lunedì 4 aprile 2016

aggiornamenti sparsi

Ogni tanto riemergo dall'abisso delle mille cose da fare e mi faccio vedere su Blogger. Cerco di seguirvi sempre, di commentarvi spesso e di scrivere di tanto in tanto.
Vorrei aggiornarvi più spesso, ma quando ho tante idee non ho tempo e quando ho tempo mi sembra di non avere nulla di interessante da dire, e non voglio ripetervi sempre le stesse cose, che non so più dimagrire, che sono bloccata sempre allo stesso peso, che vorrei mangiare molto meno ma allo stesso tempo mi piace cucinare per i miei amici, per A., per i compagni di corso che vengono a casa mia per i lavori di gruppo, per il pranzo di Pasqua o anche solo per sperimentare l'ultima ricetta che ho trovato.
Mi nutro di passioni schizofreniche, in questo periodo: da una parte la cucina, le ricette, i vini pregiati. Dall'altra l'allenamento, i programmi di tonificazione, le pagine Facebook che parlano di esercizi, fitspo e diete ricche di fibre e proteine.
Ogni sera mi metto davanti allo specchio e controllo lo stato dei miei addominali. Se non posso essere magra, penso, almeno avrò un fisico tonico, scolpito e sano. 
Una voce nella mia testa mi dice solo che l'ho indirizzata da un'altra parte, ma sempre di ossessione si tratta e quando vado al supermercato perdo comunque un sacco di tempo a leggere le etichette, non più alla ricerca del cibo meno calorico, ma di quello "migliore". 
Mi sono persino misurata nella corsa, io che sono sempre stata una pippa a correre, motivata dalla presenza del cane, che è stato ospite da me per qualche settimana, perché di solito vive con i miei che fanno orari meno impegnativi e non è costretto a rimanere da solo per otto/nove ore al giorno. Comunque, spronata dal fatto che avrei dovuto in ogni caso portarlo a passeggio ho deciso di unire l'utile alla sfida e anziché portarlo a spasso l'ho portato a correre. Il primo giorno ero stanca dopo poche centinaia di metri, ma dopo un po' sono riuscita a completare l'isolato senza camminare. Ora che il mio cane è tornato dai miei, però, non sto più andando. Lui era una compagnia e una motivazione e allo stesso tempo un pretesto: correndo con lui accanto ero la ragazza che deve portare fuori il cane e ne approfitta per fare un po' di movimento, mentre senza di lui sarei solo la grassona goffa che tenta di rendersi presentabile per la prova costume.
Tra l'altro con A. abbiamo pensato di fare qualche giorno di mare a giugno perché non so come sarò messa quest'estate, con lo stage, e quindi approfittiamo del ponte del 2 giugno per una breve vacanza, quindi la prova costume è drammaticamente vicina. Ho due mesi per perdere (almeno) cinque chili ed eliminare i cuscinetti di grasso nell'interno coscia.
Ma voglio vivere questa scadenza come una motivazione positiva, non come una deadline angosciante. Voglio che sia lo sprone a fare di più, a fare meglio, a non rassegnarmi, a non fare pasticci con il cibo e con il vino durante il weekend per poi provare a porvi rimedio per il resto della settimana, ad arrivare al mare "pulita dentro e bella fuori", come recita lo slogan di una pubblicità abbastanza brutta.
Sul fronte master, il lavoro si fa sempre più impegnativo e sempre più basato sull'attività di gruppo. Per me, ch'ero abituata a fare tutto da sola, è una bella sfida: mi piace il confronto, sto imparando anche tanto di me stessa, mi sono scoperta accondiscendente e propositiva, ma poco incisiva nel far sentire la mia voce all'interno del gruppo, ma mi pesa dover organizzare i miei tempi in base a quelli degli altri, non poter lavorare quando vorrei ma dover sempre cercare il compromesso. 
Questo un po' mi preoccupa rispetto al mondo del lavoro. Forse, mi dico, avrei dovuto considerare più attentamente l'ambito delle risorse umane, la mia amica L. sta facendo uno stage nella selezione del personale, ha già molte responsabilità e si può organizzare autonomamente, purché rispetti le sue scadenze. 
Non che quello che faccio non mi piace, anzi, lo trovo interessante e dinamico come speravo che fosse, ma non sono sicura che mi piacerebbe un lavoro troppo imprevedibile, con orari eccessivamente inusuali e con un gruppo di lavoro flessibile. Sono una persona che ama stabilità e certezze, io. Però aspetto lo stage per capire davvero cosa mi aspetta e se mi piaccia o no. Mal che vada sono sempre in tempo per deviare la mia rotta, anche se sono impaziente di cominciare a lavorare davvero, con un lavoro fisso e uno stipendio fisso.
Infine, la convivenza. Va tutto meglio di come mi aspettassi, anche se ci vediamo davvero poco (e per fortuna che viviamo insieme, altrimenti avremmo rischiato di vederci solo qualche ora nel weekend) e non riesco a godermi la nostra casetta quanto vorrei. Adesso, comunque, il più del lavoro di adattamento (mobili da montare, faccende burocratiche da sbrigare, cose da comprare) è fatto, quindi spero che i prossimi mesi saranno più tranquilli e che avremo modo di guardarci un film insieme sulla TV che i miei ci hanno regalato ma che in tre settimane non è ancora stata accesa! 
Poi ci metterò qualche foto, così sarà come invitarvi a casa per un caffè (abbiamo anche la macchinetta! E io che speravo di diminuire la mia dipendenza!)
Un abbraccio a tutte!

