sabato 28 novembre 2015

fare per gli altri ciò che nessuno farebbe per noi

Scusate se sono un po' assente dai vostri blog, se non ho ancora risposto ai vostri commenti e se sono così incostante, ma è stata un'altra settimana densa, cominciata con una telefonata che mi riscuote dal sonno per invitarmi a presentarmi a scuola "il prima possibile" perché il mio contratto è stato prolungato fino al 5 dicembre e conclusasi con il ritorno di un'amica storica, quelle che anche se vedi di rado ti fa sempre piacere sentire ogni tanto, dopo un anno in Australia. In mezzo, un gesto eroico o folle, a seconda di come lo vogliate vedere: mi sono licenziata per essere presente alla laurea del mio migliore amico.
Qualche necessario chiarimento: il mio contratto non aveva possibilità di essere ulteriormente rinnovato perché dal primo dicembre nelle scuole pubbliche saranno in servizio gli ultimi immessi in ruolo, assunti senza che ci fosse una cattedra per loro ma come "tappabuchi", cioè con l'obbligo di starsene in sala insegnanti ad aspettare una supplenza oraria, una sostituzione di un paio di giorni o un ragazzino che ha bisogno del sostegno. Una situazione paradossale per cui una collega di trentanove anni che da precaria insegna inglese ora si ritrova a fare la riserva, benché di ruolo. Fatto sta che questi neo-assunti hanno (giustamente) la precedenza su di me, quindi ammesso che la prof che sostituisco decida di prolungare la sua malattia, io dovrei comunque lasciare spazio a chi ha più titoli di me, perciò nella più rosea delle ipotesi avrei potuto al massimo lavorare fino alla fine della prossima settimana. 
Punto secondo: i supplenti a tempo determinato non hanno diritto a nulla, neppure alla malattia. Il che significa che se ti ammali e devo necessariamente stare a casa il tuo contratto viene automaticamente estinto e può, tutt'al più, essere rinnovato a partire dal giorno in cui ritorni in servizio, perciò ferie non pagate e con la possibilità di essere licenziati perché si ha avuto l'ardire di prendersi un'influenza. 
Punto terzo: il 4 dicembre parto per un viaggio con il mio fidanzato, S. e il suo fidanzato, è il regalo che i fidanzati hanno fatto a me e alla mia amica per la laurea. Stiamo via per il ponte, nella città che più amo al mondo, ed abbiamo già prenotato un sacco di cose bellissime. Rinunciarvi sarebbe impensabile, e partire il 5 costa come il mio stipendio settimanale. Quindi avrei comunque dovuto licenziarmi il 4, e questo era già deciso.
Comunque, sono andata nell'ufficio della preside e le ho detto che avevo un impegno universitario fissato da mesi, una cosa importante per la mia carriera, e che avevo bisogno di almeno due ore di permesso, se non di tutta la giornata, ma lei è stata irremovibile, così le ho proposto di chiudere il contratto per, eventualmente, riaprirlo se non avessero trovato nessuno per sostituire una sostituta, ma il sostituto è stato trovato, dato che il giorno successivo una delle mie studentesse mi ha scritto un messaggio privato su Facebook chiedendomi di ritornare immediatamente, che in classe c'era una nuova supplente ma loro volevano me. 
Vi dirò che la mobilitazione degli studenti mi ha commossa: i ragazzi di quarta in consiglio di classe hanno detto che mi rivolevano, quelle di seconda hanno chiesto ai loro genitori di mandare una lettera al provveditorato per chiedere di avermi con loro per tutto l'anno e io mi sono sentita molto in colpa per averli abbandonati così, ma se fossi mancata alla laurea del mio migliore amico non me lo sarei mai perdonata.
Io sono quel tipo di persona. Quella che se S. chiama perché è stata lasciata dal suo fidanzato molla tutto e la raggiunge nel cuore della notte, quella che passa pomeriggi in biblioteca a studiare per un esame che non deve dare, solo per fare compagnia ad I., quella che si fa la notte in bianco per correggere la tesi di M. il giorno prima della consegna, quella che se un'amica chiama da Londra per dire che è in crisi nera dopo qualche ora è già in aeroporto, con due cambi, il cofanetto di Sex and The City e trecento grammi di gorgonzola. 
Se state pensando che sia pazza, probabilmente avete ragione. So che sbaglio, ma è una malattia atavica ed incurabile. Vi basti sapere che ho trascorso buona parte della mia festa dei diciotto anni a reggere la fronte alla mia amica M. che stava vomitando l'anima perché aveva avuto la bella idea di bere come un camionista bulgaro dopo aver preso l'antibiotico.
