giovedì 27 agosto 2015

e per tutti il dolore degli altri è dolore a metà

Ho scoperto che una mia ex compagna del liceo soffre di disturbi alimentari. È stata lei a scrivermi per dirmelo, la settimana scorsa. Avevo messo un "mipiace" ad un link da lei pubblicato su Facebook, un articolo che parlava di una performer inglese rimasta in mutande e reggiseno a Piccadilly Circus per sensibilizzare contro i dca, e poco dopo lei mi ha scritto un messaggio privato.
Non ci vediamo da quasi sei anni, lei ha lasciato la scuola l'inverno dell'ultimo anno - non sopportava la pressione, era troppo stressata, ci aveva detto all'epoca la prof di filosofia - e poi ho saputo che ha dato la maturità da privatista, l'anno dopo, ma io non l'ho più vista, neppure per caso, in qualche locale in centro, com'è capitato con altri ex compagni che pure non ho più sentito di mia spontanea volontà. 
Eppure, nonostante non ci vedessimo né sentissimo mai, non ho mai pensato di cancellarla dagli amici di Facebook, mentre altri compagni li ho eliminati la sera stessa della cerimonia della consegna dei diplomi.
Sarà che il giorno in cui è comparsa nella mia classe, dopo essersi trasferita da un altro liceo, le ho detto che aveva dei capelli bellissimi. Lunghi, color miele, acconciati in dei boccoli perfetti, quando io avevo il mio caschetto sghembo di paglia alimentata a bioscalin. Lei rimase sorpresa dal mio complimento, forse per qualche secondo pensò persino che la stessi prendendo in giro - già tra i banchi circolava il suo nomignolo nuovo di zecca, Luigi XIV - ma io ero sincera, e lei lo capì e sorrise.
Non ci siamo dette più che qualche "buongiorno" al mattino, ogni tanto mi è capitato di parcheggiare accanto alla sua macchina e abbiamo fatto insieme la strada fino a scuola, spesso in silenzio, una volta sono andata al salone di bellezza gestito da sua madre e frequentato dalla mia migliore amica di allora. Lei era lì, che leggeva sotto un casco per la permanente, ma anche in quel caso, mentre io mi facevo fare un trattamento miracoloso che doveva dare nuovo vigore ai capelli, non scambiammo più che qualche parola.
Insomma, una di quelle persone che passano nella tua vita senza quasi lasciare traccia, un volto sull'annuario scolastico, e il ricordo della sua bella chioma dorata.  Negli anni, però, ho seguito la sua trasformazione in differita, tramite le foto che lei pubblicava su Facebook. L'ho vista farsi bruna, perdere una buona trentina di chili, farsi liscia, riprendere qualche chilo, tagliarsi la frangetta, perderli nuovamente.
Qualche volta ho sfogliato a ritroso le sue foto per osservarne l'evoluzione, con un istinto voyeuristico che a tratti diventava quasi ossessione. Le foto sulla spiaggia in costume, con le lunghe gambe abbronzate, le minigonne, i leggings, prova incontrovertibile per chiunque voglia dimostrare la propria magrezza. Io sono affascinata dalle ragazze in carne che dimagriscono, mi ricordano il mio glorioso passato, quando anche io ero visibilmente più magra ad ogni foto che mi veniva scattata, nonostante fossi sempre bardata di sciarpe e vestiti troppo larghi. 
Lei no, lei mi sembrava felice ed orgogliosa del suo nuovo corpo, che sfoggiava come si ostenta un bel gioiello o una borsa griffata. E invece, quel post. Nessuno parla di dca se non li vive. Non è come il cancro o l'abbandono degli animali, l'avrete notato tutte.
E deve averlo notato anche lei, quando le ho messo "mipiace". Non era presente al mio anno peggiore, ma qualcuno deve averglielo raccontato perché mi ha scritto chiedendomi "tu come stai, ora?" e non avrebbe usato 'ora' se non sapesse di un 'allora' in cui non stavo bene. 
Le ho risposto in maniera un po' vaga, e lei mi ha raccontato che lotta contro i dca da anni, che al liceo soffriva di binge (ed ha lasciato la scuola perché stava troppo male per reggere la maturità), prima era stata bulimica, poi anoressica, adesso a fasi alterne tra anoressia e bulimia.
Mi sono sentita stupida per aver invidiato la sua magrezza, ricordandola piuttosto in carne ai tempi del liceo, mi sono sentita superficiale per aver pensato che avesse finalmente deciso di chiudere la bocca e muovere il culo e mi sono sentita in colpa per tutte le volte che scandaglio i corpi della gente che incontro, guardo nei loro piatti, giudico le loro relazioni col cibo.
Cosa sappiamo noi, davvero, delle persone che ci circondano? Siamo autorizzati, noi, a dire con leggerezza di qualcuno che è troppo grasso, o troppo magro? Non dovrebbe la malattia averci insegnato a guardare oltre le apparenze? Non dovremmo essere diventate più sensibili, come poeti ed omosessuali? Almeno, questo vuole il cliché: le persone che soffrono sono più empatiche. Essere stato depresso ti aiuta a capire prima le persone. Se sei stato anoressico non giudicherai mai una persona grassa.
È davvero così? Io alle volte ho l'impressione opposta, che la depressione mi abbia inaridita, l'anoressia resa più cinica e stronza. All'amica del mio fidanzato che si vanta di aver perso 15kg in meno di un anno vorrei dire che è una dilettante, a E. che fa la scarpetta vorrei suggerire di non farla, alle mie giovani allieve di non mettere in mostra la pancia, se è flaccida.
Sono una persona più brutta di quanto gli altri credano. 
Anche lei, la ragazza del liceo con cui non avevo mai parlato, ha attratto la mia attenzione solo perché è dimagrita, altrimenti forse avrei dimenticato persino il suo viso. Invece lei si ricordava di me, della mia storia e di quella di M. e salutandomi mi ha detto che dobbiamo vederci, e mentre accettavo l'invito pensavo che sarebbe molto triste, rivedendola, scoprire di non essere più più magra di lei, anziché essere contenta della sua proposta.
Sono davvero una brutta persona. O forse lo siamo tutti, sotto sotto, troppo egoisti per capire davvero gli altri e le loro sofferenze. Del resto lo cantava anche De Andrè "per tutti il dolore degli altri è dolore a metà".

