Scusate
se sono un po' assente, cerco sempre di seguirvi ma ho paura di
commentarvi e di aggiornare il blog perché temo di influenzarvi
negativamente, dato che da qualche settimana a questa parte sto avendo
(di nuovo) un pessimo rapporto col cibo. Me ne rendo conto, mi dispiace e
mi sento in colpa, ma non ho la forza, la voglia, o la determinazione
necessarie per invertire la rotta.
Il
cibo è la mia valvola di sfogo, l'unica cosa che riesca a controllare,
mentre la mia vita corre troppo perché io possa starle dietro.
Non è una giustificazione, è solo un'analisi della situazione: conosco solo un modo per assecondare il mio bisogno di ordine, di certezze, di stabilità ed è restringere.
Non
siate in pensiero, però, perché tanto il mio fisico ormai è abituato e
quindi gli basta un pasto normale alla settimana per rifocillarsi e
riprendere un chilo e mezzo, magari due, in via precauzionale.
L'ultima
settimana di agosto è stata la peggiore, da questo punto di vista. Ho
finito di scrivere la tesi, ho messo a punto la presentazione di un
progetto di ricerca per partecipare ad un bando per un dottorato, ho
iniziato a preparare un esame sovrannumerario per darlo, in extremis, la
prossima settimana. E ho mangiato pochissimo, anche perché dovevo
andare ad un matrimonio e mi sembrava che il vestito che avevo scelto mi
scoppiasse addosso. Sono riuscita a ritornare a 59, ma non è bastato
perché al matrimonio ho mangiato pochissimo. La parte più temibile, il
buffet, l'ho superato riempiendo il piatto solo una volta con la scusa,
raccontata a me stessa più che agli altri, che poi avrei avuto tutta una
cena per strafogarmi, e durante la cena vera e propria ho finito solo
una portata, mentre le altre le ho generosamente offerte ai miei
commensali oppure minuziosamente sparse nel piatto così che sembrasse
che avessi mangiato di più. Sì, mi sono piegata ai mezzucci di quando
ero un'adolescente difficile, è patetico, lo so bene.
Però
non avevo fame e non avevo voglia di alzarmi da tavola e vedere la
stoffa del mio vestito tirare sulla pancia, così ho mangiato poco, solo
quello che davvero mi piaceva e solo nelle dosi che mi permettevano di
non sentirmi in colpa.
Questa
settimana ho mangiato di più, anche perché sono stata a casa con i miei
e non potevo liquidare i pasti con un pacchetto di crackers integrali. È
bastato, comunque, per risuperare i 60 e forse domani rivedrò anche il
61.
So
che quello che ho fatto, che faccio, è sbagliato, eppure per ora mi
osservo sbagliare e archivio la faccenda nel fascicolo "dopo la laurea",
al quale sto rimandando un sacco di cose di questi tempi: il riposo, lo
shopping, le "coccole" a me stessa.
Per
adesso non ho tempo. C'è quell'esame che non volevo dare ma che, ora
che ho deciso di tentare, sto preparando comunque al meglio - e dire che
ero partita dicendo che avrei solo sfogliato il materiale, l'avrei
tentato e nel caso rifiutato a cuor leggero, mentre ora mi sono decisa
che accetterò soltanto da 25 in su e quindi ho dovuto adeguare lo studio
al target - c'è il colloquio per il dottorato, se mi ci ammettono, c'è
la discussione della tesi.
C'è
il futuro, poi. Il buio, la nebbia, l'incertezza. Ho paura di non
sapere cosa fare, di scoprire che quello che pensavo mi piacesse in
realtà non mi soddisfa più e ho paura dell'ignoto. Io sono una da
certezze ferree, nella vita. Per la prima volta non so cosa ne sarà di
me di qui a un mese e allora ho dovuto provvedere a crearmi un obiettivo
tangibile per quest'ottobre nebuloso: essere magra.
Il
che, per altro, mi dà anche l'occasione di riempire le mie giornate con
una delle attività che mi riesce meglio e che mi fa sentire che è tutto
sotto controllo: restringere. Non importa se non so se fare un master o
inviare la mia candidatura per altri dottorati o sistemare il mio
curriculum e cercare direttamente lavoro, l'importante è che, qualsiasi
cosa io faccia, la faccia in una taglia 38, 40 al massimo.
Una magra consolazione, davvero.
Potrei
godermi serenamente questo blando inizio d'autunno, e invece mi riempio
di cose da fare, non perdo occasione di punirmi, sono sempre più severa
con me stessa.
Questo
weekend mi sono presa una pausa e sia ieri che oggi sono andata a
vedere la Formula1. Credo di avervi già accennato qualcosa riguardo la
mia passione per le macchine, che sorprende sempre tutti quelli che mi
conoscono - perfettina bambolina con i pantaloni a vita alta e le scarpe
col tacco - e che è forse la più antica delle mie passioni. Non
chiedetemi perché, c'è qualcosa che mi strega nelle macchine da corsa.
Negli anni si è arricchita di quell'ossessione per l'effimero che mi
tormenta - cosa, più di un masso di lamiera scagliata a 300km/h lungo
una pista, ricorda quanto è transeunte e pericolante la nostra
esistenza? - ma andare a vedere la Formula1 mi piaceva già da ragazzina,
e dire che mio padre, prima che lo contagiassi io, non la guardava
neppure in televisione. Oggi ero lì, a pochi metri dalla pista, e non
pensavo al futuro, e stando in piedi a dimenare le braccia verso l'alto,
con gli altri tifosi, non ho avuto la tentazione di nascondere il
tremolio dei miei avambracci e quando hanno aperto i cancelli e tutti
hanno invaso la pista ho corso per arrivare sotto al podio senza curarmi
del fatto che mi ballassero le tette e che mi si sarebbe sbavato il
trucco. Correvo per essere parte di una festa nella quale non era
importante essere laureati o magri, bastava quella superficiale fede
comune, l'affetto per una macchina è un pilota, ad unire tanti perfetti
sconosciuti.
E
quando sono arrivata e ho fatto in tempo a vedere la premiazione, a
scattare le foto, a farmi ricoprire di coriandoli tricolori, ho sentito
che la mia fatica era stata ripagata, una sensazione che, purtroppo, non
provo mai, anche se ho sempre l'impressione di correre, a perdifiato,
verso una meta oscura.
E
so che finché non capirò cosa sto cercando la mia corsa sarà frustrante
e vana, ma per adesso mi devo accontentare di quelle piccole corse
minori e delle loro mete che, per quanto frivole, mi regalano qualche
attimo di sollievo.