Peso: 73,7 kg
La cosa brutta dello stare
così male con se stessi è che si finisce per diventare odiosi anche con gli
altri. Io sfogo la mia rabbia sulle persone che mi sono più vicine – il mio
fidanzato, i miei genitori, l’amica più cara – mentre alle persone con cui sono
meno in confidenza mostro sempre il mio lato più allegro e solare. È terribilmente
ingiusto, lo so, ma so anche che con la maggior parte delle persone recito una
parte e che solo con quei pochi che devono sorbirsi i miei sbalzi d’umore e la
mia intrattabilità sono davvero me stessa.
Da qualche mese non ho voglia
di fare nulla. Se dipendesse esclusivamente dalla mia (vacillante) volontà
trascorrerei le giornate seduta alla scrivania a sfogliare svogliatamente un
libro o a navigare pigramente su internet: facebook, mail, Blogger, Giallo
Zafferano – “oh, come vorrei preparare questa ricetta per cena.” “Ma che dico?
Sono già una palla di lardo ambulante, stasera bresaola di tacchino e pomodori
sconditi.” – ancora facebook. A volte poi mi perdo a fissare il nulla per
minuti interi, poi mi scuoto, mi arrabbio perché sto perdendo tempo, buttando
via preziosi istanti della mia estate e perdo qualche altro minuto ad esaminare
nella mente i motivi per cui sono una cretina: lavoro al mattino e vorrei
dormire, quando non lavoro non riesco a dormire, non prendo impegni perché non
ho voglia di fare nulla e a fine giornata mi maledico perché un’altra giornata
è passata e non ho fatto nulla.
Non conosco i vostri gusti
musicali perciò mi permetto di linkarvi una canzone di Guccini che
rispecchia esattamente il mio stato d’animo di questo periodo, “Un altro giorno
è andato”; la frase che mi tocca più da vicino recita: “Giornate senza senso,
come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza.” Ecco, mi sembra
che la maggior parte delle mie giornate non abbia senso, che se queste giornate
non fossero esistite non solo non ne sentirei la mancanza, ma non me ne
accorgerei neppure. Scorrono via come mare senza vento ed è già la seconda metà
di agosto, l’estate sta finendo e io sono nella stessa condizione (fisica e
mentale) di due mesi fa. Non posso neanche dire di essere triste, perché non
sono davvero triste, sono troppo annoiata persino per essere triste, sono
troppo annoiata.
Mi annoia lavorare, mi annoia
non lavorare, mi annoia dover studiare per l’imminente sessione d’esami e mi
annoia persino dover organizzare le serate. Non ho voglia di uscire, di pensare
a come vestirmi, di mettere in ordine i capelli, supplire con abbondante
fondotinta all’inesistente abbronzatura di quest’anno, di spendere soldi per
drink che non dovrei bere, di vedere gente che mi dice che “sei troppo bella” e
non si accorge che peso venti kg in più rispetto a quando ero troppo bella per
davvero.
Però sono troppo stoica anche
per abbandonarmi all’abulia totale. Una voce perentoria dentro di me mi
rimprovera: “alza il culo ed esci.” Ed io obbedisco, perché non ho voglia di
uscire ma ho ancora meno voglia di pentirmi di non essere uscita. Una parte di
me non vuole uscire, una parte di me s’incazza con la parte di me che non vuole
uscire. Forse sono bipolare. O sono semplicemente una pazza che ama languire
nel dolore.
Il mio fidanzato me lo dice
sempre. “Tu fai andare male le cose per potertene lamentare, decidi che un
giorno dev’essere uno schifo e fai di tutto perché lo sia, così a fine giornata
puoi dire che è stato uno schifo.” È vero, l’eroina tragica che è in me ha
bisogno di potersi lamentare dello schifo che è la mia vita anche se la persona
saggia e razionale che è in me (forse sono schizofrenica?) sa che la mia vita
non è uno schifo: ho amici, salute quanto basta, denaro a sufficienza per togliermi
più sfizi del necessario. Se volessi potrei godermi la mia estate e smettere di
pensare così tanto e star male senza motivo.
Fosse facile. Voi lo sapete
come e meglio di me: se la parte malata della nostra mente decide una cosa, la
parte sana può fare poco per convincerla del contrario. Se la parte malata
della nostra mente decide che siamo grasse, siamo grasse, e nulla può
dissuaderci. Se la parte malata della mia mente decide che quest’estate fa
schifo, che non ho nessuna ragione per sperare che oggi sia migliore di ieri e
domani migliore di oggi, che sono brutta e antipatica e presto i miei amici se
ne accorgeranno e mi lasceranno sola come merito, non c’è modo di liberarmi di
questa convinzione.
Posso metterla da parte per
qualche ora, posso decidere di uscire nonostante questa convinzione, posso
persino provare a vedermi bella con un rossetto rosso fuoco e il total black
che con i tacchi tredici toglie qualche chilo, ma non posso liberarmene e
questo malumore dai confini incerti aleggia su di me da fine maggio. O forse da
sempre, solo che in certi periodi si fa più spesso, come le nuvole prima di un
temporale.
Sono le sei del pomeriggio, di
un pomeriggio di metà agosto. Ho lavorato fino alle quattro ed avevo in
programma di uscire con un’amica, invece sono salita sulla ciclette, ho
pedalato fino alle cinque e mezza, poi le ho mentito dicendole che avevo appena
finito di lavorare e s’era fatto troppo tardi per uscire, lei mi ha proposto un
aperitivo, non le ho ancora risposto, fingerò di aver letto troppo tardi il
messaggio e passerò le prossime due ore a meditare sulla mia cattiveria. Poi arriverà
il mio fidanzato, cucinerà qualcosa di buono e io gli dirò che mi vuole grassa,
litigheremo sul fatto che io non sono grassa, che sono fissata e che devo
smetterla di volermi male. Sarà troppo tardi per uscire, ammazzeremo il tempo
finchè non sarà ora di andare a dormire e io potrò pensare, mettendomi a letto,
che “un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai
passato e passerà.”
[Scusate lo sfogo così cupo,
ma mi è sembrato il modo migliore per mettere ordine nei miei pensieri
ingarbugliati e so che potrete capirmi.]