Io sono così. Sono sempre stata così, nonostante una lunga sfilza di delusioni abbia tentato di insegnarmi ad essere egoista. Sono sempre l'amica su cui si può sempre contare, sebbene tante volte mi sia ritrovata sola quando ero io ad aver bisogno di qualcuno.
E allora, direte voi, perché insisto? Perché continuo a dare tutta me stessa, se non ricevo mai in cambio nulla? Un po' perché è insito nella mia natura, come quella volta che L. stava per essere investita dal tram e il mio primo istinto, anziché gridare o trascinarla sul marciapiede, è stato di pararmi di fronte a lei. Un po' perché ogni volta mi dico che non può andare sempre male, che prima o poi incontrerò qualcuno che meriti questi gesti estremi perché farebbe altrettanto per me.
Ecco, I. è una di queste persone. Non è che lo pensi di tutti i miei amici più cari, se non sono diventata egoista almeno sono riuscita a diventare un po' più selettiva, e su alcuni di loro, per quanto possano volermi bene, non scommetterei neppure pochi euro. Ma con I. è diverso. I. è una di quelle persone con cui non ci sono filtri, né pudori. Non ho vergogna a farmi vedere struccata o in lacrime, a confessare le mie debolezze e le mie angosce, molto di più di quanto riesca a fare con L., che pure conosco da una vita e per me è una sorella (credo più che altro per una questione di diversità di caratteri, lei è una persona molto introversa e fredda e credo la imbarazzerei dicendole quanto bene le voglio) o con S., che è una delle persone più simili a me che conosca. E, sopratutto, I. ha la mia stessa propensione a fare di tutto per rendere felici le persone che ama, a costo di starci male lui.
Una delle nostre sere di profonde riflessioni e discorsi sull'amore e sul futuro abbiamo toccato anche questo argomento: il nostro problema, ci siamo detti, è che ci convinciamo che gli altri farebbero per noi quello che noi siamo disposti a fare per loro, ma nella maggior parte dei casi non è così, e noi ne soffriamo. Noi eroi romantici pronti a morire per le persone che amiamo e i nostri fidanzati persone splendide, che ci amano oltremisura, ma inguaribili egocentrici, che per inseguire i loro obiettivi non esitano a fare delle scelte egoiste, come il mio che accetta un lavoro che non gli permette di vederci tutti i giorni al posto di un altro a 900m da casa mia, come il suo che rimanda un viaggio insieme per seguire la sua relatrice a
Parigi.
Sono per altro piuttosto convinta che questo mio "difetto", di voler compiacere gli altri a tutti i costi, di volerli colmare di affetto al prezzo di svuotare me stessa, sia stato uno degli ingredienti della malattia. Nel periodo dell'anoressia speravo ogni giorno che le mie amiche venissero a trovarmi a casa, che cambiassero i loro piani del sabato sera per stare sedute sul letto con me, che mi tenessero la mano mentre provavo ad addormentarmi, come avevo fatto io tante volte con M., quando lei era malata. Ma loro non venivano mai, ed io annegavo nella mia solitudine. Non che se ne fregassero di me, mi scrivevano e chiamavano sempre, cercavano di spronarmi ad uscire, ma non arrivavano a fare per me quello che io avrei fatto per loro. Loro non sarebbero venute a Villa Margherita, sapendo di non poter entrare, solo per potermi scrivere "guarda che sono qui, sono vicino a te", come avevo fatto con M., lo sapevo benissimo, eppure non riuscivo a smettere di comportarmi nell'unico modo che conoscevo: dando tutta me stessa, in tutto, sempre.
L'anoressia era un modo per chiedere le attenzioni che io continuavo a dare agli altri, ma non ha funzionato. Ero arrivata a pensare di dover morire perché gli altri si accorgessero di me, e di quanto io avessi bisogno del loro amore, ma alla fine ho scelto di vivere e di uscirne. Sola, così come ci ero entrata.
Oggi è diverso, non sento più quel freddo dentro, quell'ansia dell'abbandono, la paura di non essere amata. Oggi so che se stessi di nuovo male come sette anni fa non mi mancherebbe il sostegno degli amici, eppure non ho ancora imparato a dosare l'affetto e a limitare lo spirito di sacrificio e ancora rimango la vittima perfetta per le delusioni.
Però oggi non ho rimpianti. Fare il viaggio con I., abbracciarlo prima della discussione e dopo, sapere di esserci stata mi fa sentire a posto con la mia coscienza. Forse tra vent'anni penserò che sono stata una cretina, forse invece sarò orgogliosa di quello che ho fatto, ma comunque non avrei potuto agire diversamente, è più forte di me.
E voi, qual è la più grande follia che abbiate fatto per un amico o per amore?

