sabato 19 marzo 2016

se mangiare in pubblico è come camminare nuda tra la folla

Settimana scorsa mi è successa una cosa strana. Ho mangiato uno yogurt per colazione - e non è questa la cosa strana: mi sto sforzando di fare sempre colazione anche quando non ne ho voglia - e non ho pranzato - neppure questa è la cosa strana, purtroppo - e meditavo di non cenare neppure, approfittando del fatto che il mio fidanzato tornasse a casa tardi e potevo dirgli di avere già mangiato, ma appena uscita da lezione ho cominciato a pensare insistentemente al fatto che DOVEVO mangiare qualcosa. Mi sono avviata in centro con alcuni compagni con una scusa e poi ho camminato senza meta per quasi un'ora per cercare di decidere cosa mangiare, come sfogare questo bisogno disperato, e infine mi sono decisa per le patatine fritte olandesi, quelle da mangiare nel cono con le salse. 
Avevo l'acquolina in bocca al solo pensiero ma, allo stesso tempo, mi vergognavo come una ladra ad entrare nel negozio in pieno centro, frequentato principalmente da ragazzi, con la mia borsa del computer, il cappotto, i mocassini, e ordinare un cono di patatine piccole con la salsa tartara o la salsa andalusa. Ho tentennato un po' all'ingresso, poi mi sono fatta coraggio e sono entrata dopo una coppia. Hanno preso un cono medio da dividere, ma sicuramente la ragazza avrebbe soltanto assaggiato qualche patatina senza salsa e lui avrebbe mangiato il resto. Però, insomma, almeno non ero l'unica donna nel locale. Ho anche simulato una conversazione telefonica con un ipotetico destinatario delle patatine, come a dire "queste schifezze non sono per me, sto solo facendo un piacere ad un amico pigro" e ho persino millantato un momento di incertezza nella scelta della salsa - "cos'è che mi aveva detto? Uhm, mi sembra tartara."
Una volta ottenute le mie patatine mi sono defilata in una strada secondaria, sperando di incrociare meno persone possibile. Ho anche pensato di nascondermi dietro un muretto per finire il mio cono in assoluta solitudine ma poi ho preferito camminare, perché mi dava l'illusione di riuscire a smaltirle mentre le mangiavo.
Ed è mentre camminavo che è successa la cosa strana di cui vi parlavo. Anzi, le cose strane, perché sono state ben due.
La prima. Ad un certo punto ho sentito i passi alle mie spalle farsi più rapidi e vicini, finché un uomo sulla trentina, in abiti da ufficio, mi ha affiancata. "Sei tu che profumi di patatine, allora! Ti seguo da cento metri e continuo a sentire questo profumo, ma non riuscivo a capire da quale negozio arrivasse. Che fame!" Mi ha sorpreso che abbia detto "profumo di patatine" per indicare quella che io avrei chiamato "puzza di fritto" e mi ha fatto sorridere il modo in cui, dopo un rapido scambio di battute sulle patatine e sulla sua cena ormai prossima, mi ha salutata dicendo "che bello vedere una donna elegante che mangia le patatine fritte! Hai dato un senso al mio ritorno a casa".