sabato 19 marzo 2016

se mangiare in pubblico è come camminare nuda tra la folla

Settimana scorsa mi è successa una cosa strana. Ho mangiato uno yogurt per colazione - e non è questa la cosa strana: mi sto sforzando di fare sempre colazione anche quando non ne ho voglia - e non ho pranzato - neppure questa è la cosa strana, purtroppo - e meditavo di non cenare neppure, approfittando del fatto che il mio fidanzato tornasse a casa tardi e potevo dirgli di avere già mangiato, ma appena uscita da lezione ho cominciato a pensare insistentemente al fatto che DOVEVO mangiare qualcosa. Mi sono avviata in centro con alcuni compagni con una scusa e poi ho camminato senza meta per quasi un'ora per cercare di decidere cosa mangiare, come sfogare questo bisogno disperato, e infine mi sono decisa per le patatine fritte olandesi, quelle da mangiare nel cono con le salse. 
Avevo l'acquolina in bocca al solo pensiero ma, allo stesso tempo, mi vergognavo come una ladra ad entrare nel negozio in pieno centro, frequentato principalmente da ragazzi, con la mia borsa del computer, il cappotto, i mocassini, e ordinare un cono di patatine piccole con la salsa tartara o la salsa andalusa. Ho tentennato un po' all'ingresso, poi mi sono fatta coraggio e sono entrata dopo una coppia. Hanno preso un cono medio da dividere, ma sicuramente la ragazza avrebbe soltanto assaggiato qualche patatina senza salsa e lui avrebbe mangiato il resto. Però, insomma, almeno non ero l'unica donna nel locale. Ho anche simulato una conversazione telefonica con un ipotetico destinatario delle patatine, come a dire "queste schifezze non sono per me, sto solo facendo un piacere ad un amico pigro" e ho persino millantato un momento di incertezza nella scelta della salsa - "cos'è che mi aveva detto? Uhm, mi sembra tartara."
Una volta ottenute le mie patatine mi sono defilata in una strada secondaria, sperando di incrociare meno persone possibile. Ho anche pensato di nascondermi dietro un muretto per finire il mio cono in assoluta solitudine ma poi ho preferito camminare, perché mi dava l'illusione di riuscire a smaltirle mentre le mangiavo.
Ed è mentre camminavo che è successa la cosa strana di cui vi parlavo. Anzi, le cose strane, perché sono state ben due.
La prima. Ad un certo punto ho sentito i passi alle mie spalle farsi più rapidi e vicini, finché un uomo sulla trentina, in abiti da ufficio, mi ha affiancata. "Sei tu che profumi di patatine, allora! Ti seguo da cento metri e continuo a sentire questo profumo, ma non riuscivo a capire da quale negozio arrivasse. Che fame!" Mi ha sorpreso che abbia detto "profumo di patatine" per indicare quella che io avrei chiamato "puzza di fritto" e mi ha fatto sorridere il modo in cui, dopo un rapido scambio di battute sulle patatine e sulla sua cena ormai prossima, mi ha salutata dicendo "che bello vedere una donna elegante che mangia le patatine fritte! Hai dato un senso al mio ritorno a casa".
La seconda. Mentre stavo finendo le mie patatine e intanto tornavo verso strade più popolate ho incrociato una donna con cappotto, borsa elegante e scarpe col tacco, che aveva in mano il mio stesso cono. Ci siamo scambiate uno sguardo d'intesa, mi ha sorriso, ha sollevato il cono come a simulare un brindisi. "Dopo una giornata di lavoro ci meritiamo un piccolo vizio" ha detto, e ha strizzato l'occhio.
Profumo di patatine. Un "piccolo" vizio. 
Quando ho incrociato il mio riflesso in una vetrina non ci ho visto una donna elegante che mangiava le patatine ma una ragazza sovrappeso che si ingozzava goffamente. Per me un cono di patatine fritte mangiate da sola alle sette di sera in una strada affollata non è un piccolo vizio. È una follia. Un gesto inconsulto e malato. Una mossa da bulimica disperata o da binge eater incallita. 
Ma cosa vedono gli altri? Ammesso che ci vedano, perché forse la maggior parte di loro non fa neppure caso al fatto che tu stia mangiando, o a cosa. Ho sentito chiaramente un tipo dire ad un altro, vedendomi armeggiare con le bacchettine di legno nel cono, che anche lui aveva voglia di noodles. Potevo stare mangiando qualsiasi cosa, o non stare mangiando affatto, la maggior parte delle persone normali non ci fa caso.
O, se ci fa caso, non è perché pensa che tu sia disgustosa, sporca e volgare come ti senti mentre ingoi quelle calorie ingiustificate, ma perché ha fame come te o, come te, si è appena concesso uno sfizio. Le patatine da passeggio per la maggior parte delle persone sono uno sfizio da concedersi, non un peccato da non commettere.
Quanta gente mangia senza pudore sui mezzi pubblici, nei negozi, nei chiostri dell'Università? Lo fa con la naturalezza di chi sta facendo una cosa assolutamente permessa in pubblico, mentre io mi sento come se mi stessi masturbando, o stessi facendo la pipì sul marciapiede o mi stessi infilando le dita nel naso. Non riesco a convincermi del fatto che mangiare in pubblico da soli sia un'attività socialmente accettata, per me rimane un tabù. 
Se sono costretta a mangiare da sola in mezzo alla gente - come ieri che dovevo lavorare in fiera dalle due alle nove e non avrei avuto tempo di mangiare dopo, così ho dovuto farlo nel tragitto dall'università alla fiera - cerco di farlo il più in fretta possibile, senza alzare gli occhi dal cibo per non incrociare quelli (che io sono sicura siano) accusatori della gente che mi circonda, ingozzandomi fino a sentire l'esofago bruciare e lo stomaco tirare, non vedendo l'ora di poter buttare eventuali sacchetti, tovaglioli, piatti e tutto ciò che denuncia la mia colpa.
Per me mangiare in pubblico è quasi come camminare nuda tra la folla, mi vergogno e mi sento in colpa come se stessi facendo qualcosa di terribile e che, allo stesso tempo, mi rende vulnerabile, e voi che rapporto avete col mangiare (da sole) in pubblico? 
Buon weekend, vi auguro che sia piacevole e rilassante come lo auguro a me stessa!

martedì 8 marzo 2016

tutto cambia ma io resto sempre la stessa (stupida)

Ragazze, perdonate la latitanza ma sono state settimane pienissime e non ho avuto mai tempo per dedicarmi a me stessa, al blog e persino ai miei amati esercizi.
Da settimana scorsa io e il mio fidanzato siamo andati a vivere insieme e la settimana precedente è stata snervantissima, perché sembrava che il nostro ingresso nella casa nuova sarebbe stato ritardato ulteriormente ed avevo i nervi a fior di pelle - il che, comunque, ha avuto l'effetto positivo insperato di farmi perdere due chili e mezzo in una manciata di giorni, poi prontamente ripresi, purtroppo.
A trasloco (quasi) ultimato sono molto più serena, anche se il ritmo al master si sta facendo sempre più serrato, con esami e lavori di gruppo, e io uso i giorni di riposo per lavorare, perché voglio pagare la mia parte di affitto, contribuire alle spese della casa e in più mettere da parte ogni mese qualcosa nel fondo "base mutuo" che abbiamo creato insieme. È una follia e so che non mi fa bene tenere questi ritmi, soprattutto se voglio conservare anche una dignitosa vita sociale, ma finché non crollo non mollo. Finché non crollo corro, così capita che mi svegli alle sette per percorrere quasi tutta Firenze a piedi alla ricerca di uno scorcio adatto per le foto e tre ore dopo sia già a Milano, e dopo un'altra ora al lavoro, e poi a cena dai miei, e poi a scervellarmi per uno dei tanti lavori di gruppo del master. 
Non so se mi piaccia questa vita al cardiopalmo, fatta di corse sul filo del ritardo, non credo di volere (e potere) vivere così per sempre, ma finché si tratta di qualche mese, dopo il torpore di quest'inverno strano, ben venga.
Almeno, presa dai mille impegni, mi capita di non pensare al cibo per ore intere, salvo poi stringermi i fianchi tra le dita perché sono troppo grossi, molli, deformi. Nella casa nuova non abbiamo ancora la bilancia (il mio fidanzato vorrebbe non comprarla mai) e quindi non mi peso da più di una settimana, ma aspetto e temo il momento in cui, domani mattina, rincontrerò la mia fedele nemica. So di essere grassa. Lo sento. La bilancia può solo dirmi quanto.
Nella casa nuova non ho neppure una ciclette, e sono riuscita a fare gli esercizi solo due sere in tutta la settimana. C'erano scatoloni da svuotare, scaffali da riempire, cassetti da pulire. 
Ho cercato di mangiare bene, però, senza saltare colazione e pranzo per poi arrivare affamata a cena, ma in questi giorni ho sempre voglia di mangiare. La scorsa settimana, addirittura, ho comprato una fetta di pizza e l'ho mangiata nel parcheggio del supermercato, seduta in macchina, incapace di aspettare persino di essere a casa al sicuro dagli sguardi della gente. E poco importa che io l'abbia eliminata quasi subito - il bello di essere intollerante al lievito - perché la considero comunque un'abbuffata. La modalità era quella tipica delle mie abbuffate storiche: ho progettato la sosta nel tal supermercato, ho studiato quali prodotti comprare insieme al mio obiettivo (in questo caso un deodorante, uno spazzolino e delle salviette struccanti) per non dare troppo nell'occhio - non so voi, ma a me sembra sempre di avere un cartello gigante con scritto "bulimica in crisi" quando al supermercato compro cibi pronti in quantità sospetta - e poi ho divorato la pizza in assoluta solitudine, con la radio spenta, persino, per riuscire ad assaporare meglio il gusto del peccato. E il bello è che non sentivo nulla. Anzi, ad un certo punto mi ha dato quasi il voltastomaco, il formaggio freddo, l'unto, il pomodoro con quel caratteristico sapore da mensa industriale, ma ho continuato a mangiarla, ancora più avidamente, impaziente di finirla. E quando l'ho finita non ho sentito nulla. Non la soddisfazione delle abbuffate gloriose della mia era bulimica, non il senso di colpa degli scivoloni delle epoche anoressiche. Solo vuoto, di nuovo, e un po' di vergogna per la gente che passava davanti alla mia macchina e che mi vedeva divorare un trancio di pizza come se ingurgitare quei carboidrati fosse la mia unica ragione di vita.
Il rischio della convivenza è la felicità. Sono sempre stata grassa nei miei periodi più felici. Posso misurare la mia felicità passata in base alle taglie indossate, il che è paradossale, considerato il mio segreto (qui non troppo) desiderio di rientrare nella 38. Ora che si avvicina l'estate, che dovrò riscoprire le gambe, le mie gambe grasse, cellulitiche, vorrei solo poter perdere un chilo alla settimana, sembrare un'altra agli occhi dei miei colleghi che mi hanno conosciuta così e che non possono neppure immaginare che questa ragazza in salute, raffinata e amante del buon cibo, per anni si è infilata le dita fino all'epiglottide per cacciare fuori ogni briciola di pane, e rifiutava aperitivi senza batter ciglio, perché ad ogni bicchiere di vino negato sapeva corrispondere cento grammi in meno l'indomani.
Che poi, io neanche vorrei tornare quella che ero. Vorrei persino non esserlo mai stata, per non dover fare i conti con l'inconscio che idealizza gli anni magri e sfuoca gli aspetti più crudi. Eppure vorrei essere magra. Non intelligente, non brillante, non affascinante, non simpatica, non interessante. Magra
Ma finché il tempo da dedicare a questi pensieri malati è così poco, posso stare tranquilla: i pensieri non si tradurranno mai in progetti.
Vi abbraccio e spero di riuscire a passare da tutte voi!

