mercoledì 25 febbraio 2015

meccanismi malati che non riusciamo ad estirpare - passi (lenti) verso la guarigione



Peso: 64,7 kg

Ieri sera un amico ha organizzato una festa a sorpresa a casa sua per un altro nostro amico che tornava dopo due mesi trascorsi in un’università israeliana per un corso intensivo di ebraico e l’appuntamento era alle nove, un orario piuttosto ambiguo, infatti mia madre mi ha chiesto se si trattasse di una cena o se avrei mangiato a casa prima di andare.
E lì è scattato il meccanismo malato. Ho mentito, dicendo che avremmo cenato da lui, anche se sapevo che si sarebbe trattato solo di un dopo-cena con qualche stuzzichino poco impegnativo, prosecco e pasticcini.
Non so neppure perché l’ho fatto. È stato un riflesso incondizionato, come grattarsi una spalla quando hai prurito o accelerare quando scatta l’arancione al semaforo. La nostra mente è ripetitiva, come ho letto in un post di Veggie: se attui uno stesso comportamento una volta, due, tre, lei finirà per abiturarsi a quello stimolo.
Ai tempi del liceo questa era la mia scusa preferita per saltare la cena. Mi trovavo quasi tutte le sere a studiare con i miei compagni di classe (era l’unico modo per sopravvivere alla mole inverosimile di studio che avevamo, mi ha aiutato a non impazzire del tutto) e di solito ci vedevamo a casa di M., la mia amica ex anoressica, oppure in una pasticceria vicino al liceo che nelle sere infrasettimanali era praticamente deserta e quindi noi avevamo pace e privacy e l’affetto dei proprietari che ci regalavano tutto quello che non erano riusciti a vendere prima di sera. Comunque, almeno un paio di volte alla settimana ne approfittavo per non mangiare dicendo a mia mamma che avremmo mangiato insieme; delle volte, per rendere la faccenda più credibile, uscivo di casa un’oretta prima dell’orario concordato!
Insomma, ieri sera davanti alla possibilità di riutilizzare la mia cara, vecchia scusa per saltare la cena non ho resistito. E, come vi dicevo, è stata una reazione rapida ed inconscia. Non è che ci avessi pensato prima, mi fossi autoimposta di non mangiare o chissà che altro, è solo che quando è stato il momento di dire “no, mangio a casa e poi vado” non ce l’ho fatta. È come se inconsciamente avessi percepito di non poter sprecare quell’occasione che mi si presentava così insperata, non so se rendo l’idea.
Alla fine, dunque, ho mangiato un pezzo di formaggio prima di andare e una volta lì ho stuzzicato un po’: patatine, una specie di piccole schiacciatine che una ragazza del gruppo ha comprato apposta per me perché sono senza lievito e una manciata di pop-corn e non mi sono sentita in colpa perché quegli sfizi erano la mia cena e non un “di più” fuori orario.