La seconda. Mentre stavo finendo le mie patatine e intanto tornavo verso strade più popolate ho incrociato una donna con cappotto, borsa elegante e scarpe col tacco, che aveva in mano il mio stesso cono. Ci siamo scambiate uno sguardo d'intesa, mi ha sorriso, ha sollevato il cono come a simulare un brindisi. "Dopo una giornata di lavoro ci meritiamo un piccolo vizio" ha detto, e ha strizzato l'occhio.
Profumo di patatine. Un "piccolo" vizio. 
Quando ho incrociato il mio riflesso in una vetrina non ci ho visto una donna elegante che mangiava le patatine ma una ragazza sovrappeso che si ingozzava goffamente. Per me un cono di patatine fritte mangiate da sola alle sette di sera in una strada affollata non è un piccolo vizio. È una follia. Un gesto inconsulto e malato. Una mossa da bulimica disperata o da binge eater incallita. 
Ma cosa vedono gli altri? Ammesso che ci vedano, perché forse la maggior parte di loro non fa neppure caso al fatto che tu stia mangiando, o a cosa. Ho sentito chiaramente un tipo dire ad un altro, vedendomi armeggiare con le bacchettine di legno nel cono, che anche lui aveva voglia di noodles. Potevo stare mangiando qualsiasi cosa, o non stare mangiando affatto, la maggior parte delle persone normali non ci fa caso.
O, se ci fa caso, non è perché pensa che tu sia disgustosa, sporca e volgare come ti senti mentre ingoi quelle calorie ingiustificate, ma perché ha fame come te o, come te, si è appena concesso uno sfizio. Le patatine da passeggio per la maggior parte delle persone sono uno sfizio da concedersi, non un peccato da non commettere.
Quanta gente mangia senza pudore sui mezzi pubblici, nei negozi, nei chiostri dell'Università? Lo fa con la naturalezza di chi sta facendo una cosa assolutamente permessa in pubblico, mentre io mi sento come se mi stessi masturbando, o stessi facendo la pipì sul marciapiede o mi stessi infilando le dita nel naso. Non riesco a convincermi del fatto che mangiare in pubblico da soli sia un'attività socialmente accettata, per me rimane un tabù. 
Se sono costretta a mangiare da sola in mezzo alla gente - come ieri che dovevo lavorare in fiera dalle due alle nove e non avrei avuto tempo di mangiare dopo, così ho dovuto farlo nel tragitto dall'università alla fiera - cerco di farlo il più in fretta possibile, senza alzare gli occhi dal cibo per non incrociare quelli (che io sono sicura siano) accusatori della gente che mi circonda, ingozzandomi fino a sentire l'esofago bruciare e lo stomaco tirare, non vedendo l'ora di poter buttare eventuali sacchetti, tovaglioli, piatti e tutto ciò che denuncia la mia colpa.
Per me mangiare in pubblico è quasi come camminare nuda tra la folla, mi vergogno e mi sento in colpa come se stessi facendo qualcosa di terribile e che, allo stesso tempo, mi rende vulnerabile, e voi che rapporto avete col mangiare (da sole) in pubblico? 
Buon weekend, vi auguro che sia piacevole e rilassante come lo auguro a me stessa!