martedì 16 febbraio 2016

4513366, il terzo numero di matricola in sei anni

Di nuovo tra i banchi, non più alla cattedra, ma di nuovo seduta a prendere appunti, a preparare esami, ad appassionarmi a nuovi corsi, a immaginare scenari futuri che forse non si realizzeranno mai, come quelli che immaginavo da matricola universitaria.
Rimetto tutto in discussione, provo una strada diversa, un po' per curiosità, un po' per disillusione. L'accademia è una via impervia, la scuola una strada dissestata, vediamo dove mi porterà quest'altro percorso.
Mi sento in balìa dei venti, e per il marinaio che non sa dove andare ogni porto è allo stesso modo appetibile e pericoloso, desiderabile e odioso. 
Un giorno sono contenta, elettrizzata, avida di nuove esperienze. Un giorno sono demotivata e dubbiosa, timorosa di aver sbagliato tutto. Un po' mi conforta parlare con i compagni di avventura, tutti indecisi, confusi, con tante energie ma nessun progetto preciso in cui spenderle. Mi rivedo in loro, nei loro occhi spaesati, nelle loro paure, nella loro scelta di rimettersi in gioco dopo una laurea triennale o una magistrale senza prospettive, nella speranza di trovare uno scopo e cominciare a costruirsi qualcosa di solido, ché è bello fare gli studenti squattrinati ma tutto a suo tempo, e io non ho più voglia di quella vita.
Ho talmente poca voglia di fare la vita da studentessa che ho glissato il primo invito ad uscire dei compagni di master. Andavano a ballare, venerdì sera, ma io non avevo alcuna voglia di fare la vagabonda con una borsa di vestiti e di trucchi, ospite nel monolocale di una semisconosciuta dove saremmo tornati con i mezzi all'alba, avremmo dormito un paio d'ore tutti nello stesso letto per poi presentarci a lezione con i capelli che puzzano di fumo.
I primi tempi all'università ne ho fatte tante, di serate così. Vestiti da antichi romani su un tram, talmente ubriachi da non riconoscere la fermata alla quale dovevamo scendere. Seduti per ore su un muretto ad aspettare un bus sostitutivo destinato a non arrivare mai. In coda dal kebabbaro aperto tutta la notte. Tre chilometri a piedi per colpa di quel maledetto bus sostitutivo che alla fine non arriva e già si vede l'orizzonte che si fa chiaro. A quei tempi non mi tiravo mai indietro, anzi, ero spesso io la prima ad organizzare, ad animare il gruppo.
Sarà la vecchiaia. Sarà, come dice il mio fidanzato, che non sento il bisogno di crearmi un nuovo giro di amicizie, perché quello che ho mi basta e mi soddisfa, mentre molti dei miei nuovi compagni arrivano da altre città e sono tutti ansiosi di farsi nuovi amici. Sarà, anche se quell'entusiasmo da matricola dei primi mesi di università, quando andare a lezione per me era come andare ad una festa, un po' mi manca.
In effetti devo ammettere che il mood con cui cominciavo l'università era ben diverso. Arrivavo da due anni infernali e avevo una disperata voglia di mettere una pietra sopra a tutto lo schifo e ricominciare daccapo, una nuova Euridice. Addio Euridice cupa ed asociale, iper-riflessiva, iper-ansiosa ed iper-critica e benvenuta Euridice socievole, allegra e propositiva, che non solo non rifiuta gli inviti ma è la prima a farne.
Durante l'estate s'era sgretolata la compagnia storica del liceo, avevo bisogno e voglia di conoscere persone nuove e avevo la fortuna di poter pescare in un bacino di persone con interessi simili ai miei. Ho conosciuto I. il primissimo giorno, davanti all'aula della prima lezione (sospesa) della mia vita e S. qualche giorno dopo, durante uno dei lunghissimi pranzi dei primi mesi, ed oggi sono ancora le persone con cui passo le serate, scambio messaggi e vado in vacanza. 
È vero che farsi degli amici nuovi non significa rimpiazzare quelli vecchi, ma è anche vero che se si ha un bel gruppo di amici si è meno motivati ad approfondire la conoscenza di persone nuove. Però voglio impegnarmi a conoscerli meglio, perché presto inizieranno i lavori di gruppo e perché non è escluso che tra questi trenta sconosciuti non si nasconda qualcuno con cui potrei costruire un rapporto altrettanto bello e duraturo. E poi non voglio sembrare una snob che per pranzo scompare per raggiungere altri amici, cosa che ho effettivamente fatto settimana scorsa, e rischiare di essere esclusa dal neonato gruppo.
Per quanto riguarda il resto, abbiamo firmato il contratto di locazione, quindi a brevissimo entreremo nella casa nuova. Sono felice, perché è tanto che aspettiamo di fare questo passo, ma anche un po' preoccupata perché sono una persona molto indipendente e ho paura di sembrare scostante. Il mio fidanzato nei giorni che passiamo insieme vorrebbe sempre fare tutto insieme - cucinare, lavare i denti, andare a dormire insieme - mentre io sono molto più gelosa dei miei spazi. Ho bisogno della mia mezz'ora sul tappetino, a fare i miei esercizi, dei miei momenti di isolamento, di starmene in silenzio per i fatti miei e non vorrei che lui ne soffrisse, ma non voglio neppure rinunciare al mio carattere per fargli un favore. La questione riguarda anche il cibo: lui vorrebbe che noi mangiassimo sempre le stesse cose e persino nelle stesse dosi. Se impiatta lui divide sempre scientificamente a metà e io lo accuso di volermi grassa. Non capisce che per me a cena è sufficiente un piatto di verdure o che se mangio la pasta 60gr sono già troppi. Siamo stati insieme da venerdì sera a questa mattina e oggi pesavo un chilo e mezzo in più rispetto a venerdì mattina, tanto per dire. È chiaro che non posso mangiare come vorrebbe lui per sempre, altrimenti nel giro di due mesi dovremo sfondare gli stipiti delle porte.
Sul fronte cibo è un periodo disastroso: alterno restrizione a giorni in cui mangio da normale a tanto con l'ovvio risultato che nei giorni in cui restringo non ingrasso né dimagrisco e nei giorni in cui mangio (troppo) metto su subito un chilo. Oggi ho sfiorato i 65 e, nonostante stia facendo pesi e quindi in parte abbia incrementato la massa muscolare, sono ingrassata e lo sento, soprattutto sulla pancia e sulle cosce. Devo correre ai ripari, ma tra la schiscetta nei giorni di master (abbiamo solo un'ora di pausa) e gli eccessi del weekend non è per nulla facile. Anche perché i pranzi più facili da portare in uni sono sempre a base di carboidrati (cous cous, farro, pasta fredda e similari) anche perché sono quelli che danno la sensazione di sazietà e permettono di resistere alle lezioni pomeridiane (finiamo alle 18.30) senza crisi ipoglicemiche, ma così mangio molti più carboidrati del solito e le mie maniglie dell'amore ne sono testimoni.
Si accettano consigli per schiscette creative ma tenete presente che faccio lezione in aule caldissime, quindi no a prodotti deperibili come yogurt e verdure fresche. Dev'essere per forza qualcosa di cotto e possibilmente che si possa mangiare freddo perché non abbiamo a disposizione nessun microonde, anche se sto meditando di comprare lo scaldavivande portatile con la presa! 
Sapete che c'è? A settembre si sposa una mia cugina e io voglio perdere dieci chili. Almeno.