lunedì 17 agosto 2015

chili che pesano come macigni e sindrome bipolare

Ho aspettato a scrivere perché avrei voluto aprire con una buona notizia, essere carica e positiva, e invece i due chili che ho ripreso in vacanza sono ancora qui, e io me li sento addosso come se fossero venti.

Mi sento ingombrante, pesante, goffa. Sento la fatica nei movimenti, mi pare di occupare troppo spazio sul sedile della macchina, ho l'impressione che i vestiti mi tirino sul sedere, mi sembra di scoppiarci dentro. E razionalmente so che non è possibile, che la maggior parte delle cose che indosso non può starmi stretta perché, a parte l'ultima settimana prima di partire, non sono mai scesa sotto i 60kg e tanto dovevo pesare quando ho comprato le cose che ora mi sembrano troppo piccole. 
So che è tutto nella testa, che due chili non possono pesare così tanto, che non posso vedermi il sedere grande quanto un transatlantico negli stessi pantaloni che un mese fa mi sembrava che assecondassero bene i miei fianchi e mi facessero sembrare persino più magra. Eppure è così. Mi sento enorme, mi guardo allo specchio e mi vedo la faccia grossa, come se fosse cortisonica, e le cosce hanno ripreso a toccarsi (o forse non hanno mai smesso. O forse non hanno mai ricominciato e io vedo cose che non esistono, o ho visto cose che non sono mai esistite) e mi sento sporca, perché a me il grasso di troppo dà questa sensazione di unto, di schifo, come se non potessi essere davvero pulita neppure dopo dieci docce.
Potrei darmi da fare e liberarmi di questi due maledetti chili (e degli altri che ho intenzione di perdere) con la stessa ferrea disciplina con cui li ho persi ai primi di luglio, ma sembra che i chili ripresi siano più difficili da mandare via, come le ricadute dell'influenza. E poi non posso digiunare, perché ho bisogno di energie per scrivere la tesi, che devo consegnare ai primi di settembre, e se mangio poco e bene rimango stabile sui 61 abbondanti, se mangio di più sforo oltre il 62, se mangio poco e faccio tanto sport riesco a vedere il 60, ma mai per più di due giorni consecutivi. 
A fine mese ho un matrimonio, poi la mia laurea, poi le lauree di una serie di amici, tutti eventi ai quali mi ero ripromessa di arrivare abbondantemente sotto il 60. Per il matrimonio di fine mese mi accontenterei di rivedere il 59 di luglio, ma per la mia laurea sogno di essere 57 kg da prima ancora di sapere quando mi sarei laureata, praticamente dalla laurea scorsa, quando col vestito color crema e i boccoli sembravo una grassa bambola di porcellana.
In tutto ciò, comincio seriamente a credere di essere bipolare. Un giorno mi siedo a tavola con i miei parenti e mangio antipasto, primo e secondo (gli dèi hanno voluto che non mi piacessero i dolci, altrimenti avrei mangiato pure il dessert) e metto la salsa tartara sulle patate bollite, e la mia coscienza tace, e il giorno dopo esco con un'amica e la massima aspirazione della serata è riuscire a non mangiare né bere nulla, in una sorta di perverso Ramadan personale, il cui successo si misura nel sapore di menta del chewing-gum che ho masticato mentre la mia amica mangiava il panino con la porchetta, il gelato, la brioche a mezzanotte. Io dico no a tutto e mi sento imbattibile, riprovo quella sensazione di onnipotenza che provavo qualche estate fa, quando lo scopo dei miei giorni era andare a dormire con la pancia vuota e svegliarmi con i crampi allo stomaco.
