Il quattro febbraio di
due anni fa è morta la zia del mio fidanzato. È stato il primo vero
lutto della mia vita, anche perché profondamente diverso dai
precedenti. Fino ad allora, infatti, avevo sempre visto nella morte
una sorta di liberazione – così era stato per mia zia, malata di
diabete e costretta a subire diverse amputazioni agli arti inferiori;
così anche per la mia cuginetta malata di cancro, sottoposta a tre o
quattro interventi inutili e dolorosi. La morte, in quei casi, mi era
parsa l'unica soluzione ovvia, l'unica via d'uscita.
S., invece, quando è
morta stava bene, benissimo. Aveva poco più di trent'anni e
stava vivendo il periodo più bello della sua esistenza: aveva un
lavoro fisso, aveva comprato una casa con suo marito, erano appena
riusciti ad adottare un bambino quando un infarto se l'è portata via nel
giro di un paio d'ore, dalla telefonata con cui, alle 12.40, il mio
fidanzato mi diceva di correre da lui, ché S. era in ospedale, al
nostro arrivo al suddetto ospedale, poco dopo le due.
Per tutto il tempo del
viaggio in macchina ho ripetuto ad A. e a me stessa che non poteva
essere una cosa grave, perché lei non era malata di cuore, perché
era giovane e in salute, e perché gli infarti arrivano dopo i
cinquant'anni, e statisticamente colpiscono di più gli uomini. E poi
l'ambulanza era arrivata nel giro di pochi minuti, l'ospedale in cui
l'avevano trasportata era a pochi chilometri, e si sa che in caso
d'infarto la tempestività è fondamentale. Avete presente quando,
nonostante vi troviate in una situazione di pericolo, avete la netta
certezza che andrà tutto bene? Ecco, io mi sentivo così. Ero sicura
che saremmo arrivati e l'avremmo vista in un letto della terapia
intensiva, magari un po' malconcia ma cosciente. Ci avrebbe salutati
con un cenno da dietro il vetro e poi saremmo entrati a salutarla uno
alla volta, con la mascherina e il camice.
Invece quando siamo
arrivati nel parcheggio dell'ospedale la mamma di A. ci aspettava
fuori dalla porta del pronto soccorso e ha detto solo “Non ce l'ha
fatta”, come nei film, quando il medico raggiunge i parenti nel
corridoio con lo sguardo contrito e sai già che sta per dire “Non
ce l'ha fatta”. Io però non lo sapevo, non me l'aspettavo, e il
fatto di non aspettarmelo ha decuplicato il mio dolore.
So che è assurdo, ma
continuo a pensare che avrei preferito che morisse dopo una lunga
malattia. È un pensiero crudele ed egoista, me ne rendo conto, ma
avrei voluto abituarmi all'idea che lei dovesse andarsene, avrei
voluto accettare la sua morte prima ancora che morisse, e invece non
sono riuscita ad accettarla neppure dopo.
Mentre il mio fidanzato
entrava a darle un ultimo saluto io ho aperto la nostra ultima
conversazione. S. mi aveva scritto la sera prima per commentare delle
foto che avevo pubblicato su facebook e propormi una gita domenicale
per la primavera, come quelle che facevamo prima che arrivasse il suo
bambino. A un certo punto avevo smesso di risponderle perché ero
andata a prendere un caffè da L. e avevo lasciato il cellulare a
casa pensando che avrei proseguito la conversazione l'indomani. E ora
quell'ultima domanda di S., “Hai finito gli esami per questa
sessione?”, non avrebbe più avuto risposta, né ci sarebbe stata
la gita a Torino o un'altra cena nella loro casa nuova che odorava
ancora di infissi nuovi.
Comunque - non prendetemi
per pazza - in quel momento avrei voluto risponderle. Soltanto un
“sì”, giusto per non lasciare quella domanda in sospeso, perché
quella sensazione di incompiuto mi metteva angoscia.