giovedì 4 febbraio 2016

di cose lasciate in sospeso, incompiute e morte

Il quattro febbraio di due anni fa è morta la zia del mio fidanzato. È stato il primo vero lutto della mia vita, anche perché profondamente diverso dai precedenti. Fino ad allora, infatti, avevo sempre visto nella morte una sorta di liberazione – così era stato per mia zia, malata di diabete e costretta a subire diverse amputazioni agli arti inferiori; così anche per la mia cuginetta malata di cancro, sottoposta a tre o quattro interventi inutili e dolorosi. La morte, in quei casi, mi era parsa l'unica soluzione ovvia, l'unica via d'uscita.
S., invece, quando è morta stava bene, benissimo. Aveva poco più di trent'anni e stava vivendo il periodo più bello della sua esistenza: aveva un lavoro fisso, aveva comprato una casa con suo marito, erano appena riusciti ad adottare un bambino quando un infarto se l'è portata via nel giro di un paio d'ore, dalla telefonata con cui, alle 12.40, il mio fidanzato mi diceva di correre da lui, ché S. era in ospedale, al nostro arrivo al suddetto ospedale, poco dopo le due.
Per tutto il tempo del viaggio in macchina ho ripetuto ad A. e a me stessa che non poteva essere una cosa grave, perché lei non era malata di cuore, perché era giovane e in salute, e perché gli infarti arrivano dopo i cinquant'anni, e statisticamente colpiscono di più gli uomini. E poi l'ambulanza era arrivata nel giro di pochi minuti, l'ospedale in cui l'avevano trasportata era a pochi chilometri, e si sa che in caso d'infarto la tempestività è fondamentale. Avete presente quando, nonostante vi troviate in una situazione di pericolo, avete la netta certezza che andrà tutto bene? Ecco, io mi sentivo così. Ero sicura che saremmo arrivati e l'avremmo vista in un letto della terapia intensiva, magari un po' malconcia ma cosciente. Ci avrebbe salutati con un cenno da dietro il vetro e poi saremmo entrati a salutarla uno alla volta, con la mascherina e il camice.
Invece quando siamo arrivati nel parcheggio dell'ospedale la mamma di A. ci aspettava fuori dalla porta del pronto soccorso e ha detto solo “Non ce l'ha fatta”, come nei film, quando il medico raggiunge i parenti nel corridoio con lo sguardo contrito e sai già che sta per dire “Non ce l'ha fatta”. Io però non lo sapevo, non me l'aspettavo, e il fatto di non aspettarmelo ha decuplicato il mio dolore.
So che è assurdo, ma continuo a pensare che avrei preferito che morisse dopo una lunga malattia. È un pensiero crudele ed egoista, me ne rendo conto, ma avrei voluto abituarmi all'idea che lei dovesse andarsene, avrei voluto accettare la sua morte prima ancora che morisse, e invece non sono riuscita ad accettarla neppure dopo.
Mentre il mio fidanzato entrava a darle un ultimo saluto io ho aperto la nostra ultima conversazione. S. mi aveva scritto la sera prima per commentare delle foto che avevo pubblicato su facebook e propormi una gita domenicale per la primavera, come quelle che facevamo prima che arrivasse il suo bambino. A un certo punto avevo smesso di risponderle perché ero andata a prendere un caffè da L. e avevo lasciato il cellulare a casa pensando che avrei proseguito la conversazione l'indomani. E ora quell'ultima domanda di S., “Hai finito gli esami per questa sessione?”, non avrebbe più avuto risposta, né ci sarebbe stata la gita a Torino o un'altra cena nella loro casa nuova che odorava ancora di infissi nuovi.
Comunque - non prendetemi per pazza - in quel momento avrei voluto risponderle. Soltanto un “sì”, giusto per non lasciare quella domanda in sospeso, perché quella sensazione di incompiuto mi metteva angoscia.
Questo è quel che più mi spaventa della morte: l'idea che ci sia qualcosa in sospeso, di andarmene lasciando a metà dei progetti, la scrivania in disordine, questioni irrisolte. Tanto che, nel mio periodo di ipocondria, facevo sempre in  modo di avere tutte le mie cose in ordine e aggiornavo quasi quotidianamente una lettera di saluto ai miei genitori ed amici che conservavo in un cassetto della scrivania.
Mi mette angoscia leggere i messaggi che la gente lascia sulle pagine Facebook delle persone che muoiono; dopo la morte di S. gliene scrivevano ogni giorno, e io inconsciamente mi aspettavo che da un momento all'altro comparisse un suo commento, o almeno un "mi piace".
Avete presente quelle cose che si dicono, che oggi ci sei e domani chi lo sa, che bisogna vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo perché uno prima o poi sarà l'ultimo per davvero? Beh, io non le avevo mai davvero realizzate nella loro pienezza prima della morte di S. Forse perché fin da piccola sono sempre stata convinta che morirò dopo una lunga agonia, di cancro o di sclerosi multipla, non avevo mai pensato alla possibilità che la persona con la quale stai messaggiando possa morire prima di ricevere la tua ultima risposta, o che tu stessa possa morire senza averla inviata.
Oggi pensavo a S., che sarebbe stata contentissima per la casa, e sarebbe stata una delle prime a venire a cena da noi, e poi alla gita a Torino mai fatta, e al messaggio che non ha mai avuto risposta e a tutte le cose non fatte nel mondo, rimandate perché pensiamo sempre di avere tempo in abbondanza, e invece il nostro tempo è così poco.

