Peso: 64,7 kg
Ieri sera un amico ha
organizzato una festa a sorpresa a casa sua per un altro nostro amico che
tornava dopo due mesi trascorsi in un’università israeliana per un corso
intensivo di ebraico e l’appuntamento era alle nove, un orario piuttosto
ambiguo, infatti mia madre mi ha chiesto se si trattasse di una cena o se avrei
mangiato a casa prima di andare.
E lì è scattato il meccanismo malato. Ho mentito, dicendo
che avremmo cenato da lui, anche se sapevo che si sarebbe trattato solo di un
dopo-cena con qualche stuzzichino poco impegnativo, prosecco e pasticcini.
Non so neppure perché l’ho fatto. È stato un riflesso
incondizionato, come grattarsi una spalla quando hai prurito o accelerare
quando scatta l’arancione al semaforo. La nostra mente è ripetitiva, come ho
letto in un post di Veggie: se attui uno stesso comportamento una volta, due,
tre, lei finirà per abiturarsi a quello stimolo.
Ai tempi del liceo questa era
la mia scusa preferita per saltare la cena. Mi trovavo quasi tutte le sere a
studiare con i miei compagni di classe (era l’unico modo per sopravvivere alla
mole inverosimile di studio che avevamo, mi ha aiutato a non impazzire del
tutto) e di solito ci vedevamo a casa di M., la mia amica ex anoressica, oppure
in una pasticceria vicino al liceo che nelle sere infrasettimanali era
praticamente deserta e quindi noi avevamo pace e privacy e l’affetto dei
proprietari che ci regalavano tutto quello che non erano riusciti a vendere
prima di sera. Comunque, almeno un paio di volte alla settimana ne approfittavo
per non mangiare dicendo a mia mamma che avremmo mangiato insieme; delle volte,
per rendere la faccenda più credibile, uscivo di casa un’oretta prima
dell’orario concordato!
Insomma, ieri sera davanti
alla possibilità di riutilizzare la mia cara, vecchia scusa per saltare la cena
non ho resistito. E, come vi dicevo, è stata una reazione rapida ed inconscia.
Non è che ci avessi pensato prima, mi fossi autoimposta di non mangiare o
chissà che altro, è solo che quando è stato il momento di dire “no, mangio a
casa e poi vado” non ce l’ho fatta. È come se inconsciamente avessi percepito
di non poter sprecare quell’occasione che mi si presentava così insperata, non
so se rendo l’idea.
Alla fine, dunque, ho mangiato
un pezzo di formaggio prima di andare e una volta lì ho stuzzicato un po’:
patatine, una specie di piccole schiacciatine che una ragazza del gruppo ha
comprato apposta per me perché sono senza lievito e una manciata di pop-corn e
non mi sono sentita in colpa perché quegli sfizi erano la mia cena e non un “di
più” fuori orario.
La morale è: se è vero che si
può guarire da un DCA – e io ne sono convintissima: si può. – è vero anche che si possono estirpare quei meccanismi malati
di cui eravamo schiave?
Oltre a quello che mi è
capitato ieri sera, infatti, ci sono diverse abitudini che mi porto dietro da
anni e delle quali non riesco a liberarmi, benché senta che la persona che
vorrei essere (e non sono) non dovrebbe averle:
1. Controllare
le calorie degli alimenti quando vado a fare la spesa. Molte volte, di
fronte a due alimenti praticamente identici, ad esempio due marche diverse di
formaggio spalmabile o di purè, la mia scelta ricade non su quello che costa di
meno o su quello che m’ispira più fiducia ma su quello che ha meno calorie,
anche quando mi sembra di qualità inferiore.
2. Non
riuscire a fare il bis. Quando mi trovo a casa di amici o al ristorante e
mi viene proposta una seconda porzione di qualcosa non riesco mai ad accettare,
anche quando si tratta di qualcosa che mi è piaciuto moltissimo e che, se fossi
da sola, mangerei senz’altro. È un’idea che mi tormenta da qualche anno: fare
il bis è concesso solo ai maschi e alle ragazze che hanno il metabolismo di un
muratore e sono magre anche se mangiano come camioniste.
3. Pesarmi
più volte al giorno. La pesa effettiva, a digiuno e senza vestiti, avviene
al mattino appena sveglia, ma poi mi peso dopo colazione per stupirmi di quanto
aumenti il peso dopo uno yogurt e un caffè (anche due-trecento grammi!) oppure dopo
aver fatto ciclette e in genere prima di andare a dormire, per fare un
pronostico sul peso del giorno successivo. Per un periodo ero riuscita ad
impormi di pesarmi una volta alla settimana o due, come suggerito dalla
nutrizionista, ma è più forte di me: quando vedo la bilancia devo salirci. E questo
capita anche a casa degli altri, come devo avervi già raccontato: se vedo una
bilancia nel bagno di qualcuno, devo assolutamente provarla.
4. Compensare
preventivamente gli sgarri aumentando l’attività fisica quotidiana. Quando so
che devo uscire a cena mi faccio un piano
di difesa che prevede ore di ciclette. In realtà non faccio mai riferimento
al tempo, ma alle calorie bruciate: nei giorni “normali” faccio in modo di
arrivare a 599 o 713kcal bruciate per mettermi il cuore in pace (dovrei dirvi
qualcosa sulle mie manie riguardo i numeri ma non vorrei annoiarvi troppo)
mentre in previsione degli sgarri m’impongo come traguardi 999, 1111 o 1331. E devo farlo. Nel senso che sono in grado
di rinunciare ad uscire il pomeriggio o di arrivare in ritardo ad una serata
pur di raggiungere il traguardo che mi sono imposta.
5. Negare
sempre quando mi chiedono se sono dimagrita/sono a dieta. Se mi fanno
notare che sono dimagrita rispondo sempre che è il vestito che indosso che smagrisce,
che lo stress degli esami mi ha asciugato il viso e adesso posso anche
avvalermi della scusa – che poi tanto scusa non è – che tutte le cose buone (e
che fanno ingrassare) contengono lievito, che non posso più mangiare. Ma il
peggio è quando mi chiedono se sia a dieta se rifiuto qualcosa da mangiare o
ordino un’insalatona per pranzo. La verità è che mi vergogno di confessare che, sì, seguo un preciso schema
alimentare, perché le diete sono una cosa da persone grasse, i magri non ne
hanno bisogno.
(e altre cose che ora mi
sfuggono)
Alcune di queste abitudini, in
realtà, potrebbero anche non essere così scorrette, come fare tanta attività
fisica o essere consapevoli dell’apporto calorico di un alimento, ma è il modo
in cui lo faccio che è sbagliato e che vorrei correggere, il fatto che mi lasci
condizionare profondamente da queste cose. Ad esempio, oggi nel mio programma
alimentare ho i carboidrati e posso scegliere tra piadina, pasta integrale,
farro e cous cous. Siccome non la mangio quasi mai avevo voglia di farmi una
piadina con il tacchino alle erbe, ma ho scoperto che una piadina precotta ha
407kcal e ho deciso di farmi un cous cous con le verdure, che mi piace comunque
moltissimo, poi la ragazza che fa le pulizie da me è di Marrakech e mi ha
regalato delle spezie buonissime perciò il cous cous adesso viene ancora più
buono, però è l’idea in sé di aver cambiato programmi per un numero che mi fa
un sacco rabbia.
E voi, di quali abitudini non
riuscite a liberarvi?
Un abbraccio e scusate la
lunghezza del post!