Ho
scoperto che una mia ex compagna del liceo soffre di disturbi
alimentari. È stata lei a scrivermi per dirmelo, la settimana scorsa.
Avevo messo un "mipiace" ad un link da lei pubblicato su Facebook, un
articolo che parlava di una performer inglese rimasta in mutande e
reggiseno a Piccadilly Circus per sensibilizzare contro i dca, e poco
dopo lei mi ha scritto un messaggio privato.
Non
ci vediamo da quasi sei anni, lei ha lasciato la scuola l'inverno
dell'ultimo anno - non sopportava la pressione, era troppo stressata, ci
aveva detto all'epoca la prof di filosofia - e poi ho saputo che ha
dato la maturità da privatista, l'anno dopo, ma io non l'ho più vista,
neppure per caso, in qualche locale in centro, com'è capitato con altri
ex compagni che pure non ho più sentito di mia spontanea volontà.
Eppure,
nonostante non ci vedessimo né sentissimo mai, non ho mai pensato di
cancellarla dagli amici di Facebook, mentre altri compagni li ho
eliminati la sera stessa della cerimonia della consegna dei diplomi.
Sarà
che il giorno in cui è comparsa nella mia classe, dopo essersi
trasferita da un altro liceo, le ho detto che aveva dei capelli
bellissimi. Lunghi, color miele, acconciati in dei boccoli perfetti,
quando io avevo il mio caschetto sghembo di paglia alimentata a
bioscalin. Lei rimase sorpresa dal mio complimento, forse per qualche
secondo pensò persino che la stessi prendendo in giro - già tra i banchi
circolava il suo nomignolo nuovo di zecca, Luigi XIV - ma io ero
sincera, e lei lo capì e sorrise.
Non
ci siamo dette più che qualche "buongiorno" al mattino, ogni tanto mi è
capitato di parcheggiare accanto alla sua macchina e abbiamo fatto
insieme la strada fino a scuola, spesso in silenzio, una volta sono
andata al salone di bellezza gestito da sua madre e frequentato dalla
mia migliore amica di allora. Lei era lì, che leggeva sotto un casco per
la permanente, ma anche in quel caso, mentre io mi facevo fare un
trattamento miracoloso che doveva dare nuovo vigore ai capelli, non
scambiammo più che qualche parola.
Insomma,
una di quelle persone che passano nella tua vita senza quasi lasciare
traccia, un volto sull'annuario scolastico, e il ricordo della sua bella
chioma dorata. Negli
anni, però, ho seguito la sua trasformazione in differita, tramite le foto che
lei pubblicava su Facebook. L'ho vista farsi bruna, perdere una buona
trentina di chili, farsi liscia, riprendere qualche chilo, tagliarsi la
frangetta, perderli nuovamente.
Qualche
volta ho sfogliato a ritroso le sue foto per osservarne l'evoluzione,
con un istinto voyeuristico che a tratti diventava quasi ossessione. Le
foto sulla spiaggia in costume, con le lunghe gambe abbronzate, le
minigonne, i leggings, prova incontrovertibile per chiunque voglia
dimostrare la propria magrezza. Io sono affascinata dalle ragazze in
carne che dimagriscono, mi ricordano il mio glorioso passato, quando
anche io ero visibilmente più magra ad ogni foto che mi veniva scattata,
nonostante fossi sempre bardata di sciarpe e vestiti troppo larghi.
Lei
no, lei mi sembrava felice ed orgogliosa del suo nuovo corpo, che
sfoggiava come si ostenta un bel gioiello o una borsa griffata. E
invece, quel post. Nessuno parla di dca se non li vive. Non è come il
cancro o l'abbandono degli animali, l'avrete notato tutte.
E deve averlo notato anche lei, quando le ho messo "mipiace". Non era presente
al mio anno peggiore, ma qualcuno deve averglielo raccontato perché mi
ha scritto chiedendomi "tu come stai, ora?" e non avrebbe usato 'ora' se
non sapesse di un 'allora' in cui non stavo bene.
Le
ho risposto in maniera un po' vaga, e lei mi ha raccontato che lotta
contro i dca da anni, che al liceo soffriva di binge (ed ha lasciato la scuola perché stava troppo male per reggere la maturità), prima era stata
bulimica, poi anoressica, adesso a fasi alterne tra anoressia e bulimia.
Mi
sono sentita stupida per aver invidiato la sua magrezza, ricordandola
piuttosto in carne ai tempi del liceo, mi sono sentita superficiale per
aver pensato che avesse finalmente deciso di chiudere la bocca e muovere
il culo e mi sono sentita in colpa per tutte le volte che scandaglio i
corpi della gente che incontro, guardo nei loro piatti, giudico le loro
relazioni col cibo.