13 commenti:


  1. Sei un gran bella persona, sono certa che tra vent'anni sarei orgogliosa di queste tue scelte.
    Io non ho questo spirito di sacrificio come il tuo, sono sempre stata concentrata troppo su me stessa e sui problemi familiari, ciò mi ha fatto perdere i contatti con il mondo esterno e dato tanta sfiducia nell'amicizia e nell'amore.
    Prima consideravo l'amicizia qualcosa di essenziale, ricercavo l'amore di un ragazzo costantemente...
    Ricordo di essere partita, all'età di appena di diciotto anni per rivedere un ragazzo distante 350 km da casa mia...
    Ricordo anche di non essere andata al concerto del mio artista preferito (con tanto di biglietto pagato) per fare compagnia alla mia amica triste, dopo la morte di sua nonna.

    Poi le delusioni mi hanno portato a non sperarci più, ad evitare di buttarmi in altre relazioni e di conseguenza a non essere più disposta a fare gesti folli... per nessuno.
    So' bene di essere una persona povera, perchè vivere una vita senza veri rapporti affettivi significa condannarsi alla solitudine, all'insoddisfazione, all'apatia, alla tristezza.
    Eppure è più forte di me.

    Ps. Vado un po' fuori dal tema principale del blog, ma tanto per parlare di un'ennesima delusione a livello di amicizie ti dico che a Villa Margherita ha cominciato a lavorare (in qualità di tirocinio universitario) una mia amica. Proprio nel periodo più elevato della mia malattia.
    Io non ero lì, ma in Toscana...
    Eppure nonostante il suo stare accanto a persone "come me", con disturbi simili, a studiare patologie di quel genere, lei non è riuscita ad essere presente, nè concretamente nè attraverso sms, telefono, internet, un'unica visita di sfuggita.
    Pensavo che lei potesse maggiormente comprendere de invece è stata come tutti gli altri.

    Un abbraccio, divertiti! :)


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    1. Non credo che tu sia una persona povera, credo solo che su di te le delusioni abbiano avuto un effetto diverso e certamente più comprensibile. Io certe volte mi impunto, vorrei essere più egoista, ma alla fine sono sempre io la prima a cercare un'amica che non sento da tempo, a chiedere scusa anche quando so che non è stata (solo) colpa mia per non rovinare un rapporto, a fare il primo passo. Le delusioni non mi hanno indurita, non mi hanno insegnato nulla, ripeto gli stessi errori e di conseguenza rivivo le stesse delusioni.
      Dovremmo trovare un equilibrio anche in questo, come nel cibo e nel rapporto col nostro corpo. Una sana via di mezzo tra il troppo affetto e l'isolamento, un'utopia anche questa, temo.
      Un abbraccio!

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  2. Mi rivedo perfettamente nella descrizione che hai fatto... Purtroppo o per fortuna anch'io sono proprio quel tipo di persona, non so perché é più forte di me anche con chi non se lo merita affatto, spesso mi arrabbio per questo ma prima che mi amalassi era ancora peggio; facevo follie per tutti non solo per gli amici, anche per quelli a cui non importava assolutamente nulla di me e che anzi mi sfruttavano nel vero senso della parola, e sono fermamente convinta che tutto ciò abbia influenzato fortemente la malattia. Credevo che se avessero visto che stavo male mi avrebbero lasciata in pace.
    Se ci penso bene era anche un tentativo di ricevere indietro un po' di quell'amore che io davo agli altri, ma ovviamente ciò non é successo e questo mi ha portata sempre più giù, facendomi sentire non abbastanza malata.
    Mi rivedo in tutto... Non saprei dirti un caso in particolare, ma ho sempre fatto di tutto, studiare a casa di persone che mi sfruttavano per lo studio e basta, passando ore ed ore quando a me sarebbe bastata mezz'ora per studiare tutto, oppure dare appunti e quaderni privandomene con il rischio che non mi fossero dati indietro in tempo, potrei farti altri mille esempi...
    Dire di no non é il mio forte.
    Sono contentissima per il viaggio, te lo meriti da morire... E penso che il tuo gesto sia stupendo e che non te ne pentirai, sopratutto perché lo fai per una persona come I. che avrebbe fatto la stessa cosa per te.
    Per la scuola poi é stato davvero bellissimo leggere di quanto ti volessero con loro i tuoi studenti... Penso che sopratutto magari per la vicinanza di età ci si trovi meglio!
    Ma penso che tu abbia fatto bene e non potevi fare altrimenti, in fondo hai ancora tante possibilità di fronte a te!
    Un abbraccio forte forte...