Scusate per questo post, ma è tutta la sera che piango e volevo condividere con voi questi miei pensieri sconnessi.

giovedì 28 gennaio 2016

fine del mese di stallo: il 2016 può iniziare davvero

Le cose pian pianino si smuovono, la palude si sta ritirando, e forse persino il mio corpo ha disattivato la modalità stand by.
Nei giorni scorsi ho mangiato più del solito, avevo fame, o forse era più che altro voglia di mangiare - è impossibile per me accorgermi della differenza, dopo tanti anni passati ad ignorare la fame - fatto sta che mi sono concessa degli sfizi fuori pasto, ho mangiato tantissimi carboidrati e mi sono persino ritrovata ad avere voglia di dolci, che a me generalmente non piacciono. Ieri temevo il peggio e invece, paradossalmente, ho perso un chilo.
E, ancor più incredibile, riesco a vedere quel chilo che ho perso: ho la pancia più sgonfia e piatta, anche se i fianchi continuano a sporgere oltre il limite che ho arbitrariamente deciso per loro.
Si è sbloccato tutto di punto in bianco, come se una forza invisibile avesse tolto il tappo che impediva alle cose di muoversi o un telecomando gigante avesse finalmente premuto "play" dopo un paio di mesi di "pause". 

Così all'improvviso ci sono buone notizie sul contratto del mio fidanzato, mi è arrivato lo stipendio di novembre (ma non di ottobre, chissà se lo vedrò mai!) e, rullo di tamburi!, abbiamo trovato una casa. L'inquilina che doveva lasciarla a fine mese, però, ha chiesto di poter rimanere fino a metà febbraio, finché non si sistema con il suo nuovo lavoro all'estero, e quindi non entreremo prima del 20 del mese prossimo, o forse direttamente a marzo. 
Però la casa c'è e non dobbiamo più incastrare nei nostri impegni le visite ad improbabili catapecchie, né alimentare l'insonnia scorrendo con rassegnazione l'homepage di Idealista e Immobiliare.it. È fatta. La prima cosa che abbiamo comprato per la casa nuova sono stati dei cuscini color senape e gli asciugamani del bagno ché, si sa, i dettagli sono fondamentali. 
Non vedo l'ora di archiviare gennaio, con la sua grigia attesa e il pensiero fisso "dovrei ricominciare a vomitare", e inaugurare febbraio con un mood diverso e con una ritrovata energia. 
Ho sostituito al miraggio bulimico un progetto più sano: mi sono comprata delle scarpe da ginnastica muove al Decathlon, fucsia con le stringhe arancioni, e lunedì - che per altro è il 1 febbraio, quale data migliore per cominciare qualcosa di nuovo di un giorno in cui coincidano inizio della settimana ed inizio del mese? - inizio un nuovo programma di tonificazione, la Top Body Challenge di Sonia Tlev. Dopo aver fatto a più riprese tutti i livelli della 30days Shred di Jillian Michael avevo voglia di qualcosa di nuovo e di più mirato al modellamento del corpo. Non c'è, infatti, una parte consistente di cardio, come nella 30days Shred, ma ci sono tanti addominali e esercizi per definire le forme femminili, sembra davvero un programma ben strutturato, non vedo l'ora di iniziarlo.
Ho bisogno di vedere dei risultati, di toccare con mano la possibilità di creare un corpo diverso, bello e armonioso, senza dover ricorrere ai mezzucci che ben conosco. In queste ultime settimane, davvero, mi sono ritrovata a pensare di dover vomitare con una frequenza che non mi capitava da anni. Sono arrivata a tanto così dal farlo davvero, avevo già lo spazzolino in mano, pronta a infilarmi il manico in gola, ma poi è suonato il telefono e mi sono distratta a concordare un lavoro. 
Mi vergogno di questo pensiero ricorrente e vorrei mettere a tacere quella vocina che dice "una volta ogni tanto non fa male, una volta ogni tanto non è essere bulimiche. Lo fanno anche le ragazze normali. Sarebbe solo per limitare i danni di una cena troppo pesante, sarebbe l'equivalente della citrosodina!" perché io so che non è vero. So che il passaggio da vomitare una tantum a farlo abitualmente, dopo ogni pasto, è incredibilmente rapido, so che sarebbe un attimo ritrovarmi a vomitare anche il caffè, perché una volta che ci "prendi la mano" è maledettamente comodo abusare di questo metodo, so che devo resistere alla tentazione di farlo "una volta soltanto", perché non sarebbe mai una sola. 
Almeno quando vivrò nella casa nuova avrò la scusa dei 65mq, di un piccolo bagno che confina con la camera da letto e nel quale è molto difficile nascondersi a fare queste operazioni. Ma devo resistere alla tentazione anche adesso, che sono quasi sempre da sola e ho un bagno tutto mio, perché se cedo una volta è finita, e non me lo posso permettere, ho troppe cose che mi aspettano e non voglio rovinarmele.

