mercoledì 29 aprile 2015

le malattie invisibili

Peso: 63,3 kg.

Ieri è stata una giornata densa ed emotivamente impegnativa. 
Al mattino si è laureato il fidanzato del mio migliore amico, e ci sono stati momenti piuttosto pesanti perché i genitori di entrambi non sanno della loro relazione e quindi ho dovuto sostenere il mio amico in alcuni minuti di scoramento dovuti al fatto di dover fingere di essere uno qualsiasi degli amici e non potersi comportarsi come avrebbe fatto una coppia "normale".
Abbiamo parlato tanto, ritornando a casa, della bellezza di sentirsi "normali" e dell'angoscia dei sensi di colpa, della clandestinità, delle bugie. La conversazione mi ha messo in crisi: capivo perfettamente l'anelito alla normalità, anche se per me quella normalità è su un altro piano - non la possibilità di vivere una normale vita di coppia, ma quella di avere una normale relazione col cibo e col mio corpo - e capivo ancor meglio la rabbia per il fatto di essersi imprigionati da soli in questa condizione - se loro due avessero avuto il coraggio di confessare, ad esempio, non avrebbero dovuto nascondersi, avrebbero potuto tenersi la mano prima della discussione, salutarsi con un bacio dopo, farsi una foto abbracciati, orgogliosi e felici - e nel contempo mi sentivo in colpa. In colpa perché la mia sofferenza mi sembra indegna di tutta l'attenzione che le do, perché io piango per una cena fuori, mentre lui piange perché teme di deludere i suoi genitori dicendo loro che non avranno dei nipotini e razionalmente dovrei riconoscere che il suo dolore merita di più del mio.
So che è ridicolo stilare una gerarchia del dolore, che solo chi lo vive in prima persona può coglierne la reale entità, eppure io mi sento in colpa. Mi sento in colpa perché a volte mi sento soffocare e vorrei gridare, ma non posso, perché sento di non avere il diritto di lamentarmi. Non mi manca nulla, perché dovrei stare male? Eppure sto male e alla sofferenza si aggiunge il senso di colpa.
Mi sento in colpa perché qualche giorno fa ho letto su Facebook la lettera di una trentenne morta di cancro al seno che voleva essere un inno alla vita, un monito a ridimensionare i propri problemi e gioire delle piccole cose quotidiane, che assumono tutto un altro senso quando una malattia così ti obbliga a ricalibrare le tue priorità. E allora penso che se mi dicessero che mi resta un anno di vita, forse sarei in grado di godere di ogni cosa bella che mi capita e quelle brutte prenderebbero un'altra luce, ma non riesco ad applicare questa legge del carpe diem, ne soffro, e mi sento in colpa.
Le malattie invisibili. Così le chiamava il mio prima analista, che sosteneva che il mio accanimento sul corpo, l'essermi ridotta ad uno scheletro, fosse un inconscio tentativo di rendere tangibile la mia malattia invisibile, come se servisse a darle concretezza e dignità. Nessuno, diceva lui, direbbe ad un malato di cancro che la sua malattia non è abbastanza grave per soffrirne, mentre è facile sottovalutare la depressione, dire ad una persona depressa che non ha abbastanza motivi per esserlo, generando un circolo vizioso di colpa e dolore, di dolore perché ci si sente in colpa, di senso di colpa perché si prova ancora più dolore.
È un male senza nome quello che mi - ci - divora. Non lo possiamo vedere, non lascia segni evidenti sulla pelle, eppure non possiamo dire di stare bene, anche se apparentemente, ad un'occhiata superficiale, stiamo davvero bene.
Negli anni ho incontrato tante persone che soffrivano di depressione. Le ho viste distruggersi con le proprie mani, ergersi attorno un muro di dolore dal quale non riuscivano ad emergere, benché tecnicamente non ci fosse nulla ad impedire loro di stare bene. Nessuna malattia, nessuna delusione d'amore, nessun lutto da gestire. Eppure soffrivano, e il loro dolore mi è sembrato così vero e profondo da farmi sospettare persino che una malattia "invisibile" sia peggiore, più subdola e crudele, di una malattia grave ma alla quale tutti possono dare un nome e riconoscere dignità, per la quale riesci a sfogarti con gli altri, per la quale puoi trovare sostegno e comprensione.
Eppure, se riesco a "perdonare" gli altri, riconoscendo loro il diritto di soffrire, non riesco a concederlo a me stessa. Mi guardo intorno, ho dei genitori che mi vogliono bene e mi sostengono nelle mie scelte, ho un fidanzato che mi ama anche quando non mi capisce, pochi amici preziosi sui quali so di poter contare sempre è un gruppo più allargato di persone con le quali sto bene e che mi fanno sentire bene, un lavoro che mi permette di togliermi più sfizi del necessario e di viaggiare, una carriera universitaria quasi al termine che mi ha regalato tante soddisfazioni, eppure non sono felice. 
L'angoscia mi coglie senza motivo, non riesco a pensare al futuro perché sul futuro si allungano le ombre del passato e intanto il presente perde consistenza, mi sfugge mentre cerco di trattenerlo. Aspetto qualcosa, ma non so neppure io cosa sia. A volte penso che sia tornare a pesare meno di sessanta chili, a volte penso che quello sia soltanto un pallido tentativo di oggettivare quest'attesa senza senso. Forse aspetto solo di svegliarmi una mattina e non dovermi più confrontare con questi pensieri, sentirmi leggera non sulla bilancia, ma sul cuore.
Vi abbraccio forte e confido nel potere terapeutico del sole, che illumini un po' i miei cupi pensieri!