La morale è: se è vero che si può guarire da un DCA – e io ne sono convintissima: si può. – è vero anche che si possono estirpare quei meccanismi malati di cui eravamo schiave?
Oltre a quello che mi è capitato ieri sera, infatti, ci sono diverse abitudini che mi porto dietro da anni e delle quali non riesco a liberarmi, benché senta che la persona che vorrei essere (e non sono) non dovrebbe averle:
1.       Controllare le calorie degli alimenti quando vado a fare la spesa. Molte volte, di fronte a due alimenti praticamente identici, ad esempio due marche diverse di formaggio spalmabile o di purè, la mia scelta ricade non su quello che costa di meno o su quello che m’ispira più fiducia ma su quello che ha meno calorie, anche quando mi sembra di qualità inferiore.
2.       Non riuscire a fare il bis. Quando mi trovo a casa di amici o al ristorante e mi viene proposta una seconda porzione di qualcosa non riesco mai ad accettare, anche quando si tratta di qualcosa che mi è piaciuto moltissimo e che, se fossi da sola, mangerei senz’altro. È un’idea che mi tormenta da qualche anno: fare il bis è concesso solo ai maschi e alle ragazze che hanno il metabolismo di un muratore e sono magre anche se mangiano come camioniste.
3.       Pesarmi più volte al giorno. La pesa effettiva, a digiuno e senza vestiti, avviene al mattino appena sveglia, ma poi mi peso dopo colazione per stupirmi di quanto aumenti il peso dopo uno yogurt e un caffè (anche due-trecento grammi!) oppure dopo aver fatto ciclette e in genere prima di andare a dormire, per fare un pronostico sul peso del giorno successivo. Per un periodo ero riuscita ad impormi di pesarmi una volta alla settimana o due, come suggerito dalla nutrizionista, ma è più forte di me: quando vedo la bilancia devo salirci. E questo capita anche a casa degli altri, come devo avervi già raccontato: se vedo una bilancia nel bagno di qualcuno, devo assolutamente provarla.
4.       Compensare preventivamente gli sgarri aumentando l’attività fisica quotidiana. Quando so che devo uscire a cena mi faccio un piano di difesa che prevede ore di ciclette. In realtà non faccio mai riferimento al tempo, ma alle calorie bruciate: nei giorni “normali” faccio in modo di arrivare a 599 o 713kcal bruciate per mettermi il cuore in pace (dovrei dirvi qualcosa sulle mie manie riguardo i numeri ma non vorrei annoiarvi troppo) mentre in previsione degli sgarri m’impongo come traguardi 999, 1111 o 1331. E devo farlo. Nel senso che sono in grado di rinunciare ad uscire il pomeriggio o di arrivare in ritardo ad una serata pur di raggiungere il traguardo che mi sono imposta.
5.       Negare sempre quando mi chiedono se sono dimagrita/sono a dieta. Se mi fanno notare che sono dimagrita rispondo sempre che è il vestito che indosso che smagrisce, che lo stress degli esami mi ha asciugato il viso e adesso posso anche avvalermi della scusa – che poi tanto scusa non è – che tutte le cose buone (e che fanno ingrassare) contengono lievito, che non posso più mangiare. Ma il peggio è quando mi chiedono se sia a dieta se rifiuto qualcosa da mangiare o ordino un’insalatona per pranzo. La verità è che mi vergogno di confessare che, sì, seguo un preciso schema alimentare, perché le diete sono una cosa da persone grasse, i magri non ne hanno bisogno.
(e altre cose che ora mi sfuggono)

Alcune di queste abitudini, in realtà, potrebbero anche non essere così scorrette, come fare tanta attività fisica o essere consapevoli dell’apporto calorico di un alimento, ma è il modo in cui lo faccio che è sbagliato e che vorrei correggere, il fatto che mi lasci condizionare profondamente da queste cose. Ad esempio, oggi nel mio programma alimentare ho i carboidrati e posso scegliere tra piadina, pasta integrale, farro e cous cous. Siccome non la mangio quasi mai avevo voglia di farmi una piadina con il tacchino alle erbe, ma ho scoperto che una piadina precotta ha 407kcal e ho deciso di farmi un cous cous con le verdure, che mi piace comunque moltissimo, poi la ragazza che fa le pulizie da me è di Marrakech e mi ha regalato delle spezie buonissime perciò il cous cous adesso viene ancora più buono, però è l’idea in sé di aver cambiato programmi per un numero che mi fa un sacco rabbia.

E voi, di quali abitudini non riuscite a liberarvi?
Un abbraccio e scusate la lunghezza del post!

sabato 21 febbraio 2015

giovedì, venerdì e sabato grasso: sgarri programmati



Peso: 65,4 kg

Giovedì grasso. Venerdì grasso. Sabato grassissimo.

Sono stati giorni di sgarro, ma era tutto programmato e quindi non sono andata più di tanto in paranoia. Mercoledì sono andata al sushi bar con un’amica e ci siamo rimpinzate di nighiri e sashimi. Giovedì ho pranzato con uno yogurt per prepararmi ad un aperitivo impegnativo col mio fidanzato – siamo andati in un posto in cui c’è un buffet faraonico e fanno dei cocktail davvero ‘carichi’ ed io ho preso un Negroni, che è uno dei pochissimi cocktail che mi piacciono ma che non prendo spesso perché i superalcolici rientrano nella mia categoria mentale “calorie inutili” – e dopo cena abbiamo mangiato i tortelli di carnevale con i suoi nonni. Cioè, io ne ho mangiato mezzo, ma si tratta di una palla di pasta fritta ripiena di crema e ricoperta di zucchero, quindi mezzo tortello rappresenta l’equivalente di quel che di solito mangio per cena! Ieri mattina siamo andati al mercato e ho preso le crocchette di patate, che adoro e questa sera mangerò la pizza dopodichè andrò ad una festa di carnevale in una villa/albergo molto graziosa dove sicuramente ci sarà tanto vino (ma spero, almeno, niente cibo).

