martedì 16 febbraio 2016

4513366, il terzo numero di matricola in sei anni

Di nuovo tra i banchi, non più alla cattedra, ma di nuovo seduta a prendere appunti, a preparare esami, ad appassionarmi a nuovi corsi, a immaginare scenari futuri che forse non si realizzeranno mai, come quelli che immaginavo da matricola universitaria.
Rimetto tutto in discussione, provo una strada diversa, un po' per curiosità, un po' per disillusione. L'accademia è una via impervia, la scuola una strada dissestata, vediamo dove mi porterà quest'altro percorso.
Mi sento in balìa dei venti, e per il marinaio che non sa dove andare ogni porto è allo stesso modo appetibile e pericoloso, desiderabile e odioso. 
Un giorno sono contenta, elettrizzata, avida di nuove esperienze. Un giorno sono demotivata e dubbiosa, timorosa di aver sbagliato tutto. Un po' mi conforta parlare con i compagni di avventura, tutti indecisi, confusi, con tante energie ma nessun progetto preciso in cui spenderle. Mi rivedo in loro, nei loro occhi spaesati, nelle loro paure, nella loro scelta di rimettersi in gioco dopo una laurea triennale o una magistrale senza prospettive, nella speranza di trovare uno scopo e cominciare a costruirsi qualcosa di solido, ché è bello fare gli studenti squattrinati ma tutto a suo tempo, e io non ho più voglia di quella vita.
Ho talmente poca voglia di fare la vita da studentessa che ho glissato il primo invito ad uscire dei compagni di master. Andavano a ballare, venerdì sera, ma io non avevo alcuna voglia di fare la vagabonda con una borsa di vestiti e di trucchi, ospite nel monolocale di una semisconosciuta dove saremmo tornati con i mezzi all'alba, avremmo dormito un paio d'ore tutti nello stesso letto per poi presentarci a lezione con i capelli che puzzano di fumo.
I primi tempi all'università ne ho fatte tante, di serate così. Vestiti da antichi romani su un tram, talmente ubriachi da non riconoscere la fermata alla quale dovevamo scendere. Seduti per ore su un muretto ad aspettare un bus sostitutivo destinato a non arrivare mai. In coda dal kebabbaro aperto tutta la notte. Tre chilometri a piedi per colpa di quel maledetto bus sostitutivo che alla fine non arriva e già si vede l'orizzonte che si fa chiaro. A quei tempi non mi tiravo mai indietro, anzi, ero spesso io la prima ad organizzare, ad animare il gruppo.
Sarà la vecchiaia. Sarà, come dice il mio fidanzato, che non sento il bisogno di crearmi un nuovo giro di amicizie, perché quello che ho mi basta e mi soddisfa, mentre molti dei miei nuovi compagni arrivano da altre città e sono tutti ansiosi di farsi nuovi amici. Sarà, anche se quell'entusiasmo da matricola dei primi mesi di università, quando andare a lezione per me era come andare ad una festa, un po' mi manca.
In effetti devo ammettere che il mood con cui cominciavo l'università era ben diverso. Arrivavo da due anni infernali e avevo una disperata voglia di mettere una pietra sopra a tutto lo schifo e ricominciare daccapo, una nuova Euridice. Addio Euridice cupa ed asociale, iper-riflessiva, iper-ansiosa ed iper-critica e benvenuta Euridice socievole, allegra e propositiva, che non solo non rifiuta gli inviti ma è la prima a farne.
Durante l'estate s'era sgretolata la compagnia storica del liceo, avevo bisogno e voglia di conoscere persone nuove e avevo la fortuna di poter pescare in un bacino di persone con interessi simili ai miei. Ho conosciuto I. il primissimo giorno, davanti all'aula della prima lezione (sospesa) della mia vita e S. qualche giorno dopo, durante uno dei lunghissimi pranzi dei primi mesi, ed oggi sono ancora le persone con cui passo le serate, scambio messaggi e vado in vacanza. 
