi avevano due o tre anni meno di me. Andavo tutti i giorni in piscina da amici, qualche volta al lago, qualche volta ai parchi acquatici (una volta la mia amica F. mi promise un biglietto gratis per Ondaland che si rivelò essere un trabocchetto per avere dei ragazzi "grandi" che vigilassero sui bambini dell'oratorio in cui lei faceva l'animatrice. Ho passato sette ore a spalmare bambini di crema e ad urlare "non correte sul bordo della piscina!". Incubo.) ed ero grassa e felice. O grassa e inconsapevole. E forse la ricetta della felicità sta proprio nell'inconsapevolezza, chi lo sa.
Ora mi vergogno persino di mettermi in costume nei giardini dei miei amici, andare in un parco acquatico e mostrare il mio culone sulle scale mentre faccio la coda per gli scivoli sarebbe impensabile. Eppure, ragazze, io vorrei tanto sentirla l'estate addosso come canta Jovanotti. Tutta, senza risparmiarmi nulla. Ce la farò, prima o poi?
E voi, qual è stata la vostra ultima estate spensierata?
P.S.
Mi è appena venuto in mente un aneddoto legato proprio ai parchi acquatici. L'estate post-anoressia, quella in cui avevo deciso di guarire ma non potevo superare i 49 kg, con i miei amici tornammo a Ondaland, senza ragazzini questa volta. Mi ricordo che c'era uno scivolo sul quale bisognava lanciarsi con un gommone e io e F. volevamo farlo insieme, ma mi fermarono alla fine della coda perché pesavo troppo poco. Ero dispiaciuta, perché i miei amici andarono senza di me, ma la soddisfazione di sentirmi dire che ero troppo leggera fu tale che li aspettai alla fine dello scivolo, insieme al clan di madri che seguivano preoccupate la discesa dei propri figli, col sorriso sulle labbra.