Però, dicevo, era tutto prestabilito da tempo e quindi sono in pace con me stessa. Un weekend di “trasgressioni” per coccolarmi prima che ricomincino i corsi all’università (anche se le prime settimane sono tutt’altro che stressanti, anzi, io adoro i mesi dei corsi perché incontro i miei amici, pranzo in compagnia e sento di avere un motivo per alzarmi quando suona la sveglia) al quale mi ero preparata con giorni di dieta ferrea e sto comunque bilanciando i pasti ‘ciccioni’ con pasti molto light, per essere in pace con la mia coscienza ed evitare che l’angoscia prenda il sopravvento e mi impedisca di godermi i miei sgarri programmati.
So che è assurdo programmare di mangiare troppo, ma ho sempre avuto questo modus operandi
Programmavo anche le abbuffate: per i tre o quattro giorni precedenti mi tenevo sotto le settecento calorie, intanto studiavo i volantini dei supermercati per vedere cosa ci fosse che m’ispirava, controllavo gli impegni lavorativi dei miei per essere sicura di avere casa libera e tempo a sufficienza per il mio illecito banchetto e il giorno prestabilito mi rimpinzavo di crudo appena tagliato, brie e focacce o taralli. Ogni tanto compravo delle vaschette di gelato oppure mi fermavo al cinese a fare incetta di involtini primavera e spaghetti di soia. Lo psicoterapeuta al quale avevo raccontato questa mia abitudine sosteneva che  programmare una trasgressione sia un controsenso e annulli il potere liberatorio di un gesto di sfogo, però è sempre prevalso il pensiero “se devo rovinarmi, devo farlo bene”: aprire il frigo e mangiare cose di poca soddisfazione mi rendeva più furiosa di andare appositamente al supermercato a comprare le mie cose preferite e ingozzarmene con somma soddisfazione. Mi capita davvero raramente di abbuffarmi così, di punto in bianco, perché spesso la follia del momento è placata dal fatto di non trovare nel frigo o nella dispensa qualcosa per cui “valga davvero la pena” sentirsi in colpa per i giorni successivi.
Comunque per adesso non mi sento in colpa. Anche perché rispetto all’inizio della settimana ho ripreso soltanto mezzo chilo, quindi la situazione è sotto controllo. Inoltre da lunedì pomeriggio riprenderò a mangiare normalmente; lunedì mattina, invece, mi troverò in una delle situazioni che più mi mettono in crisi: rinfresco a buffet. Presentiamo un progetto che porto avanti da due anni con dei compagni dell’università in un liceo della mia città e a seguire assisteremo ad alcuni estratti di un musical tratto da un libro di D’Avenia, e dato che sarà presente lo stesso autore è previsto un ricco rinfresco finale. Rinfresco = sfizioserie di ogni sorta che ti abbindolano con false promesse: “prendine una porzione piccola, tanto per provare…si abbuffano tutti, non fare l’asociale!” e finirò per provare tutto e fare la figura dell’ingorda obesa. Maledetti buffet.

Ad ogni modo, ora non voglio pensarci. La settimana è stata positiva e voglio che si concluda bene, com’è cominciata: lunedì ho fatto l’ecografia alla tiroide e anche se il referto ufficiale non è ancora arrivato la dottoressa mi ha detto che non ci sono noduli, quindi almeno da quel punto di vista la tiroide è salva, anche se non lavora come dovrebbe. Martedì invece sono andata dalla nutrizionista, ha fatto un paio di modifiche al mio regime alimentare e poi mi ha chiesto quanti altri chili vorrei perdere. Lei sostiene che non dovrei perderne più di cinque, ma ha anche detto che se voglio perderne sette o otto me lo concede, purché rimanga in un range di peso adatto a me e non dimagrisca troppo e purché lo faccia gradualmente, continuando a perdere due o tre chili al mese, come nell’ultimo periodo. Dato che ho prenotato la solita fuga al mare di maggio, comunque, ci terrei a pesare meno di sessanta chili quando rimetterò il costume.
Unica nota stonata di questa settimana: la sorpresa fallita all’amica di cui credo di avervi parlato tempo fa, quella che mi ha confessato di aver (avuto) problemi di anoressia ma che si nega al telefono, pacca le serate e da settembre non si fa più vedere all’università. Ho preso coraggio e, dato che abita poco lontano dallo studio della nutrizionista, mi sono presentata a casa sua con una rosa ed un biglietto. In realtà le avevo scritto settimana scorsa per chiederle di pranzare insieme ma ovviamente non avevo ricevuto risposta. Sono rimasta per una mezzoretta fuori da casa sua, invano; alla fine le ho lasciato la rosa e le ho scritto un sms per dirle che ero passata e avevo lasciato una cosa per lei. Nessuna risposta, per ora. E la cosa fastidiosa è che nel frattempo ha pubblicato delle cose su facebook, quindi non è in clausura in un tempio tibetano: semplicemente, a quanto pare, non vuole più avere contatti con noi. Forse dovrei rassegnarmi all’idea che sia una stronza opportunista, ma una parte di me la difende ancora. Voi cosa ne pensate?