Cosa
sappiamo noi, davvero, delle persone che ci circondano? Siamo
autorizzati, noi, a dire con leggerezza di qualcuno che è troppo grasso,
o troppo magro? Non dovrebbe la malattia averci insegnato a guardare
oltre le apparenze? Non dovremmo essere diventate più sensibili, come
poeti ed omosessuali? Almeno, questo vuole il cliché: le persone che
soffrono sono più empatiche. Essere stato depresso ti aiuta a capire
prima le persone. Se sei stato anoressico non giudicherai mai una
persona grassa.
È
davvero così? Io alle volte ho l'impressione opposta, che la
depressione mi abbia inaridita, l'anoressia resa più cinica e stronza.
All'amica del mio fidanzato che si vanta di aver perso 15kg in meno di
un anno vorrei dire che è una dilettante, a E. che fa la scarpetta
vorrei suggerire di non farla, alle mie giovani allieve di non mettere
in mostra la pancia, se è flaccida.
Sono una persona più brutta di quanto gli altri credano.
Anche
lei, la ragazza del liceo con cui non avevo mai parlato, ha attratto la
mia attenzione solo perché è dimagrita, altrimenti forse avrei
dimenticato persino il suo viso. Invece
lei si ricordava di me, della mia storia e di quella di M. e
salutandomi mi ha detto che dobbiamo vederci, e mentre accettavo
l'invito pensavo che sarebbe molto triste, rivedendola, scoprire di non
essere più più magra di lei, anziché essere contenta della sua proposta.
Sono davvero una brutta persona. O forse lo siamo tutti, sotto sotto, troppo egoisti per capire davvero gli altri e le loro sofferenze. Del resto lo cantava anche De Andrè "per tutti il dolore degli altri è dolore a metà".
Lo siamo tutti, sì, brutte persone. Ti assicuro che quando mi ritrovo in mezzo ad altri ragazzi ciechi (e la ciecità è una cosa ben diversa dall'anoressia), fra cui ci sono alcune delle mie migliori amiche, scatta, inevitabilmente, il meccanismo per il quale mi trovo sempre a pensare chi di noi è più autonomo e se la cava meglio a muoversi col bastone, a interagire con gli altri, a sembrare più normale, meno invalido possibile. è orribile, visto e considerato che abbiamo tutti lo stesso problema e siamo tutti nella stessa barca, ma a volte capita, e mi sento tremendamente sciocca e cattiva, per questo.
RispondiEliminaPerò è anche vera una cosa, nel mio caso, e sono sicura anche nel tuo. Oltre a questi momenti, c'è anche una solidarietà tremenda fra noi, nel senso che capita di incoraggiarci, di spronarci, di aiutarci reciprocamente in molti modi. Eppure i momenti di competizione, persino fra ciechi, capitano. E sono brutti, e inevitabili, e allora credo che l'unica cosa da fare sia concentrarsi sul resto, sulla solidarietà, l'affetto, l'empatia che può scattare fra due persone che soffrono dello stesso disagio, che sia l'anoressia o la mancanza della vista. Forse nel tuo caso c'è anche il fatto che l'anoressia ha cambiato un po' il tuo modo di ragionare e di pensare, però non credo cambi poi molto.
E tu vedila, questa ragazza. Al di là dei disturbi alimentari, può capitare che fra voi scatti un'intesa, una complicità, un'empatia, che negli anni prima non aveva avuto occasione di manifestarsi. Magari, invece, scoprirai che al di là dei disturbi alimentari non c'è nient'altro che possa legarvi, e allora non ne vale la pena. Però potrebbe essere un'occasione, in ogni modo....
Ti abbraccio,
Minerva
Ti dirò, frequentava il mio corso di laurea una ragazza palesemente anoressica. Tre anni fa, durante un soggiorno in esterna con l'università, l'ho conosciuta e mi ha preso in simpatia abbastanza da, ancora oggi, salutarmi e sedersi vicino a me se ne ha l'occasione.
RispondiEliminaIo invece la evito come la peste.
Ovviamente se siamo insieme sono molto cordiale e per nulla refrattaria, ma se potessi mi teletrasporterei all'istante altrove. Con tutta l'empatia e l'ammirazione che provo per lei (adesso sembra stare decisamente meglio di una volta), io non voglio averci niente a che fare. Non voglio essere coinvolta, non voglio pensare ai dca più di quanto non faccia già, e non voglio ritrovarmi magari a confidarle qualcosa, di passato o presente. Ho il terrore (ingiustificato) che stare con lei metta in qualche modo in risalto il fatto che anch'io ho avuto problemi col cibo. E mi rifiuto, per quanto possa essere stupido ed egoista come ragionamento, di rischiare di peggiorare, accompagnandomi a lei. Le mie amiche sono già sufficientemente filiformi da mettermi a disagio, a volte.
E quindi, nulla. Io mi sento molto propensa a giustificare gli altri, a supporre dolori o difficoltà, secondo il principio del " Be kind, for everyone you meet is fighting a hard battle". Sono quella che quando al lavoro qualcuno ci tratta male e le mie colleghe si arrabbiano cerca di palcare gli umori dicendo "magari ha avuto una brutta giornata". Ma questo non mi rende assolutamente meno egoista. Anzi, forse lo sono ancora di più.