domenica 26 aprile 2015

il tempo delle diete



Peso: 63,3 kg



Oggi il mio fidanzato mi ha detto che una sua amica, storicamente un po' in carne ma a dieta da febbraio, ha perso dodici chili. Me l'ha detto mentre facevo le mie consuete addominali del mattino, e mi ha fatto vedere una foto che lei ha pubblicato su Facebook qualche giorno fa - a figura intera, con gonna e calze scure, palesemente pensata per farsi dire "wow, come sei dimagrita" - a mo' di prova.

Ho chiesto come avesse fatto a perdere tutti quei chili in appena due mesi, quando io ho sfiorato i -12 solo dopo nove mesi, e lui ha detto che ha eliminato i dolci e va a correre tre volte alla settimana. Mi è quasi caduto il pesetto sul piede per lo sgomento: niente dolci e mezz'ora di corsa tre volte alla settimana per due mesi le hanno fruttato lo stesso risultato per il quale io sto sotto le 1200kcal ogni giorno, faccio almeno cento minuti di cardio (step o ciclette) e mezz'ora di squat/pesi/addominali. 

Lo so che sono una vipera invidiosa, ma voi non odiate quando la gente attorno a voi dimagrisce senza sforzi? E magari se ne vanta, e vuole raccontare a voi come si può dimagrire senza fare eccessivi sacrifici.

"Ma, sai, ho tolto il pane e ho cominciato a non prendere più la metro e ho perso quattro chili il primo mese. Mi sento proprio meglio da quando cammino"

E voi sorridete, annuite, ma sotto sotto le augurate di ricoprirsi di smagliature prima di partire per il Salento. Perché, parliamone, non è proprio giusto che per certa gente sia così facile dimagrire mentre noi siamo lì a farci le paranoie per un cucchiaino in più o in meno di cornflakes nello yogurt magro. 

Questo, poi, è il periodo in cui tutti si mettono a dieta, persino l'amica del mio fidanzato che prima di Natale si scofanava mezzo barattolo di Nutella al giorno dicendo che preferiva "essere felice piuttosto che magra" (che buffo pensiero, per me che ho sovrapposto la felicità alla magrezza per anni) ora parla con aria da donna vissuta di quanto sia soddisfacente fare sport. 

Io odio quando gli altri dimagriscono. Odio ancor di più quando lo fanno senza fatica e odio incredibilmente quando pubblicizzano i loro risultati. Perché pensi che io voglia sapere quanto facilmente hai perso dieci chili? Perché credi che dovrei complimentarmi con te se ogni giorno scrivi su Facebook quante ore di palestra hai fatto e ti fai le foto ai bicipiti?