venerdì 22 gennaio 2016

riempire le attese senza svuotare i corpi

Vorrei essere più costante, scrivere più spesso e commentarvi più spesso, ma i giorni scorrono così veloci, gennaio volge già quasi al termine e io ancora scrivo '15 ogni volta che devo segnare la data. Il tempo corre veloce e io fatico a tenere il passo, come quando andate in giro con un'amica dalle gambe molto più lunghe delle vostre e per starle dietro vi tocca quasi correre.
E poi sto cercando di pensare il meno possibile alla questione peso e cibo, perché è uno di quei periodi in cui sono particolarmente vulnerabile e quindi particolarmente a rischio ricadute. Dopo anni di alti e bassi sono in grado di riconoscere gli elementi di rischio, le situazioni che rischiano di provocare la ricaduta, e quindi mi sforzo di evitarle o, almeno, di ridurne il peso (tanto per rimanere in tema).
Una caratteristica comune a tutte le ricadute degli ultimi anni è che il dca si è sempre insinuato in un periodo di stallo, di attesa e di incertezza, e questo lo è decisamente: aspetto l'inizio del master preoccupata di pentirmi della mia scelta, di non trovarmi bene come negli anni di università, di non riuscire a fare amicizie, di sentirmi sola e sbagliata, fuori posto e senza meta. Aspetto gli stipendi di ottobre, novembre e dicembre e intanto ho ricominciato a lavorare nello stesso posto in cui ero in autunno, questa volta mi trovo meglio e anche i colleghi sono più carini; tra l'altro anche la mia amica S. è lì per qualche settimana e abbiamo ricominciato a pranzare insieme come quando eravamo compagne di corso, il che ha esacerbato la mia nostalgia dell'uni. Aspetto di trovare una casa da prendere in affitto con il mio fidanzato, ma la ricerca è più difficile ed ansiogena di quanto pensassi e sembra che in ogni casa che andiamo a vedere ci sia sempre una fregatura ad attenderci: cauzione pari a 6 mesi d'affitto, 1500€ di commissioni da pagare all'agenzia, finestre solo in alto, sesto piano mansardato senza ascensore e senza condizionatore, proprietari che non vogliono mostrare la casa prima di aver ricevuto un versamento di 1600€, topaie per studenti vendute a cifre surreali. Non avevo nessuna esperienza nella ricerca di un affitto e non avevo assolutamente idea di come funzionasse il mercato immobiliare della mia città e sono rimasta letteralmente disgustata dal comportamento spregiudicato di alcuni agenti che cercano di spacciarti un tugurio in una zona piuttosto malfamata per un "open-space servitissimo dai mezzi". Dovesse andarmi male col master aprirò un servizio di consulenza per studenti o giovani non del posto che cercano una sistemazione per salvarli dalle peggio fregature e indirizzarli verso i (pochi, ma per fortuna esistenti) venditori onesti.
Comunque aspetto, ed è un'attesa fitta di ansie e preoccupazioni. Per questo temo la ricaduta. Perché per me il dca è sempre stato un modo per incanalare le energie verso un obiettivo certo, sicuro, e relativamente facile da raggiungere.
Come in agosto, l'ultimo periodo di digiuni e bugie, quando all'incertezza rispetto al futuro e all'ansia derivante dalla tesi ho risposto con la più rassicurante delle routine: perdere peso. Il dca è un ottimo catalizzatore di ansie e di paure, una lente macro che sfuoca tutto ciò che si trova sullo sfondo e l'unico scopo diventa pesare trecento grammi in meno la mattina successiva, un chilo in meno a fine settimana, rientrare nel jeans di Bershka taglia 40 che hai comprato soltanto come metro di magrezza, perché la 40 di Bershka è più piccola della 40 di Zara, e che trascorre l'eternità sul fondo di un cassetto per essere riesumato ogni volta che scendo sotto il 59.
Insomma, da quando è cominciato quest'anno, complice la delusione di un peso che non scende più, convivo con la tentazione di "impegnarmi di più". So come fare, basterebbe smettere di pranzare con S. o, almeno, limitarmi ad un'insalata scondita. Basterebbe tornare a casa per pranzo e dire a mia madre che ho mangiato fuori, poi uscire e dire che ho già mangiato a casa. Basterebbe saltare la colazione e sminuzzare un pacchetto di crackers in un sacchetto per gli alimenti congelati dal quale pescarne qualche briciola alla volta, per arrivare a cena con un consistente "debito calorico". Ma non lo voglio fare, non lo posso fare. 
Cerco delle distrazioni, in particolare nello sport. Sto seguendo un programma di allenamento che dovrebbe rendere il mio corpo tonico, se proprio non posso averlo magro. Si tratta soltanto di un'ossessione al posto di un'altra, lo so, ma almeno è una fissa sana, e finalmente si cominciano ad intravedere gli addominali. 
E poi a me piacciono i corpi tonici. Mi sono sempre piaciuti sulle altre, anche quando per me desideravo, piuttosto, un corpo scavato e asciutto, senza muscolo e senza forme. Mi sembra che trasmettano salute e vitalità, energia e forza, e vorrei che anche il mio corpo smettesse di essere alternativamente sexy o disgustoso e fosse invece atletico, sano, armonioso.
Non voglio avere un fisico da culturista, sia chiaro, come quelle che in palestra sollevano 80kg e hanno spalle da muratori, ma ultimamente ho rivalutato le cosce muscolose a discapito di quelle scheletriche, i sederi pieni e sodi al posto di quelli piccoli e quasi invisibili, le pance piatte perché modellate sul muscolo e non sulle ossa. 
L'altroieri, nell'area benessere della palestra, c'era una ragazza magrissima che entrava e usciva dalla sauna e un'altra, con un bel fisico scolpito ma per nulla magra, che faceva l'idromassaggio. L'ho indicata di nascosto al mio fidanzato, facendo un apprezzamento sul suo sedere - piccola parentesi: lo faccio spesso di indicare al mio fidanzato quelle che per me sono delle belle donne, e non per rispondere con una scenata di gelosia se lui concorda, ma perché mi piace mettere a confronto i nostri canoni di bellezza femminile! - e lui ha osservato che si aspettava che gli facessi notare l'altra, quella magrissima, per poi aggiungere che il fatto che il mio ideale di corpo perfetto stia gradualmente cambiando è, secondo lui, un buon segno.
Non so se abbia ragione e se continuerà a piacermi l'idea di modellarmi un corpo simile, scattante e forte, quando per anni ho inseguito il sogno di essere sottile e delicata, una "cosa" fragile da proteggere, non atletica e dalle forme scolpite, quelle forme che ho sempre voluto nascondere.
Forse è solo la mania del momento, una distrazione come un'altra, forse non è neppure così salutare come credo, ma intanto quando mi alleno sto bene, e sono costretta a mangiare in modo sano e regolare.
E voi, qual è il vostro ideale di bellezza femminile? Come vorreste essere se poteste trasformare il vostro corpo senza fatica alcuna? 
Io, allo stato attuale delle cose, vorrei essere così

mercoledì 13 gennaio 2016

poi basta un numero troppo alto e al diavolo tutti i buoni propositi

Ieri mattina un'ora di palestra, ieri pomeriggio 10km di corsa e camminata veloce con il mio migliore amico, (poco) cibo sano a parte un paio di fette di crudo di troppo a cena, complice la fame post-corsa, e questa mattina peso più di ieri, che già pesavo più dell'altroieri.
Io vorrei davvero smettere di pensare al peso e vorrei davvero che non condizionasse in questo modo la mia esistenza (tipo che adesso sono indecisa se bidonare un'amica che dovevo vedere per l'aperitivo) ma sento che per smettere di pensarci lui deve smettere di aumentare.
Che poi, davvero, cos'è che sbaglio? Da prima di Natale non faccio che mettere su peso, tornata da Roma pesavo 61kg (già troppi, ma ancora nella comfort zone) e ora ne peso 64. Eppure dopo gli eccessi di Natale mi sono rimessa in riga, con l'unico risultato che invece di perdere i due chili presi (comprensibilmente) durante le feste ne ho preso un altro e totalmente senza motivo. 
È vero che sto facendo tantissima palestra in questi giorni - squat, addominali, esercizi per braccia e schiena... - e si sa che il muscolo pesa più del grasso ma quanto di più? È impossibile che io abbia messo su tre chili di muscoli o sembrerei già Xena la principessa guerriera.
Davvero, ragazze, io lo so che non devo andare in panico in questo modo, ma mi sento impotente e non riesco a gestire la situazione in modo razionale. 
Come vi avevo preannunciato io e il mio ragazzo stiamo cercando casa per compiere questo importante passo insieme e finisco persino per temere il momento in cui vivremo insieme perché non potrò più saltare la cena o fare tre/quattro ore di sport al giorno, e allora cosa mi succederà? Diventerò un'enorme balena flaccida? Tornerò a superare i settanta chili? 
Io mi odio per questo, perché non riesco a vivere questo momento con la gioia e l'entusiasmo che merita, perché sono bloccata dalla paura, prigioniera della mia rassicurante routine, schiava di quei meccanismi di compensazione che a casa, dove sono spesso da sola, posso attuare senza essere disturbata. Ma quando vivrò con A. non mi sarà più possibile: lui già dice che mangio pochissimo, quando vedrà quello che mangio tutti i giorni per tutta la vita gli prenderà un colpo. Di solito quando so che dobbiamo passare molti giorni insieme mi preparo con dei pasti leggerissimi nei giorni precedenti, ma cosa dirà quando mi vedrà mangiare solo verdure tutte le sere? Penserà che sono di nuovo malata, quando in realtà è più probabile che io non sia mai guarita.
Se almeno potessi essere magra, almeno le sue prediche sul fatto che mangio troppo poco, che le zucchine grigliate sono un contorno e non una cena, avrebbero un senso. Ma io non sono magra, se la gente conoscesse la fatica che faccio per essere così non-magra proverebbe una sincera pietà per i miei stupidi sforzi. 
Da novembre rimando l'appuntamento dalla nutrizionista ripetendomi "perdo un chilo e poi vado a dirle che non riesco più a dimagrire" e adesso mi ritrovo con tre chili in più e il problema che era "non riesco più a dimagrire" ora è "non riesco più a non ingrassare". Il fatto è che correrei da lei se pensassi che possa avere la soluzione giusta per me, ma sono di nuovo sfiduciata, di nuovo intimamente convinta di essere condannata a essere per sempre obesa e per sempre in lotta con il mio corpo. Sto seguendo il regime alimentare che lei mi ha dato, prendo l'integratore di iodio che mi ha suggerito, ho fatto tutte le analisi che mi ha prescritto eppure invece di muovermi, anche lentamente, verso l'obiettivo che avevamo stabilito insieme, 56 kg, sto risalendo verso quello da cui tentavo di fuggire quando mi sono rivolta a lei per la prima volta.
Ieri ho scoperto quando iniziano le lezioni del master e ho esattamente quattro settimane da oggi per perdere almeno tre chili. Anche in questo caso, dovrei essere impaziente ed elettrizzata, entusiasta e piena di carica e voglia di fare, e invece vorrei che non cominciasse il mese prossimo, vorrei avere qualche mese extra per poter iniziare questa nuova avventura magra come vorrei.
Potete anche pensare che sia superficiale e sciocca, lo penso anche io, ma il risultato non cambia: la prima cosa che mi viene in mente quando apro gli occhi al mattino è sempre la stessa "quanto peserò oggi? Sarò ingrassata o dimagrita?" con buona pace di tutti i pensieri razionali che mi impongo di fare ogni giorno.
Quando ho letto 64.5 sulla bilancia questa mattina ho persino pensato che potesse essere rotta perché no, non può essere che io sia più grassa del giorno di santo Stefano, ma il mio fidanzato ci si pesa spesso e con lui è sempre costante e coerente (parlo della bilancia come se fosse una persona, è surreale) quindi è ancora funzionante, è il mio metabolismo che è completamente a puttane.
Ma io non so come altro fare a gestire la situazione e, quindi, faccio quello che ho sempre fatto nei momenti di crisi: un'ora di palestra, due ore di ciclette, verdure grigliate a pranzo, vellutata di piselli a cena, e tre litri d'acqua nel mezzo. Forse è sbagliato, forse è malato, ma io non ce la faccio ad essere grassa. Mi ripeto come un mantra che io non sono quel numero, non sono quel numero, ma inconsciamente so che, anche se non sono quel numero, quel numero mi sta dicendo che sono una fallita.