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    1. Anche io credo che la malattia sia stata un tentativo estremo di ricevere una parte dell'affetto e delle attenzioni che avevo dato agli altri. Era un modo per gridare a tutti "guardatemi! Ci sono anche io che sto male! Non sono solo la spalla su cui piangere, ho bisogno anche io del vostro aiuto!" ma di fatto non ha funzionato. Non che la gente se ne fregasse di me, ma ho l'impressione che nessuno abbia mai fatto ciò che avrei fatto io, se la situazione fosse stata invertita. Però l'esperienza non mi ha insegnato molto, continuo a fare gli stessi sbagli e a rimanere bruciata dalle stesse delusioni.
      Un abbraccio!

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  3. Ho un carissimo amico molto simile a te, capace di chiedermi se deve prendere il primo treno (abitiamo molto lontani) ogni volta che mi capita qualcosa di brutto, o capace di farsi notti in bianco aspettandomi su Skype, se ci eravamo dati appuntamento. L'ho spesso rimproverato per il suo eccessivo zelo, non perché mi lasci indifferente, ma perché vorrei che pensasse più a se stesso. Non deve farei salti mortali per me e per nessun altro, appunto perché a forza di dare così tanto si rimane sempre con l'amaro in bocca... Non lo so, sarà che penso che non siano necessari gesti eccessivi per dimostrare l'affetto. Insomma, io di pazzie non me ho fatte :) a volte ho dato più di quello che ricevevo e a volte ho ricevuto più di quello che davo. Per quel che mi riguarda, trovo giusto così, ma rispetto e stimo la tua scelta coraggiosa! Un abbraccio.

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    1. Hai ragione, la tua è una posizione perfettamente equilibrata, ma a questi gesti estremi vengono spontanei, al contrario magari di parole affettuose, che sono molto restia a dire, perché mi sembra sempre che suonino eccessivamente false, e quindi le riservo alle grandi occasioni, ma non sono mai stata una di quelle che riempie il fidanzato di "ti amo" e gli amici di "ti voglio bene" a ogni piè sospinto. Però follie, quelle a iosa. E senza considerarle tali, è questo il bello! È che a me sembra perfettamente normale prendere il primo treno e raggiungere un'amica in difficoltà, sennò che amica sono? Ed è solo quando gli altri non fanno altrettanto per me che mi rendo conto che forse tanto normale non è! ;)
      Un bacio!

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  4. Che bello!! Non é un difetto! Anzi.. E poi come te preferisco far del bene e poi prenderlo nel c che non farlo, mi sentirei male a sapere che non ho fatto il mio meglio, se poi gli altri non apprezzano é un problema loro e sono loro a rimetterci ;)
    Xo io sono un po' introversa, infatti la mia migliore amica con cui mi sento tutti i giorni e ci vediamo almeno due volte a settimana da dieci anni facendo i salti mortali xke siamo impegnate, non ci siamo mai dette ti voglio bene o altro, preferiamo i fatti, l'esserci, l'aiutare senza che l'altra l'abbia ancora chiesto un aiuto che sia economico o emotivo!

    X la tua carriera non mi dilungo e non dirò niente, alla fine tu sai cosa é meglio x te, l'importante é che tu sia felice delle tue scelte, il resto non conta!! XD. (xo un po' di orgoglio l'avrai avuto a vedere l'affetto degli alunni eh?!)

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    1. Neanche io sono una spantegatrice di emozioni. Ho un'amica che mi scrive in continuazione "tesoro",
      "Ti voglio bene", "sei speciale", e poi magari se ci mettiamo d'accordo per vederci non si fa problemi a darmi buca all'ultimo. Io non sono così, preferisco limitare queste esternazioni (di solito approfitto delle grandi occasioni e dei biglietti di Natale per dire cose che non dico mai!) e dimostrare il mio affetto con la mia presenza e i miei gesti. Anche estremi! :)
      Comunque l'affetto degli alunni mi ha sorpresa e mi ha commossa, ma non convinta che questa sia la mia strada!
      Baci!