Buon sabato sera, belle!

giovedì 12 febbraio 2015

umano, troppo umano - di ossessioni antiche ed eterne



Peso: 64,9 kg

Finiti gli esami mi dedico ad una delle mie attività preferite: riordinare la camera, riorganizzare gli spazi negli armadi e nelle librerie e buttare via un po’ di cose.
Io, poi, sono una maniaca dell’ordine e dell’organizzazione - ho i vestiti nell’armadio disposti in base alle gradazioni cromatiche, i libri sugli scaffali separati per genere e, quando possibile, disposti in ordine cronologico e sono fissata con l’archiviazione, metto tutto in cartellette o scatole e applico un sacco di etichette che descrivono il contenuto.
Sapere che tutto è in ordine mi fa stare bene e buttare via le cose vecchie mi riempie di soddisfazione. Per me, col mio istinto misoneista, è sempre stato abbastanza difficile separarmi dai ricordi, anche dai più sciocchi (c’è stato un periodo in cui conservavo persino gli scontrini di cene o merende, ad esempio!) ma da qualche anno a questa parte ho preso quest’abitudine di buttare tutto; è così che funziona nella vita, del resto: si devono lasciar andare le cose vecchie per fare spazio a quelle nuove. E quando vedo i cassetti vuoti, i ripiani degli scaffali meno sovraccarichi, sto meglio, respiro persino meglio.
Comunque, buttando via vecchie agende ho trovato un paio di diari del liceo sopravvissuti a precedenti riordini e li ho sfogliati, incuriosita e un po’ nostalgica, imbattendomi in questo pensiero, scribacchiato su un foglietto rosa:
Vorrei non aver bisogno di mangiare. Non soltanto non averne voglia o riuscire a gestirla, vorrei proprio non averne bisogno. Non è un bisogno così odioso, così vincolante, così animale? È deprimente essere schiavi del corpo, un ammasso di carne, ossa e viscere schifose, quando si potrebbe obbedire esclusivamente alla mente, così pura e perfetta, libera da ogni prigione mondana. Quando mangio mi sembra che il cibo contamini la purezza dello spirito e lo ancori a terra rendendolo pesante, mentre potrebbe salire così in alto se fosse slegato dai meschini vincoli del corpo.
Rileggendolo ho avuto delle difficoltà a riconoscermi in quelle parole, ma ricordo bene che una delle mie ossessioni ricorrenti era il ribrezzo che provavo per tutto ciò che mi sembrava “troppo umano”. Una delle mie fisse più antiche – che vi confesso essere sopravvissuta fino ad ora – riguarda, ad esempio, il ciclo e gli assorbenti esterni: ho sempre trovato ripugnante l’idea di usarli, mi fa venire la pelle d’oca l’idea di poter vedere il sangue quando vado in bagno o, ancora peggio, l’idea che una cosa intrisa di sangue possa toccarmi. Davvero, ho i brividi mentre lo scrivo e so che è un argomento disgustoso ma volevo sapere se sono l’unica ad avere questa fobia nei confronti degli assorbenti o se c’è qualcun’altra che condivide questa ossessione con me. Tra l’altro ho delle amiche che si stupiscono del fatto che io usi i tampax anche di notte, mentre io mi stupisco del fatto che qualcuno possa non usarli affatto. Lo so che la mia è una posizione estremista e che la mia ossessione è irrazionale (come tutte le ossessioni, del resto) ma vi giuro che pensare al sangue del ciclo mi fa davvero stare male.
Comunque, vi dicevo, all’epoca ero disgustata da tutto ciò che secondo me sviliva lo spirito umano rendendolo servo del corpo. Era una posizione un po’ ascetica e non mangiando mi sentivo vicina a quei monaci buddisti o induisti che praticano la meditazione privandosi del cibo per giorni interi. So che era solo un effetto della malattia ma, paradossalmente, mi sembrava di riuscire a concentrarmi meglio e ad essere più prestante nello studio solo quand’ero digiuna e non avevo il cibo ad appesantire i miei pensieri.
Ora mi rendo conto razionalmente di quanto fosse ridicolo pensare di potermi privare per sempre del cibo, o nutrirmi solo di yogurt e cereali, che mi sembravano gli alimenti più ‘perfetti’ in assoluto, eppure inconsciamente ho ancora degli atteggiamenti di rifiuto verso i piatti troppo pasticciati perché mi sembra si allontanino dal prototipo di cibo perfetto e semplice (non mangio il minestrone o le lasagne, ad esempio) oppure tendo autisticamente a evitare che cibi diversi vengano in contatto l’uno con l’altro, il che si riallaccia anche al discorso sull’ordine con cui ero partita.
Tirando le fila del discorso – ché questo post mi sembra un elenco di fisime folli e vi sarò sembrata pazza – vorrei sapere se anche in voi sia mai stato presente questo germe della “purezza della mente” in opposizione alla sporcizia e bassezza del corpo. So che è un argomento molto intimo, ma se ve la sentite di parlarne mi farebbe piacere approfondire la questione e conoscerci meglio.
Un abbraccio a tutte!