Passa qualche sera, e mi ritrovo a festeggiare il compleanno del mio migliore amico con una maratona di cibo. Anche lui ha un rapporto non proprio sano con il cibo, quando l'ho conosciuto pesava 50kg di più e faceva merenda con la parmigiana fredda di sua mamma, poi c'è stato l'anno del suo dimagrimento, quando dava lezioni di vita e di dieta e voleva insegnare a me - a me - come si digiuna e quanto è bello sentire i morsi della fame, e correva come un disperato, di notte perché di giorno la vergogna e l'afa della città lo frenavano. Ora sta bene, ha ripreso qualche chilo dal suo minimo storico e alterna fasi di dieta punitiva e fasi di "mangiamo, ché la vita è breve". L'altra sera, complice il compleanno, che fa ticchettare più forte l'orologio del carpe diem, era una delle serate in cui la linea non conta, conta solo sfondarsi di cibo, il più possibile. E il suo fidanzato e un'altra amica gli andavano dietro, e continuavano a riempire i piatti all'aperitivo. Pasta fredda, olive, insalata di riso. Mangio voracemente un piatto, poi salto un giro, divorata dai sensi di colpa, poi mi lascio convincere ad andare io a riempire i piattini, e divoro anche i sensi di colpa. Poi andiamo al ristorante, perché l'aperitivo non ha soddisfatto abbastanza, poi in un parcheggio con spumante e pasticcini (che sollievo poter finalmente smettere di mangiare: lo spumante è dolce e non mi piace, i pasticcini li odio, non capisco come la gente possa mangiarne così tanti), poi finalmente a casa, ciclette. 
C'è che mi sembra che in me convivano due persone e che si sopportino anche poco: da una parte la salutista attenta alla linea che dosa carboidrati e proteine e prepara un menù settimanale perfetto, dall'altra la festaiola ingorda che non esita a pucciare le patatine fritte nella maionese. E quando provo a dire a me stessa che mangiare le patatine fritte con la maionese è un sacrosanto diritto - ho un'amica magrissima che fa l'aperitivo col bigmac e alle dieci è in grado di ordinare patatine fritte con scamorza filante e würstel e a mezzanotte sostenere di avere ancora fame - di ogni persona, ecco che mi torna in mente una frase che avevo scarabocchiato su un diario di scuola tanti anni fa: preferisci uno sfizio oggi o un bel vestito domani? E non so più cosa voglio, né cosa sia giusto volere.
Intanto mentre non vedo il cibo e non ci penso, mentre sono da sola e non mangio, mi sembra così facile dimagrire, ma ecco che poi compaiono gli amici, le cene, le sagre, e mi dimentico di ogni proposito. E quando mangio penso che non mangiare sia sbagliato, quando non mangio penso l'opposto. Mi perdono i digiuni e gli stravizi e intanto non sono mai "normale".