martedì 8 marzo 2016

tutto cambia ma io resto sempre la stessa (stupida)

Ragazze, perdonate la latitanza ma sono state settimane pienissime e non ho avuto mai tempo per dedicarmi a me stessa, al blog e persino ai miei amati esercizi.
Da settimana scorsa io e il mio fidanzato siamo andati a vivere insieme e la settimana precedente è stata snervantissima, perché sembrava che il nostro ingresso nella casa nuova sarebbe stato ritardato ulteriormente ed avevo i nervi a fior di pelle - il che, comunque, ha avuto l'effetto positivo insperato di farmi perdere due chili e mezzo in una manciata di giorni, poi prontamente ripresi, purtroppo.
A trasloco (quasi) ultimato sono molto più serena, anche se il ritmo al master si sta facendo sempre più serrato, con esami e lavori di gruppo, e io uso i giorni di riposo per lavorare, perché voglio pagare la mia parte di affitto, contribuire alle spese della casa e in più mettere da parte ogni mese qualcosa nel fondo "base mutuo" che abbiamo creato insieme. È una follia e so che non mi fa bene tenere questi ritmi, soprattutto se voglio conservare anche una dignitosa vita sociale, ma finché non crollo non mollo. Finché non crollo corro, così capita che mi svegli alle sette per percorrere quasi tutta Firenze a piedi alla ricerca di uno scorcio adatto per le foto e tre ore dopo sia già a Milano, e dopo un'altra ora al lavoro, e poi a cena dai miei, e poi a scervellarmi per uno dei tanti lavori di gruppo del master. 
Non so se mi piaccia questa vita al cardiopalmo, fatta di corse sul filo del ritardo, non credo di volere (e potere) vivere così per sempre, ma finché si tratta di qualche mese, dopo il torpore di quest'inverno strano, ben venga.
Almeno, presa dai mille impegni, mi capita di non pensare al cibo per ore intere, salvo poi stringermi i fianchi tra le dita perché sono troppo grossi, molli, deformi. Nella casa nuova non abbiamo ancora la bilancia (il mio fidanzato vorrebbe non comprarla mai) e quindi non mi peso da più di una settimana, ma aspetto e temo il momento in cui, domani mattina, rincontrerò la mia fedele nemica. So di essere grassa. Lo sento. La bilancia può solo dirmi quanto.
Nella casa nuova non ho neppure una ciclette, e sono riuscita a fare gli esercizi solo due sere in tutta la settimana. C'erano scatoloni da svuotare, scaffali da riempire, cassetti da pulire. 
Ho cercato di mangiare bene, però, senza saltare colazione e pranzo per poi arrivare affamata a cena, ma in questi giorni ho sempre voglia di mangiare. La scorsa settimana, addirittura, ho comprato una fetta di pizza e l'ho mangiata nel parcheggio del supermercato, seduta in macchina, incapace di aspettare persino di essere a casa al sicuro dagli sguardi della gente. E poco importa che io l'abbia eliminata quasi subito - il bello di essere intollerante al lievito - perché la considero comunque un'abbuffata. La modalità era quella tipica delle mie abbuffate storiche: ho progettato la sosta nel tal supermercato, ho studiato quali prodotti comprare insieme al mio obiettivo (in questo caso un deodorante, uno spazzolino e delle salviette struccanti) per non dare troppo nell'occhio - non so voi, ma a me sembra sempre di avere un cartello gigante con scritto "bulimica in crisi" quando al supermercato compro cibi pronti in quantità sospetta - e poi ho divorato la pizza in assoluta solitudine, con la radio spenta, persino, per riuscire ad assaporare meglio il gusto del peccato. E il bello è che non sentivo nulla. Anzi, ad un certo punto mi ha dato quasi il voltastomaco, il formaggio freddo, l'unto, il pomodoro con quel caratteristico sapore da mensa industriale, ma ho continuato a mangiarla, ancora più avidamente, impaziente di finirla. E quando l'ho finita non ho sentito nulla. Non la soddisfazione delle abbuffate gloriose della mia era bulimica, non il senso di colpa degli scivoloni delle epoche anoressiche. Solo vuoto, di nuovo, e un po' di vergogna per la gente che passava davanti alla mia macchina e che mi vedeva divorare un trancio di pizza come se ingurgitare quei carboidrati fosse la mia unica ragione di vita.
Il rischio della convivenza è la felicità. Sono sempre stata grassa nei miei periodi più felici. Posso misurare la mia felicità passata in base alle taglie indossate, il che è paradossale, considerato il mio segreto (qui non troppo) desiderio di rientrare nella 38. Ora che si avvicina l'estate, che dovrò riscoprire le gambe, le mie gambe grasse, cellulitiche, vorrei solo poter perdere un chilo alla settimana, sembrare un'altra agli occhi dei miei colleghi che mi hanno conosciuta così e che non possono neppure immaginare che questa ragazza in salute, raffinata e amante del buon cibo, per anni si è infilata le dita fino all'epiglottide per cacciare fuori ogni briciola di pane, e rifiutava aperitivi senza batter ciglio, perché ad ogni bicchiere di vino negato sapeva corrispondere cento grammi in meno l'indomani.
Che poi, io neanche vorrei tornare quella che ero. Vorrei persino non esserlo mai stata, per non dover fare i conti con l'inconscio che idealizza gli anni magri e sfuoca gli aspetti più crudi. Eppure vorrei essere magra. Non intelligente, non brillante, non affascinante, non simpatica, non interessante. Magra
Ma finché il tempo da dedicare a questi pensieri malati è così poco, posso stare tranquilla: i pensieri non si tradurranno mai in progetti.
Vi abbraccio e spero di riuscire a passare da tutte voi!