lunedì 9 febbraio 2015

tutto passa per tornare



Peso: 65,5 kg

“Fino a quando sempre le stesse cose? Svegliarsi e andare a dormire, mangiare ed avere fame, aver freddo e soffrire il caldo? Nessuna cosa finisce, ma tutte sono collegate in uno stesso giro: si fuggono e si inseguono. Il giorno è cacciato dalla notte, la notte dal giorno; l’estate ha fine con l’autunno, questo è incalzato dall’inverno, che a sua volta è chiuso dalla primavera: così tutto passa per tornare. Non faccio né vedo mai niente di nuovo. Ad un certo punto, di tutto questo si prova la nausea. Per molti la vita non è una cosa penosa, ma inutile.”
- Seneca

È un periodo un po’ così e nessuno meglio di Seneca sa esprimere a parole il groviglio di sentimenti che provo. Nulla mi rende pienamente felice e al contempo non ho ragioni oggettive per essere triste: me ne sto in un limbo opaco che non riesco neanche a definire - noia, forse.
Settimana scorsa, per qualche giorno, mi sono aggrappata al metodo più facile che conosca per procurarmi gioia, benchè effimera: perdere peso. Ho perso un chilo e otto in tre giorni, poi venerdì ho ripreso trecento grammi senza motivi apparenti e sabato altri trecento e l’euforia se n’è andata, rapida com’era arrivata.
E comunque non mi va di pensare che la mia felicità (o la mia realizzazione, se parlare di felicità è un po’ eccessivo) sia collegata ad un numero, come vi ripeto sempre, ma in questo periodo non trovo altro.
Non so se vi capiti mai di essere schiacciate da questa sensazione opprimente che qualcuno chiamerebbe taedium vitae. Per me è una sensazione di vuoto, tra la gola e lo stomaco, che non riesco a colmare per quanto mi sforzi. O magari non mi sforzo abbastanza: mi sembra di farlo ma finisco per adagiarmi nel male-di-vivere innescando un circolo vizioso di noia-insoddisfazione-autocommiserazione-noia.
E mi dispiace anche annoiare voi, che avete già i vostri problemi, le vostre angosce, il vostro male di vivere, e vi tocca sorbirvi pure le mie paturnie senza capo né coda, come mi dispiace ammorbare il mio fidanzato, il quale tenta in tutti i modi di farmi stare meglio ma gli tocca sempre prendersi il peggio di me.

La cosa che mi conforta (?) è che periodi così, ed anche di gran lunga peggiori, mi sono capitati in passato e ad un certo punto la situazione si è sbloccata, non so neppure come; di punto in bianco sto meglio e per qualche mese, a volte un annetto, sono salva, prima della nuova crisi che di volta in volta assume forme diverse: anoressia, bulimia, ipocondria, manie ossessivo-compulsive, depressione…Da tre anni a questa parte ho adottato questa tecnica: starmene tranquilla ed aspettare che passi, perché alla fine passa sempre tutto. Anche se tutto passa per tornare.