lunedì 3 agosto 2015

indovinate qual è stata la prima cosa che ho fatto al ritorno dalle vacanze!

Indovinate qual è stata la prima cosa che ho fatto appena messo piede in casa mia, dopo aver riallacciato la corrente e prima ancora di svuotare la valigia?
Esatto, mi sono pesata.
Anche se ero reduce da un pranzo con la famiglia del mio fidanzato durato da mezzogiorno alle sei. Anche se erano le sette di sera e io di solito mi peso al mattino. Anche se mi sentivo gonfia, pesante, obesa. 
Ovviamente la bilancia è stata impietosa: 61,8 kg.
Avrei potuto scoppiare in lacrime, infilarmi le unghie nelle cosce grasse e molli per sentire quanto fa male essere cicciona, salire sulla ciclette e pedalare per ore, invece ho stupito me stessa per la lucidità e la calma che sono riuscita a mantenere. Niente panico, Euridice. Non sono le condizioni giuste per pesarsi, lo sai, tra qualche giorno rivedrai i rassicuranti 59. Niente panico.
In vacanza non ho mangiato tanto, ma ho mangiato cose diverse dal solito (soprattutto molti più carboidrati) ad orari diversi dal solito e in maniera abbastanza disordinata, per esempio pranzando alle quattro o bevendo vino a stomaco vuoto. Devo solo riprendere le mie sane abitudini, recuperare la regolarità e il gonfiore e il peso di troppo scompariranno. Niente scenate isteriche, non voglio avvelenarmi l'anima di odio dopo che per nove giorni ho respirato tanta pace.
Ho avuto qualche momento di crisi, naturalmente, ma ho cercato di superarli senza lasciarmi sopraffare dal cattivo umore.
Momento di crisi n.1: martedì in spiaggia, prendo il sole sul bagnasciuga e sento una ragazza dire ai suoi amici "faccio un po' di ginnastica, sfruttando la resistenza dell'acqua, per togliere la ciccia." Loro, quattro maschi, la prendono in giro scherzosamente e lei aggiunge "io sono grassa più o meno come quella ragazza lì, no?" Quella-ragazza-lì sono io, non ci sono dubbi. Il nostro angolo di spiaggia è quasi deserto, ci siamo solo noi, loro e una famiglia di tedeschi nascosti da una tenda-ombrellone, quindi non c'è rischio di equivoci. Vorrei sprofondare nella sabbia con il mio costume color tortora che mi sembrava abbastanza generoso con le maniglie dell'amore, vorrei essere in metropolitana col cappotto, in università col maglione e la sciarpa. Invece sono lì, sotto lo sguardo indagatore degli amici della tizia che ora mi scrutano e mi pesano con gli occhi. Vi giuro, non mi sentivo così esaminata dai tempi in cui facevo danza e la maestra sceglieva le più magre per la prima fila. Per fortuna il loro responso, forse anche per gentilezza nei suoi confronti, è stato che non ero affatto grassa e che lei aveva delle fette di prosciutto deformanti davanti agli occhi. Poi è uscita dall'acqua e ho potuto constatare che era effettivamente un po' abbondante (ma i miei criteri di definizione della magrezza sono un po' rigidi) e discretamente flaccida però non l'avrei definita grassa, il che mi ha leggermente confortata.
