Ieri sera sono uscita con un
amico e ho disatteso la promessa fatta a
me stessa di non cenare ordinando qualcosa di troppo calorico nel locale in cui
eravamo andati per bere (e solo bere) qualcosa. Sono andata in bagno e per
qualche istante ho pensato di infilarmi due dita in gola ed eliminare il senso
di colpa, ma poi sono stata troppo forte o troppo debole per farlo. Mi sono
rialzata e nel farlo ho avuto un flash della mia prima volta con il vomito
autoindotto, il giorno in cui tutto cominciò.
Era l’ottobre del 2008 ed io
ero ad una festa, in bagno mi ero attardata a guardarmi allo specchio, venivo
da anni di disturbo d’ansia generalizzato e attacchi di panico e guardarmi allo
specchio era sempre stato per me motivo di sollievo durante gli episodi più
gravi di depersonalizzazione, mi aiutava a capire che ero ancora io, nonostante
mi sentissi esterna al mio corpo. Quella sera, tuttavia, lo specchio non fu
affatto rassicurante e mi restituì il riflesso di qualcuna che non ero io, non
potevo essere io: una ragazza cicciona e sgraziata che s’era scioccamente
infilata in un tubino nero che sottolineava tutti i suoi chili di troppo e il
taglio di capelli – appena fatto e col quale mi ero tanto pavoneggiata perché
mi sentivo grande e vamp – enfatizzava un volto paffuto, con un accenno di
doppiomento. Nello specchio c’era una specie di bambola di porcellana gonfiata
con un compressore.
Fu in quel momento che decisi
di dimagrire e, per suggellare la mia decisione con un gesto eclatante, mi
cacciai due dita in gola e vomitai tre volte, per essere sicura di aver buttato
fuori dal mio corpo tutta la mia cena. Ebbe inizio una fase di bulimia che durò
per un paio di mesi; era il mio graduale allontanamento dal cibo: avevo sempre
adorato mangiare, il cibo era stato per me un alleato fedele in tanti momenti
difficili, non potevo semplicemente dirgli addio da un giorno all’altro, così
mangiavo in maniera più o meno normale e poi scappavo in bagno a vomitare.
Poco dopo Natale, ad ogni
modo, decisi che vomitare dopo aver mangiato non mi bastava più: dovevo
smettere di mangiare, e fui categorica. Smisi di fare colazione – tanto la
facevo al bar della scuola, non avrei destato alcun sospetto nei miei genitori
che non avrebbero mai saputo che i due euro che mi davano per caffè e brioche
finivano dritti nel fondo vestiti taglia 38 – e a pranzo mangiavo barrette
ipocaloriche o due quadratini di cioccolata. A cena, se non trovavo una scusa
per saltarla, mangiavo mezza piadina, una fetta di tacchino scondito, verdure
alla piastra e cose così. Non mangiavo mai più di 500kcal al giorno, e
funzionava incredibilmente bene. Il mio corpo, abituato a ricevere un apporto
calorico superiore al necessario, di punto in bianco si trovava a dover fare i
conti con la denutrizione: persi più di trenta kg in poco più di sei mesi. A
maggio 2009 arrivai a toccare i 43 kg, da 74 che ero.
Naturalmente stavo malissimo:
non dormivo quasi più perché avevo troppa fame per addormentarmi e perdevo i
capelli a ciocche, tanto che impiegavo quasi mezz’ora ogni mattina per sistemarmeli
in modo che non si vedesse che stavo diventando calva, mi facevano male i
muscoli e le ossa e quasi ogni giorno avevo cali di pressione e svenimenti,
vedevo sempre delle macchie nere ai bordi del mio campo visivo.
Avevo deciso di dimagrire per
diventare bella e invece ero diventata un mostro: occhiaie scure, volto scavato
e ossa sporgenti non passavano inosservati e presto i “come sei dimagrita!”
diventarono “sei uno scheletro, dovresti mangiare qualcosa”. In quel periodo,
comunque, non m’importava di essere brutta. Mi piaceva quando i miei genitori,
mia zia, i miei amici o persino i professori mi dicevano che stavo diventando troppo magra. Per me non esisteva un “troppo
magra” ma solo un “troppo grassa”. Sentivo le ossa logorarmi la pelle del bacino
eppure allo specchio continuavo a vedermi enorme e mi nascondevo sotto vestiti
sempre più larghi e deformi. Avevo raggiunto il mio sogno di comprare vestiti
taglia 38 ma li compravo comunque più grandi per nascondere i rotoli di ciccia
che vedevo solo io.
Ad essere sincera, non so
esattamente come ne sia uscita senza finire in qualche clinica. In parte mi ha
salvata una folle paura degli ospedali – una notte fui convinta di essere
vicina alla morte: avevo attacchi di panico in continuazione da più di quattro
ore e gli arti superiori, per una questione di ossigenazione che non mi è
ancora del tutto chiara, erano paralizzati. – e l’amicizia con una ragazza,
anoressica dall’età di quattordici anni, che per tutti i primi tre anni del
liceo aveva fatto avanti e indietro dalle cliniche, arrivando a sfiorare i
ventotto kg. Poi contribuirono anche cose ben più frivole – la paura di perdere
tutti i capelli, dover rinunciare ad andare in discoteca perché non avevo le
forze per ballare, non accettare più gli inviti alle feste per paura che ci
fosse del cibo: perché ero dimagrita se nessuno poteva vedere quant’ero magra?
Così in vacanza con le mie
amiche ricominciai a mangiare senza contare scrupolosamente le calorie e a
settembre pesavo 49 kg, il peso che allora – e anche adesso, a dire il vero –
consideravo perfetto.
Scusate per il post
lunghissimo e forse troppo noioso, ma penso sia un’occasione per conoscerci meglio,
scoprire come tutto è iniziato. Perciò, se vi fa piacere, naturalmente, sarei
curiosa di sapere com’è cominciata per voi. Un bacio grosso!