È vero che farsi degli amici nuovi non significa rimpiazzare quelli vecchi, ma è anche vero che se si ha un bel gruppo di amici si è meno motivati ad approfondire la conoscenza di persone nuove. Però voglio impegnarmi a conoscerli meglio, perché presto inizieranno i lavori di gruppo e perché non è escluso che tra questi trenta sconosciuti non si nasconda qualcuno con cui potrei costruire un rapporto altrettanto bello e duraturo. E poi non voglio sembrare una snob che per pranzo scompare per raggiungere altri amici, cosa che ho effettivamente fatto settimana scorsa, e rischiare di essere esclusa dal neonato gruppo.
Per quanto riguarda il resto, abbiamo firmato il contratto di locazione, quindi a brevissimo entreremo nella casa nuova. Sono felice, perché è tanto che aspettiamo di fare questo passo, ma anche un po' preoccupata perché sono una persona molto indipendente e ho paura di sembrare scostante. Il mio fidanzato nei giorni che passiamo insieme vorrebbe sempre fare tutto insieme - cucinare, lavare i denti, andare a dormire insieme - mentre io sono molto più gelosa dei miei spazi. Ho bisogno della mia mezz'ora sul tappetino, a fare i miei esercizi, dei miei momenti di isolamento, di starmene in silenzio per i fatti miei e non vorrei che lui ne soffrisse, ma non voglio neppure rinunciare al mio carattere per fargli un favore. La questione riguarda anche il cibo: lui vorrebbe che noi mangiassimo sempre le stesse cose e persino nelle stesse dosi. Se impiatta lui divide sempre scientificamente a metà e io lo accuso di volermi grassa. Non capisce che per me a cena è sufficiente un piatto di verdure o che se mangio la pasta 60gr sono già troppi. Siamo stati insieme da venerdì sera a questa mattina e oggi pesavo un chilo e mezzo in più rispetto a venerdì mattina, tanto per dire. È chiaro che non posso mangiare come vorrebbe lui per sempre, altrimenti nel giro di due mesi dovremo sfondare gli stipiti delle porte.
Sul fronte cibo è un periodo disastroso: alterno restrizione a giorni in cui mangio da normale a tanto con l'ovvio risultato che nei giorni in cui restringo non ingrasso né dimagrisco e nei giorni in cui mangio (troppo) metto su subito un chilo. Oggi ho sfiorato i 65 e, nonostante stia facendo pesi e quindi in parte abbia incrementato la massa muscolare, sono ingrassata e lo sento, soprattutto sulla pancia e sulle cosce. Devo correre ai ripari, ma tra la schiscetta nei giorni di master (abbiamo solo un'ora di pausa) e gli eccessi del weekend non è per nulla facile. Anche perché i pranzi più facili da portare in uni sono sempre a base di carboidrati (cous cous, farro, pasta fredda e similari) anche perché sono quelli che danno la sensazione di sazietà e permettono di resistere alle lezioni pomeridiane (finiamo alle 18.30) senza crisi ipoglicemiche, ma così mangio molti più carboidrati del solito e le mie maniglie dell'amore ne sono testimoni.
Si accettano consigli per schiscette creative ma tenete presente che faccio lezione in aule caldissime, quindi no a prodotti deperibili come yogurt e verdure fresche. Dev'essere per forza qualcosa di cotto e possibilmente che si possa mangiare freddo perché non abbiamo a disposizione nessun microonde, anche se sto meditando di comprare lo scaldavivande portatile con la presa! 
Sapete che c'è? A settembre si sposa una mia cugina e io voglio perdere dieci chili. Almeno.

