Peso: 64,4 kg
È
il titolo di un film che ho visto al cinema domenica sera (e
dell'omonimo libro dal quale il film è tratto, che però non ho letto),
la cui protagonista femminile è un'ex anoressica che, dopo un matrimonio
e due bambini, non ha risolto i suoi problemi con il cibo né,
tantomeno, altre sue ossessioni (le malattie, la sporcizia e
quant'altro) che finiscono per deteriorare il rapporto col marito e con i
figli.
Prima
di vederlo non sapevo di cosa parlasse; cioè, sapevo che era ambientato
al tavolo di un ristorante dove i due, dopo essersi lasciati,
d'incontrano per decidere come "dividersi" i figli per le vacanze, ma
non sapevo che lei fosse anoressica, se no forse non sarei andata a
vederlo. Sono un po' prevenuta sui film che trattano l'anoressia: di
solito è affrontata con superficialità e pressappochismo e lo trovo
molto fastidioso, invece in questo caso il tema non è né
spettacolarizzato né semplificato, ma è trattato in modo delicato e
sottile, e l'ho apprezzato molto.
Ma
il punto non è la resa cinematografica dell'anoressia, il punto è il
sostrato del titolo e forse chiave di volta dell'intero film: "nessuno
si salva da solo" dice uno sconosciuto che ha visto i due litigare al
ristorante e pensa in questo modo di aiutarli. Nel film, lui non riesce a
salvarla - o meglio, prima sì, poi no, poi forse sì...ma fatto sta che
lei a quarant'anni al ristorante ordina solo un mini-sformato di spinaci
e poi a casa si mangia la pasta fredda avanzata dalla cena dei figli -
eppure il vecchio sconosciuto ammonisce: nessuno si salva da solo.
Voi cosa ne pensate?
Ricordo
che l'analista che aveva organizzato la terapia di gruppo di cui vi ho
parlato qualche volta diceva sempre che bisogna risolvere i problemi con
se stessi prima di cominciare una relazione, che, per dirla in parole
povere, chi non ama se stesso non può amare un'altra persona.
Io,
invece, non la penso così. Forse la mia è un'opinione "di parte" perché
se dovessi dare ragione all'analista in questione dovrei accettare la
condanna ad una vita di miseria e solitudine, ma mi sembra una presa di
posizione troppo rigida ed estremista, che non accetta sfumature e non
valuta altre "angolazioni" del problema.
Io
non penso che non si possa amare con sincerità un'altra persona pur
odiando se stessi. Non vedo correlazione tra le due cose, sinceramente.
Credo,
anzi, che si possa provare un amore colmo di riconoscenza e in parte di
meraviglia per chi scorge in noi qualcosa di bello, quando noi non
vediamo altro che schifo.
Io,
per esempio, mi considero una persona egoista e cattiva, subdola e
meschina, arrivista e bugiarda, ma il mio fidanzato non vede quello che
vedo io, vede una persona generosa e disponibile, spesso troppo
disfattista e pessimista, ma non cattiva. E io cerco costantemente di
smussare i miei aspetti più negativi per adeguarmi il più possibile
all'immagine che lui ha di me, perché sento di poter essere migliore, di
doverglielo in cambio di tutto l'amore che mi ha dato e mi dà. Ed è
vero che il rischio è di aggrapparsi ad un'altra persona per non
sprofondare nella propria sofferenza, ma non è questo il senso
dell'amore, e non solo per chi ha un disturbo mentale o alimentare?
Cercare il sostegno di qualcuno per non affrontare da soli le brutture
del mondo? "Appoggiati a me, che se ci dovesse andar male, cadremo
insieme e insieme sapremo cadere" canta Ligabue, ed io sono d'accordo.
Credo
nel potere salvifico dell'amore, e non parlo solo dell'amore romantico
di un partner, ma dell'affetto di un amico di cui ci fidiamo, dell'amore
sconfinato di una madre o di un padre. Credo che ognuno di noi meriti
di avere qualcuno che si preoccupa per lui e che vede oltre i suoi
difetti, per quanti e quanto grandi siano. Se siamo abbandonati alla
solitudine, al solipsismo senza vie di fuga di un'anima malata, a che
pro guarire? Nessuno si salva da solo e nessuno si salva per sè,
aggiungerei: chi si odia non guarisce per se stesso. O almeno, io,
sopraffatta dall'odio per il mio corpo e per la mia mente troppo debole,
non avrei mai voluto salvarmi. Ho desiderato di morire, e rendermi
conto di non essere sola, accorgermi della sofferenza che avrei arrecato
a chi mi amava se mi fossi lasciata morire, mi ha salvata.
È vero che è
solo un palliativo, è vero che per salvarsi davvero bisogna fare quel
passo in più e capire che lo facciamo per noi stesse, ma è altrettanto
vero che a volte abbiamo bisogno di qualcuno che afferri la mano che
tendiamo, che ci aiuti a risalire la china, che ci faccia capire che la
nostra salvezza non è vana, che non passerà inosservata come inosservata
ci era sembrata che fosse la nostra sofferenza.
E
voi cosa ne pensate? L'amore vi ha salvate o avete pensato di non
meritarlo? Siete d'accordo sul fatto che "nessuno si salva da solo"?