Questo è quel che più
mi spaventa della morte: l'idea che ci sia qualcosa in sospeso, di
andarmene lasciando a metà dei progetti, la scrivania in disordine,
questioni irrisolte. Tanto che, nel mio periodo di ipocondria, facevo sempre in modo di avere tutte le mie cose in ordine e aggiornavo quasi quotidianamente una lettera di saluto ai miei genitori ed amici che conservavo in un cassetto della scrivania.
Mi mette angoscia leggere i messaggi che la gente lascia sulle pagine Facebook delle persone che muoiono; dopo la morte di S. gliene scrivevano ogni giorno, e io inconsciamente mi aspettavo che da un momento all'altro comparisse un suo commento, o almeno un "mi piace".
Avete presente quelle
cose che si dicono, che oggi ci sei e domani chi lo sa, che bisogna
vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo perché uno prima o poi
sarà l'ultimo per davvero? Beh, io non le avevo mai davvero
realizzate nella loro pienezza prima della morte di S. Forse perché
fin da piccola sono sempre stata convinta che morirò dopo una lunga
agonia, di cancro o di sclerosi multipla, non avevo mai pensato alla
possibilità che la persona con la quale stai messaggiando possa
morire prima di ricevere la tua ultima risposta, o che tu stessa
possa morire senza averla inviata.
Oggi pensavo a S., che
sarebbe stata contentissima per la casa, e sarebbe stata una delle
prime a venire a cena da noi, e poi alla gita a Torino mai fatta, e
al messaggio che non ha mai avuto risposta e a tutte le cose non
fatte nel mondo, rimandate perché pensiamo sempre di avere tempo in
abbondanza, e invece il nostro tempo è così poco.
Scusate per questo post,
ma è tutta la sera che piango e volevo condividere con voi questi
miei pensieri sconnessi.
Ti dico senza supponenza che capisco la magnitudo sia del tuo dolore, che dello sconquassamento di veder scomparire una persona senza preavviso, da un momento all'altro, e non avere nemmeno i mezzi emotivi per crederci.
RispondiEliminaMi ritrovo arida di parole, purtroppo non riesco neanche a formulare quei pensieri che tu giustamente fai: che bisogna vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Io, se ripenso a tutto quello che è successo e al modo in cui mio papà è scomparso, avverto solo un vuoto attonito, una mancanza di senso. Non ho imparato nulla, se non che tutto è duro.
Ma ti abbraccio stretta.
Ti capisco. Ogni giorno penso alle cose che avrei potuto dire a mia madre, a quanto (forse) avrei potuto e dovuto fare di più, a quanto sarebbe stata felice di vedermi diplomata, laureata in una delle sue materie, ma non posso. Non posso sapere cosa avrebbe pensato, non mi è concesso altro se non sentirmi in colpa, ogni giorno, per non esserle stata accanto.
RispondiEliminaTi dico solo una cosa: non c'è modo "migliore" per andarsene, anzi forse S ha lasciato questo mondo velocemente ed è meglio così, meglio ricordarsela sana e felice, anche se questo aumenta la tua impotenza, che ricordarsela avvizzita da una malattia.
Ti mando un bacio fortissimo.
Capisco quando dici che avresti preferito una lunga agonia in modo che la morte fosse un sollievo.
RispondiEliminaL'ho pensato x mio nonno ormai vecchio con tre tumori che negli ultimi quattro anni di vita stava in camera sua e scendeva solo x i pasti, prendeva tante medicine, e quasi mi ha fatto piacere che finissero le sue pene.
Certo ho pianto xke non l'avrei più rivisto scendere la scala o sentirlo tossire la notte dato che avevamo ka camera vicino, ma l'uomo che avevo conosciuto che mi faceva giocare a carte e scacchi ormai non c'era più da tanti anni..