Momento di crisi n.2: mercoledì sera, ora di cena e io non ho minimamente fame. Abbiamo fatto un aperitivo in spiaggia e per me potrebbe bastare, ma il mio fidanzato non considera un aperitivo a base di patatine e pecorino e miele un degno sostituto di una cena e scalpita per andare a provare un ristorante di pesce che abbiamo intravisto la sera prima. Mi lascio convincere ad ordinare una grigliata mista enorme perché bisogna prenderne minimo due porzioni e gliene lascio quasi metà, provocando l'inarrestabile cascata di domande: ma che cos'hai? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? Perché non mangi? Sei triste? Fammi un sorriso. Tutte cose che aumentano a dismisura la mia ansia, perché odio rovinare le serate agli altri per colpa delle mie paturnie, e il senso di colpa mi rende ancora più cupa e taciturna e scatta il circolo vizioso: tristezza-senso di colpa-tristezza doppia.
Momento di crisi n.3: venerdì pomeriggio, ancora in spiaggia. Prendo il sole senza il pezzo sopra del costume approfittando del fatto che la spiaggia non è affollata ed è frequentata principalmente da adulti, poi io odio il segno del costume quindi quando posso mi piace prendere il sole senza. Arriva un gruppo di amici - tre ragazzi e la fidanzata di uno - e si fanno un po' di foto tra loro, poi uno, pensando che stia dormendo, dice: "hai fotografato anche il panorama della spiaggia? Prendi anche la sfilza di bionde vicino a noi." e gli amici aggiungono qualche battuta volgare sul bendidio offerto da me e dalle tre ragazze olandesi, anche loro in topless, sdraiate a qualche metro di distanza. Ho provato un moto di disgusto per il mio corpo, per il fatto di avere un seno o un sedere in grado di attirare gli sguardi degli uomini, ho provato disgusto per loro e per i corpi in generale. Ho ripensato a quando ero magra e andavo in spiaggia con i kaftani, a volte lunghi fino alle caviglie, o a maniche lunghe, per nascondere il mio corpo alla vista degli altri e alla mia, e per un attimo ho desiderato non aver perso l'abitudine di allora, oppure avere un corpo scarno e vuoto, come quando pesavo quindici chili in meno, perché nessun uomo lo guardasse. 
Però poi ho pensato che è sciocco vergognarsi di un corpo femminile se sei una femmina, è sciocco ed è sbagliato, e io non voglio (più) nascondermi. Così non mi sono rivestita, non mi sono messa di spalle, non mi sono tuffata in acqua per sottrarmi al loro interesse. Sono rimasta lì, a difendere con orgoglio il corpo che ho odiato per tanti, troppi, anni. 
Sul fronte cibo, comunque, ho avuto la fortuna di poter mangiare sempre poco a pranzo e camminare tanto, ma a cena ho ripetutamente sgarrato mangiando (e bevendo) troppo. Ho vissuto il solito dissidio interiore tra la tentazione di mangiare solo mezza porzione, di correre a vomitare tutto o di nascondere i cibi già masticati nel tovagliolo - tanto,  mi dicevo quando ero solita usare questa tecnica, il bello di mangiare è sentire il sapore delle cose, dopo averle gustate che senso ha mandarle giù? - e la voglia di dare un calcio alle mie ossessioni e vivere qualche giorno di normalità, vedere che cosa si prova a mangiare la pasta a cena per due sere consecutive e a mettere il miele nello yogurt tutte le mattine. E, sapete, è bello, anche se solo per qualche giorno. Riposante e rinfrescante come l'acqua cristallina del mare.
Un abbraccio a tutte!