Non sei una brutta persona Euridice.
RispondiEliminaSiamo tutti fatti così, è umano spandere giudizi (e condanne!) verso il prossimo, ignorando completamente quello che le altre persone vivono.
Quasi ognuno di noi è stato vittima di qualche tipo di discriminazione, ce ne sono davvero di tutte le specie, ma scommetto che ognuno di noi ha, a sua volta, preso per il culo quello che reputava uno sfigato.
Certe volte ci incazziamo se veniamo presi in giro per una cosa (facciamo un nasone inventato, eh), ma siamo i primi a deridere (tra noi e noi, con l'amica o chissà) la passante con i dentoni storti.
Quando il deriso di turno si mostra schifosamente gentile con noi ecco che scatta il senso di colpa immenso.
Ma vedi, è umano.
Credo che il commento di Minerva sia illuminante, ma anche quello di Curvula in realtà perché parlano di due situazioni all'estremo.
Dovremmo sicuramente fare uno sforzo per essere più tolleranti e avere la mente più elastica con chi abbiamo intorno.
Sarebbe splendido non pensare, nel vedere una tipa grassoccia, "Chiudi la bocca e alza le chiappe, sorella!".
Ma noi siamo parte integrante del sistema agghiacciante che ci ha condannato ai dca.
Ecco, varrebbe la pena zittire il critico interiore solo per ripicca verso i dca.
Ma viviamo in una società alienante dove ci sbraniamo continuamente tra noi e siamo incentivati a farlo.
Per citare un grande giornalista genovese del secolo scorso "L'atrocità non è più un fatto eccezionale, la distruzione è diventata una moda".
Sono andata off topic?
Ho scritto di getto, perdona gli errori.
l'uomo è un animale sociale...ed è portato per natura a cercare l'altro..si omologa anche le emozioni pur di fare gruppo..
RispondiEliminasecondo me la tua amica deve averti 'studiato'a fondo quando eravate a scuola insieme,perchè poverina soffriva e non poteva parlarne con nessuno..e vedeva in te uno 'spiraglio'..
confrontati con lei non pensare se sei più magra o più grassa..
lasciati trasportare dalle emozioni..anche quelle di omologazoni..
ti stupirai della tua empata..
un bacio!
empatia.
EliminaChe bel commento, porco mondo.
EliminaHai trovato la cosa bella e giusta da dirsi e poi da farsi.
Vergogna su di noi!!!!
(scherzo!)
UAO!!!ora ho visto!!!
EliminaGRAZIE KORe..davvero..sei carinissima!!!
Con l'anoressia ho cominciato a guardare il resto del mondo diversamente da come facevo prima, soffermandomi sui particolari, ma sopratutto su ciò che mi interessava. Gambe, pancia, cosce, fianchi.
RispondiEliminaAncora oggi , con un DCA affievolito e una ripresa di gran parte della mia vita osservo le persone attorno a me, cercandone disperatamente i difetti, le ossa, il grasso, le imperfezioni.
E' il lato amaro e vergognoso che cerco ancora oggi di estirpare, quello per il quale mi reputo una brutta persona.
Mi trovo a giudicare una passante sulla base della cellulite che ha addosso, dei fianchi troppo larghi, dei rotolini sulla pancia...
Oppure invidio morbosamente la ragazza magra, fisicata...
...Per quanto riguarda invece altre ragazze, donne affette dall'anoressia, ne ho conosciute alcune al centro in cui andavo e devo ammettere che ho sempre provato ad interagire assieme ad esse, con scarsi risultati.
Io parlavo della malattia tranquillamente, ricercando disperatamente comprensione, scambio di opinioni, per non sentirmi sola e per capire meglio ciò che vivevo.
Provavo dispiacere - e non invidia - nel vedere chi stava come me, sia con qualche kg in più che in meno.
Eppure ho notato che la maggior parte aveva (ed ha) fastidio a dialogare, ad incontrarci al di fuori di quell'ambiente, a rivederci adesso che stiamo meglio.
Non so', ho sempre avuto quello spirito de "l'unione fa la forza", pensavo che stare assieme aiutasse. Ma comprendo che per molte non è così, hanno paura di essere influenzate negativamente o di pensare ancor di più alle loro ossesioni. (come dice Curvula).
Oggi ho assolutamente voglia di parlare anche di altro, di altre tematiche, ma in quel momento, dove il DCA era la mia vita, avevo tanto bisogno di indagare fino in fondo!
Forse sono andava un po' fuori tema (?)
Un abbraccio Euridice!
Ciao, Euridice. Non ti leggo da un po', ma eccomi di nuovo qui!
RispondiEliminaInnanzitutto... credo che questo sia uno dei post più belli che tu abbia pubblicato. Inoltre, sono convinta che il dolore degli altri non sia (per noi) un dolore a metà, quanto che sia diverso dal nostro e quindi meno facile da comprendere. L'aver vissuto determinate esperienze, non implica trovare facili da capire quelle degli altri... Non so se mi spiego...