E risulto noiosa ormai ai più x la mia continua voglia di chiarire e non lasciare questioni in sospeso, e la mia continua voglia di fare tutto bene, xke davvero potrei morire fra un Ora sotto una macchina. Xo questo pensiero mi fa essere positiva, sempre col sorriso e pronta a fare, insomma si può trasformare in qualcosa di positivo
Piangi e sfogati, che le volevi bene lo sapeva certamente, non sentirti in colpa x non avere risposto
Nel dolore non c'è niente di sbagliato.
RispondiEliminaPuò essere insensato e inutile, ma mai sbagliato.
Piangi, ogni lacrima riflette l'Euridice più vera e preziosa, al di là delle paranoie e del superficiale giudizio altrui.
Una volta lessi questo epitaffio, per una giovane donna morta tanti e tanti anni fa: "Ha fatto quel che ha potuto".
Lì per lì l'ho trovato orribile, arido, svalutante... ma oggi penso che sia meraviglioso, una goccia di senso della vita.
Quante cose possiamo fare, e non mi riferisco tanto a progetti e azioni concrete: vivere con il sorriso e con positività, come dice Raki, amare gli altri (e noi stesse) al massimo delle nostre forze, anche quando sembra difficile, disperato e inutile.
S. è sbocciata in te come un fiore e non ti lascerà mai, tu non la lascerai mai... vive in te e nell'affetto che avete saputo darvi a vicenda.
Un abbraccio.
ti capisco molto bene..6 anni orsono ad agosto 2016che ho perso mio zio, improvvisamente aneurisma infarto non ci ho capito molto...fatto sta che alcune volte mi ritrovo titubante a credere che non ci sia più. Anch'io come te avrei ero sicura, anche quando mi dissero non ce nulla, che tutto si capovolgesse, invece...
RispondiEliminacredo che era meglio che sarebbe morto dopo una lunga malattia sarebbe stato meglio..
beh sai che ti dico..dobbiamo imparare a vivere ogni secondo come l'ultimo secondo.
un beso...
Cara Euridice, avevo letto subito questo post ma credo non ci siano parole giuste per commentarle.
RispondiEliminaMi dispiace che tutti ci si debba confrontare con la morte, mi dispiace quando è preceduta da una malattia lenta e lunga (che sai, in realtà ti dà l'idea di eterna sopravvivenza, quindi poi ci sbatti il grugno con prepotenza) e mi dispiace quando è improvvisa.
Si dice che non si dovrebbe temere la morte, ma come si può non temere qualcosa che ti strappa gli affetti come fossero viscere? o che te li lascia avvizzire accanto al punto di chiederti se valga la pena soffrire così?
La morte forse è orribile per noi che sopravviviamo, soprattutto.
Ma credo che la bella persona che era S. rimanga luminosa e in qualche modo presente in te e in chi le era accanto.
Come si dice ai bambini, sai? vive laggiù, in un pezzettino del tuo cuore.
Perdonami se non so dirti di più, ti sono vicina lo stesso, anche senza saperti confortare.
Ti abbraccio.
Sembra assurdo ma ultimamente ci sto pensando spesso. Vorrei morire dopo una lunga agonia o cosi, all'improvviso? La verità è che si muore sempre un po' dentro, ogni giorno, e il velo nero si porta via un po' di noi ovunque andiamo. Non è mai giusto andarsene così, all'improvviso, senza aver chiuso i propri conti e senza aver salutato nessuno, ma cosa c'è di giusto in questa vita? Però se ti fermi un attimo a pensare, forse non è meglio andarsene in un attimo, mentre tutto intorno a te è realizzabile, con la giovinezza che ti pompa dentro e i sogni ancora vividi, mentre una luce si spegne e tu sei ancora li con il sorriso addosso e l'odore della vita?
RispondiEliminaho sempre avuto un raporto morboso e scostante con la morte... ad oggi mi fa quasi male e paura parlarne, ma lo faccio... lo scopo? esorcizzarla e nebuilizzarla fino a che non gli sia impossibile toccarmi veramente
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