giovedì 4 febbraio 2016

di cose lasciate in sospeso, incompiute e morte

Il quattro febbraio di due anni fa è morta la zia del mio fidanzato. È stato il primo vero lutto della mia vita, anche perché profondamente diverso dai precedenti. Fino ad allora, infatti, avevo sempre visto nella morte una sorta di liberazione – così era stato per mia zia, malata di diabete e costretta a subire diverse amputazioni agli arti inferiori; così anche per la mia cuginetta malata di cancro, sottoposta a tre o quattro interventi inutili e dolorosi. La morte, in quei casi, mi era parsa l'unica soluzione ovvia, l'unica via d'uscita.
S., invece, quando è morta stava bene, benissimo. Aveva poco più di trent'anni e stava vivendo il periodo più bello della sua esistenza: aveva un lavoro fisso, aveva comprato una casa con suo marito, erano appena riusciti ad adottare un bambino quando un infarto se l'è portata via nel giro di un paio d'ore, dalla telefonata con cui, alle 12.40, il mio fidanzato mi diceva di correre da lui, ché S. era in ospedale, al nostro arrivo al suddetto ospedale, poco dopo le due.
Per tutto il tempo del viaggio in macchina ho ripetuto ad A. e a me stessa che non poteva essere una cosa grave, perché lei non era malata di cuore, perché era giovane e in salute, e perché gli infarti arrivano dopo i cinquant'anni, e statisticamente colpiscono di più gli uomini. E poi l'ambulanza era arrivata nel giro di pochi minuti, l'ospedale in cui l'avevano trasportata era a pochi chilometri, e si sa che in caso d'infarto la tempestività è fondamentale. Avete presente quando, nonostante vi troviate in una situazione di pericolo, avete la netta certezza che andrà tutto bene? Ecco, io mi sentivo così. Ero sicura che saremmo arrivati e l'avremmo vista in un letto della terapia intensiva, magari un po' malconcia ma cosciente. Ci avrebbe salutati con un cenno da dietro il vetro e poi saremmo entrati a salutarla uno alla volta, con la mascherina e il camice.
Invece quando siamo arrivati nel parcheggio dell'ospedale la mamma di A. ci aspettava fuori dalla porta del pronto soccorso e ha detto solo “Non ce l'ha fatta”, come nei film, quando il medico raggiunge i parenti nel corridoio con lo sguardo contrito e sai già che sta per dire “Non ce l'ha fatta”. Io però non lo sapevo, non me l'aspettavo, e il fatto di non aspettarmelo ha decuplicato il mio dolore.
So che è assurdo, ma continuo a pensare che avrei preferito che morisse dopo una lunga malattia. È un pensiero crudele ed egoista, me ne rendo conto, ma avrei voluto abituarmi all'idea che lei dovesse andarsene, avrei voluto accettare la sua morte prima ancora che morisse, e invece non sono riuscita ad accettarla neppure dopo.
Mentre il mio fidanzato entrava a darle un ultimo saluto io ho aperto la nostra ultima conversazione. S. mi aveva scritto la sera prima per commentare delle foto che avevo pubblicato su facebook e propormi una gita domenicale per la primavera, come quelle che facevamo prima che arrivasse il suo bambino. A un certo punto avevo smesso di risponderle perché ero andata a prendere un caffè da L. e avevo lasciato il cellulare a casa pensando che avrei proseguito la conversazione l'indomani. E ora quell'ultima domanda di S., “Hai finito gli esami per questa sessione?”, non avrebbe più avuto risposta, né ci sarebbe stata la gita a Torino o un'altra cena nella loro casa nuova che odorava ancora di infissi nuovi.
Comunque - non prendetemi per pazza - in quel momento avrei voluto risponderle. Soltanto un “sì”, giusto per non lasciare quella domanda in sospeso, perché quella sensazione di incompiuto mi metteva angoscia.
Questo è quel che più mi spaventa della morte: l'idea che ci sia qualcosa in sospeso, di andarmene lasciando a metà dei progetti, la scrivania in disordine, questioni irrisolte. Tanto che, nel mio periodo di ipocondria, facevo sempre in  modo di avere tutte le mie cose in ordine e aggiornavo quasi quotidianamente una lettera di saluto ai miei genitori ed amici che conservavo in un cassetto della scrivania.
Mi mette angoscia leggere i messaggi che la gente lascia sulle pagine Facebook delle persone che muoiono; dopo la morte di S. gliene scrivevano ogni giorno, e io inconsciamente mi aspettavo che da un momento all'altro comparisse un suo commento, o almeno un "mi piace".
Avete presente quelle cose che si dicono, che oggi ci sei e domani chi lo sa, che bisogna vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo perché uno prima o poi sarà l'ultimo per davvero? Beh, io non le avevo mai davvero realizzate nella loro pienezza prima della morte di S. Forse perché fin da piccola sono sempre stata convinta che morirò dopo una lunga agonia, di cancro o di sclerosi multipla, non avevo mai pensato alla possibilità che la persona con la quale stai messaggiando possa morire prima di ricevere la tua ultima risposta, o che tu stessa possa morire senza averla inviata.
Oggi pensavo a S., che sarebbe stata contentissima per la casa, e sarebbe stata una delle prime a venire a cena da noi, e poi alla gita a Torino mai fatta, e al messaggio che non ha mai avuto risposta e a tutte le cose non fatte nel mondo, rimandate perché pensiamo sempre di avere tempo in abbondanza, e invece il nostro tempo è così poco.

Scusate per questo post, ma è tutta la sera che piango e volevo condividere con voi questi miei pensieri sconnessi.