Disturbo
ossessivo-compulsivo di personalità fu la diagnosi che seguì la prima seduta di psicoterapia,
ormai otto anni fa. Non ero lì per i problemi con il cibo ma per dei disturbi
d’ansia che all’epoca, benché avessi solo quattordici anni, mi torturavano
quotidianamente impedendomi di vivere una vita normale e costringendomi a
negarmi i divertimenti tipici di quell’età, come i pomeriggi al centro
commerciale e le serate al cinema o in qualche pub.
Appena entravo in un centro commerciale perdevo totalmente la
percezione di me stessa e mi ritrovavo a guardare il mio corpo dall’esterno, mi
vedevo muovermi con lentezza estrema, a scatti, e interagire con il resto del
mondo come se ci fosse una spessa cortina di nebbia tra me e gli altri. La depersonalizzazione poteva durarmi per
giorni e non abbandonarmi mai: in classe, anche durante le interrogazioni, a
tavola con la mia famiglia, a danza…L’unico modo per riappropriarmi del mio
corpo era chiudermi nella mia stanza, accendere la musica o sedermi al pc a
scrivere racconti e sognare di vivere altre vite, diverse dalla mia.
Lo psicologo, comunque, mi spiegò che alla base dei miei
problemi c’era un disperato bisogno di controllo e di autocontrollo. Ecco
perché quand’ero da sola, o in luoghi conosciuti, con persone amiche, stavo
bene e non appena mi trovavo in mezzo alla folla ero colta dall’ansia:
inconsciamente avrei voluto che tutte le persone che entravano e uscivano dai
negozi, che salivano e scendevano lungo le scale mobili, che urlavano a gran
voce, seguissero un ordine prestabilito. Il loro disordine mi destabilizzava,
il fatto di non sapere quale direzione avrebbe preso tutta quella gente mi
faceva sentire inquieta, agitata e quasi minacciata.
Tutti noi abbiamo delle piccole manie, delle piccole
personalissime fisse che agli occhi degli altri possono risultare assurde, ma
io vivevo intrappolata in un’intricata serie di ossessioni: gli oggetti avevano
ciascuno un posto specifico in camera e se non li disponevo in base a questo
preciso schema mentale non potevo fare nulla, né dormire, né uscire.
Quando cominciai ad avere problemi col cibo non feci altro
che applicare la mia piramide di fisse ad un campo nuovo e ad inventarmi tutta
una nuova serie di ferree abitudini. Mi pesavo sempre alla stessa ora, nella
stessa posizione. Facevo sempre lo stesso numero di addominali, cercando di
impiegare lo stesso tempo, e se sbagliavo qualcosa ricominciavo daccapo. La
sera disponevo gli abiti per l’indomani sulla sedia, con maniacale precisione,
e su un blocco marrone scuro prendevo nota di ogni caloria ingerita, comprese
quelle del caffè (non zuccherato) e del dentifricio che mi fosse capitato di
mandar giù per sbaglio.
Comunque, nel mio caso non si parlò mai di anoressia o
bulimia nervosa. Era soltanto un’altra manifestazione del mio disturbo
ossessivo compulsivo di ipercontrollo, come sistemare vestiti, pastelli, libri
e gioielli in rigorosissimo ordine di colore o dividere gli oggetti sulla
scrivania per quadrati tematici.
Lo so, sono pazza. Ma credo che la tendenza al controllo,
sugli altri e su di sè, e la ricerca disperata di perfezione in ogni campo
della vita siano alla base di ogni disturbo alimentare. Non si diventa
anoressiche o bulimiche perché si vuole dimagrire, quello è soltanto l’aspetto
esteriore di un vortice di ossessioni molto più complicato e la gente che
liquida chi soffre di disturbi alimentari tirando in ballo i modelli sbagliati
delle riviste e della tv è totalmente fuori strada.
Voi cosa ne pensate?