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  5. Penso tu sia invidiabile, Euridice. Ed estremamente romantica (nel senso ideale e non sentimentale del termine), la qual cosa è ai miei occhi un pregio immenso.
    Qualcuno come te che non annulla sé stessa, ma sa rinunciare ad alcune cose per stare accanto a chi si ama è un qualcuno di prezioso, di raro in un'epoca di sfrenato egoismo.
    Purtroppo, proprio per questo, sei facile vittima di delusioni atroci e scottanti e anche se ti riprometti di non cascarci più non riesci a tenerti fede.
    Ti somiglio anche in questo, e non ti so dunque portare UN esempio che possa essere il sunto di tutte le volte in cui ho anteposto qualcuno a me stessa o alle mie cose.
    Succede sempre, anche nelle piccolezze.
    Stasera sono molto sull'onda del tuo post, con i miei pensieri.
    I tuoi allievi, i tuoi amici, il tuo moroso sono fortunati ad avere accanto qualcuno come te.
    Diglielo da parte nostra ^_^
    Scherzi a parte, hai degli alunni dolcissimi.
    Bacio.

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    1. Credo proprio che "romantica" sia la definizione giusta. Un po' Leopardi, un po' Jacopo Ortis, un po' eroina della Austen, quando sfocio nella smielataggine.
      Grazie per le belle parole, sono contenta di non essere l'unica a comportarsi così e mi rincuora sapere che per qualcuno è addirittura un pregio, dato che il più delle volte vengo rimproverata per quest'aspetto del mio carattere. Il danno e la beffa! Fai di tutto per qualcuno e non solo rimani delusa, ti tocca pure sopportare i rimproveri di quelli che ti dicono "ecco, così impari a pensare di più a te stessa".
      Un abbraccio!

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  6. Io sono esattamente come te, e sono sicura come dici, che sia parte della malattia. Solo che più che sentirmi una cretina, mi sento sempre in colpa perché ho comunque la certezza di non aver fatto abbastanza, mai.
    Una volta mi sono fatta bocciare ad un esame, o meglio non l'ho proprio sostenuto (e quindi non l'ho passato, perché era lo scritto finale) per telefonare alla mia migliore amica che mi aveva inviato una mail delirante in cui diceva di sentirmi distante, in cui mi accusava di essere cambiata e altre cose. Io non le reputavo vere, ci avrei comunque potuto parlare dopo e chiarirle come la pensavo, ascoltarla, discuterci e fare pace: invece non ho potuto aspettare un attimo, ho stampato la mail sono andata in una cabina e l'ho chiamata in lacrime. Adesso non so se lo rifarei, lei è ancora la mia migliore amica, ma poi mi sono resa conto con il passare degli anni che le persone hanno una sensibilità diversa, che quello che a me sembra una montagna, per altri è un sassolino. Che quello che a me sembra un problemino da niente, per altri è una tragedia ... Ma nonostante questa maggiore consapevolezza, mi sento ancora in colpa per tutto. Sento sempre di non essere abbastanza vicina agli altri.
    Tu sei una persona fantastica, credimi hai una forza incredibile: non te ne rendi conto, ma a volte fai delle riflessioni di una grande maturità e fermezza. Diventerai una donna ancora più meravigliosa. Baci!

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    1. Il senso di colpa è sicuramente uno degli elementi fondanti della malattia. Quella sensazione subdola che ti si infila nella testa e ti martella: avresti potuto fare di più. Avresti potuto fare meglio. Avresti potuto farlo prima. E così via. Siamo così brave ad automortificarci, a sminuire sempre quello che facciamo, ad essere ipercritiche con noi stesse e accomodanti con gli altri. Forse dovremmo cominciare a pretendere dagli altri quello che pretendiamo da noi stesse, e allora riusciremmo a riconquistare un po' di equilibrio e forse un po' di serenità, ma sospetto sia troppo tardi per ricalibrarci!
      Un abbraccio, e grazie delle bellissime parole!

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  7. a 24 anni ero innamorata di una ragazza bellissima e folle. e dopo una serata bellissima e folle, il giorno dopo presi il treno per raggiungere i miei al mare. solo che ero nervoso, continuavo a fumare, e nello scompartimento c'era una tipa che avrà avuto 30 anni..... solo io e lei. allora le dico "senti ti dispiacerebbe parlare con me? di qualunque cosa, della fame nel mondo, di politica, di amore, perché non posso permettermi di stare senza fare nulla....". e lei mi dice "ma perché vuoi parlare ?". "perché sto soffrendo per amore....".

    parlammo per un'ora di seguito

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