venerdì 8 gennaio 2016

ciò che rimane di noi - 2015 in cifre

Questa notte non riuscivo a dormire, così ho messo l'iPod in riproduzione casuale e ho aspettato il sonno ascoltando la musica, come ho sempre fatto quando l'insonnia minacciava il mio riposo. Ad un tratto è partita una canzone di Ligabue, Ciò che rimane di noi, che non avevo mai ascoltato con grande attenzione e che questa notte, improvvisamente, mi è sembrato che parlasse di me, di voi che condividete esperienze simili alle mie qui su Blogger, di tutti quelli che vorrebbero scrollarsi di dosso un passato ingombrante:

dopo il giro nell'abisso
Non sei più lo stesso
puoi solo andare avanti
con tutto quanto addosso

Queste parole mi hanno colpita perché sono un po' il sunto delle riflessioni di questi giorni, avviate dalla lettura dei vostri commenti e dei vostri blog e che vorrei tenermi come base di partenza per questo anno nuovo appena cominciato e quindi ancora ricco di promesse e forse di illusioni: il passato non si può cancellare, né si possono spegnere i pensieri premendo su un interruttore.
Tutto quello che è stato ce lo portiamo dentro, ha permeato le nostre ossa e i nostri organi vitali e disfarcene sarebbe come tagliar via un braccio o una gamba o un polmone. Dobbiamo tenercelo lì, anche se fa male. 
Devo smettere, insomma, di sperare di svegliarmi una mattina e scoprire che sono miracolosamente guarita, che non penso più alle calorie, che sono diventata ottimista, allegra, attiva, perché non succederà. Questo non vuol dire che sono - siamo - condannata a soffrire per sempre, ma è improbabile che tornerò ad essere quella di prima. In questo gioco imprevedibile che è la vita le regole non sono molto esplicite, ma una è certa: non si torna indietro, si può solo andare avanti, con tutto quanto addosso.

Però alla fin di questo dolore
potremmo sempre e comunque contare
su ciò che rimane di noi

E cosa rimane di me, all'inizio di questo nuovo anno? Per farne un bilancio preciso e non viziato dal cattivo umore delle ultime settimane, e dato che non riuscivo a dormire, ho preso l'agenda del 2015 e ho ripercorso l'anno appena trascorso basandomi esclusivamente sui numeri, che tutti dicono essere più onesti delle parole, in questi casi. 
Da buona compilatrice seriale quale sono e sono sempre stata, io riempio le mie agende di liste, elenchi di cose fatte e da fare, tabelle e simili, perciò non mi è stato difficile recuperare il riassunto del 2015 in cifre, ed ora ve lo riporto, per poterne tirare le somme insieme.
  • Giorni positivi: 197
  • Giorni negativi: 121
(Abitudine conservata da uno dei primissimi periodi di terapia della mia vita, prima ancora dei dca. Mi avevano consigliato di fare un bilancio della giornata prima di andare a dormire e di segnarla in giallo o in blu sul calendario a seconda che la considerassi una giornata felice o triste. Tanto per darvi un metro per valutare questi risultati ci sono stati anni quasi interamente blu e il 2014, senza andare troppo lontano, contava 285 giorni blu. I giorni che sfuggono al computo sono quelli per cui ero in difficoltà a tracciare una linea netta tra buono e cattivo, anche se non sarebbero previsti dalle "regole del gioco")
  • Chili persi: 8
  • Chili presi: 3,5
  • Giorni di digiuno: 2
  • Giorni in cui ho saltato almeno un pasto principale: 43
  • Abbuffate compulsive in solitudine: 1 (ho mangiato una vaschetta di sushi in macchina, nel parcheggio del supermercato, con le mani e rischiando più volte di rovesciare la salsa di soia sul sedile del passeggero)
  • Cene/pranzi alla fine dei quali ho pensato di essermi abbuffata e mi sono sentita in colpa: 61
  • Episodi di misure compensative esagerate (più di tre ore di sport al giorno): 52
  • Episodi di vomito autoindotto: -
  • Attacchi di panico: 3
  • Notti insonni: 14
  • Pensieri suicidi: -
  • Episodi di derealizzazione/depersonalizzazione:2
  • Giorni in cui, almeno una volta nel corso della giornata, ho pensato di essere grassa: 340
  • Giorni in cui, almeno una volta nel corso della giornata, mi sono sentita bella: 48
  • Giorni in cui mi sono sentita stupida ed inutile, ingrata o cattiva: 80
  • Giorni in cui, invece, mi sono sentita utile a qualcuno e ho sentito di aver fatto qualcosa di giusto o ammirevole: 29
  • Giorni in cui ho pensato di non farcela e che tutti i progressi fatti fino a qui siano solo un'illusione: 23
  • Uscite rifiutate a causa del senso di inadeguatezza: 22
  • Uscite accettate nonostante mi sentissi a disagio/brutta/triste/non ne avessi voglia: 84
  • Uscite proposte/organizzate da me: 35
  • Viaggi di varia durata, dai più lunghi ai weekend: 9
  • Obiettivi raggiunti: 4, ovvero laurearmi, fare un'esperienza lavorativa "vera", cioè in regola e con orari prestabiliti (benché per ora ancora senza stipendio), aiutare il mio migliore amico a laurearsi, decidere cosa fare dopo la laurea.
  • Obiettivi falliti: 3, ovvero smettere di pensare ossessivamente al peso/cibo, andare a convivere col mio fidanzato, essere presa al dottorato (anche se ammetto di aver fatto un unico tentativo improvvisato prima ancora di laurearmi)
Ci sono altre voci nelle mie liste, come i cibi nuovi assaggiati o i ristoranti scoperti o i panorami mozzafiato ammirati, ma non vorrei tediarvi eccessivamente e credo, comunque, che le sopraccitate siano le più degne di nota, sufficienti a trarre un bilancio del 2015.
In definitiva è stato un anno positivo, a tratti molto positivo, e i momenti bui rispetto al 2014 (per non parlare degli anni precedenti) sono stati relativamente pochi e circoscritti ad alcuni periodi dell'anno. Certo, non sono mancati giorni di sconforto e pensieri autodistruttivi, ma sono in diminuzione rispetto agli anni precedenti e questo non può che farmi piacere, vuol dire che posso continuare questa tendenza, nonostante le inevitabili battute d'arresto.
Si sa che all'inizio dell'anno ci è concesso sognare, fare grandiosi propositi e prometterci un sacco di cose che poi non si realizzano mai, perciò per ora voglio credere che questo 2016 sarà un anno buono, checché se ne dica degli anni bisestili.


venerdì 1 gennaio 2016

propositi per l'anno vecchio

Ho tanti progetti e speranze per questo 2016, ma un unico reale desiderio: vorrei smettere di dipendere così disperatamente dal giudizio della bilancia. Vorrei che non capitasse più che un numero troppo alto sullo schermo digitale di un piccolo oggetto di vetro e terminazioni elettriche mi rovini la giornata, com'è successo oggi. Vorrei essere in grado di salire sulla bilancia con lo spazzolino in mano, come fa il mio fidanzato, guardare distrattamente il responso - e magari non chiamarlo neppure responso, ché la bilancia non è un oracolo - e ignorarlo serenamente.
Non c'è nulla che voglia più di questo: essere libera da queste catene che diventano ogni anno più pesanti, più opprimenti, ed io non ho più la forza per sopportare questa prigionia autoinflitta. 
Da un paio d'anni non scrivo più i propositi per l'anno nuovo per non dover vedere, al primo posto, "dimagrire". Prima di "essere felice", "trovare una casa per me e il mio fidanzato", "visitare posti nuovi", cose che, malgrado abbiano indiscutibilmente più valore, sono sempre subordinate a quell'unico stupido, materiale, fisico desiderio: pesare di meno. 
Anni di desideri sprecati guardando le stelle cadenti, soffiando sulle candeline, cogliendo un quadrifoglio, quando ad ogni legittima richiesta il mio inconscio ha sempre premesso "dimagrire". "Cosa vuoi più di tutto, in assoluto?" mi chiede S., che vuole appendere un bigliettino all'albero dei desideri della stazione centrale; rispondo qualcosa di nobile, di razionalmente desiderabile, forse "dare valore ad ogni istante della vita", ma una vocina insistente nella testa mi redarguisce: "bugiarda! È dimagrire!".
Forse ha ragione chi mi accusa di superficialità, perché in mezzo a tanti motivi per essere felice io mi lascio abbattere da un jeans che mi stringe sui fianchi. Ma davvero pensate che io non ci trovi nulla di strano? Che mi piaccia essere sempre insoddisfatta? Che provi della perversa gioia nel sentirmi sempre sbagliata, mentre tutto sembra andarmi per il verso giusto? 
La verità è che a nessuno piace odiare se stesso. Odiarsi al punto da affamarsi per giorni e non riuscire ad alzarsi dal letto, odiarsi al punto di sfrecciare in autostrada a 200km/h e spegnere i fari, per cercare la pace o almeno il silenzio, odiarsi al punto di trattare male qualcuno solo per non odiarsi da soli. A nessuno piace vivere nell'angoscia e nella costante insoddisfazione, tanto più se sa di non averne motivo.
Da quando mi sono ammalata non faccio che sentirmi in colpa, di troppo, un inutile disturbo. Nel periodo della depressione avrei voluto uscire di scena in punta di piedi, risparmiare ai miei genitori il dolore di sentirsi responsabili di una sofferenza inspiegabile, eppure reale.
Io non so se voi vi siate mai sentiti così appesantiti dall'esistenza da sentire che non si ha nessun motivo per protrarla, vi auguro sinceramente di no, ma vi assicuro che ci si sente così male che si perde ogni capacità di misurare il dolore. Si è soli, paralizzati sotto una cappa d'angoscia, e improvvisamente tutte le cose brutte davvero - la guerra, la fame, il cancro - assumono un'altra dimensione, si annullano, persino. 
E non è che, nei periodi in cui rimanevo per ore immobile, ascoltando il rumore della lancetta dei secondi del mio orologio, non sapessi razionalmente di non avere ragioni per essere così infelice, non è che pensassi di essere sfortunata. Non lo sono: avrei potuto nascere nel Rwanda come la ragazza che la mia famiglia ha adottato a distanza e che ho conosciuto dal vivo lo scorso anno, avrei potuto nascere in una periferia degradata e dovermi guadagnare da vivere prostituendomi, avrei potuto nascere senza gambe o con una malattia genetica incurabile, ma non è successo. Eppure, per quanto mi renda conto razionalmente di appartenere ad una fetta privilegiata della popolazione di questo mondo, questa certezza non mi ha salvata dalla depressione, dell'anoressia e dal disturbo d'ansia generalizzato.
E, certo, "vuoi mettere essere depressi con l'avere un cancro al polmone?". No, e mi sento un'ingrata per tutte le volte in cui, quando stavo male, ho sperato di morire, quando nel mondo chissà quante mie coetanee malate sperano di vivere. Ma i disturbi mentali, purtroppo, non sono meno reali di altri per il solo fatto di non essere fisici. Sono invisibili, ma la depressione è in grado di logorarti come un cancro, se le si lascia lo spazio per farlo. "Esci! Divertiti! Distraiti! Trovati un hobby!" sono consigli che, anche se dati in buona fede, si infrangono contro un muro di dolore invalicabile. 
Tutto ciò per dire che, insomma, io ci ho provato a chiedere a Babbo Natale una testa diversa, così da poter smettere di desiderare un corpo diverso, ma per l'ennesimo anno ha ignorato la mia richiesta, e sono ancora la stessa di un anno fa, di sette anni fa.
Vabbè, dai, qualcosa è cambiato. Ho fatto qualche passo nella direzione giusta, lo so, ma è una salita ripida e il più delle volte rimango a guardare la vetta con rabbia e frustrazione e non trovo la forza sufficiente per continuare l'arrampicata. Forse a frenarmi è la paura di una nuova delusione, dopo tutta la fatica. Mi risuonano nella mente le parole della peggior terapeuta da cui sono stata in cura, che mi predisse un calvario senza fine. "Chi ha sofferto di una sindrome maniaco-depressiva non guarisce mai del tutto; può declinare la malattia in modi diversi, come l'anoressia nervosa o la bulimia, può avere dei periodi sereni che si alternano a periodi down, ma è difficile che questo genere di ferite si rimarginino del tutto, bisogna imparare a conviverci e a limitare i danni". Tre anni fa l'avevo trovato crudele e inconcepibile, avevo risolto smettendo di vedere la dottoressa in questione e mi ero rifiutata di comprendere la sua posizione. Forse, invece, avrei dovuto rassegnarmi e lasciarmi guidare in un percorso di accettazione della malattia, come proponeva lei, imparando a riconoscere i segni dell'arrivo di un nuovo periodo down e a limitare i danni, appunto. Ma all'epoca mi era sembrata una sconfitta, e sotto sotto lo penso ancora. Forse è una giusta punizione per chi non ha saputo riconoscere il bello che aveva e accontentarsene, eppure io non credo di meritarmi - e credo che nessuno lo meriti - una condanna simile: trascinarmi dietro il dca e tutto il resto come una zavorra, un bagaglio di disgusto che deve seguirmi dappertutto. Io voglio pensare che un giorno potrò davvero sentirmi leggera, nella testa e non sulla bilancia, e che nella lista di propositi per l'anno nuovo non debba includervi necessariamente "dimagrire" per poi provarne vergogna e fastidio.
A voi che passate di qui, sempre o una tantum, auguro un 2016 pieno di momenti speciali e di amore, soprattutto di amore per voi stessi.