Vorrei che nessuno notasse i chili persi o presi dagli altri, che parlare dei chili fosse maleducato come lo è parlare dei soldi, che dire "ma come stai bene! Quanti chili hai perso?" fosse indelicato come un "Ma che bella borsa! Quanto hai guadagnato lo scorso mese?", che chiedere a qualcuno che dieta stia seguendo fosse come domandare che modulo abbia usato per la dichiarazione dei redditi.

Invece questo è il periodo in cui il mondo intero si ricorda che la focaccia unta fa ingrassare e non si parla che di diete, palestra, somatoline cosmetic. E finisce che metà dei contatti di Facebook ha messo "parteciperò" all'evento '30 days squat challenge' e ti manda pure gli inviti. Improvvisamente sono tutti esperti di diete, tutti maestri di fitness. Mi è sempre pesato questo periodo. Da aprile a giugno tutti sono attenti alla linea, alla propria e a quella degli altri, e poi i vestiti più leggeri sono impietosi: non puoi più nascondere nulla. E se fino a un mese fa nessuno aveva notato il mio dimagrimento, o almeno nessuno lo aveva commentato, ora è un continuo "Ma quanto sei dimagrita?", "Basta dimagrire!", "Ma mangi?". 

L'ultimo siparietto si è svolto davanti all'ufficio del mio relatore dove la mia amica R., taglia 40 scarsa benché lei giuri di portare la 44 e una quarta di seno, ha cominciato con la solita tiritera su quanto sono dimagrita dalla scorsa estate con esternazioni molto imbarazzanti tipo "Girati, fammi vedere il sedere! Dai, fammi controllare". Io - che già vado in ansia quando si fa questo discorso vis a vis ma che non posso sopportare si parli del mio corpo in pubblico, per di più davanti a sconosciuti - ho tagliato corto facendole notare che non sono per niente magra, e sicuramente le mie cosce sono grosse il doppio delle sue e lei ha osservato candidamente "sì, ma sei dimagrita tantissimo! Quanti altri chili vuoi perdere?" "Tre" mento, e lei ride "vabbè, ma tre chili li perdi in una settimana!". 

Eh, magari, io li ho persi in cinque mesi. Però sono molto brava a riprenderli.



P.S.

Come forse alcune di voi sanno, perché hanno visto le foto su Facebook, venerdì ho incontrato Softy. Non avevo mai conosciuto dal vivo nessuna delle ragazze che ho conosciuto su Blogger ed è stato bellissimo chiacchierare con lei come se ci conoscessimo da una vita anche se, di fatto, non ci eravamo mai viste prima. E ho pensato che è davvero bellissimo il rapporto che si è creato con molte di voi, quella complicità che a volte non si riesce a conquistare neanche dopo anni di amicizia, quel sentirsi comprese senza paura di essere giudicate e soprattutto sapere di non essere sole, mai.

P.P.S.
Ieri era la festa della Liberazione, una delle feste più belle, secondo me, e pensare ai partigiani mi emoziona sempre. In particolare ieri sera con la mia amica L. abbiamo ascoltato il racconto di una signora che è diventata partigiana a sedici anni e io mi sono sentita così stupida, a pensare tutto il giorno al cibo, mentre tanti ragazzi alla mia età settant'anni fa pensavano a morire per la libertà. 
 

Vi abbraccio forte!


lunedì 20 aprile 2015

"tutto in funzione del cibo", ovvero 2377 giorni di prigionia

Peso: 64,9 kg

Questa sera i miei amici dell'Università vanno a cena da Eataly - è diventata una nostra simpatica tradizione uscire il lunedì sera, serata anti-sociale per eccellenza - ma io non vado. Ho detto loro che voglio lavorare alla tesi perché mercoledì ho appuntamento col mio relatore e devo portargli le ultime pagine che ho scritto, il che è anche vero, nel senso che vorrei finire il capitolo per potergli portare un bel malloppo di pagine dato che non lo vedo da prima di Pasqua, ma il motivo principale per cui rinuncio alla cena è che devo rientrare nei ranghi dopo gli eccessi del weekend e non sarei a mio agio se prendessi un'insalatina. Tra l'altro credo che loro vogliano andare alla sezione pizza&pasta (non so se conosciate Eataly, è un supermercato che fa anche da ristorante ma le aree ristorazione sono divise in base ai reparti: la zona del pesce, quella della carne, quella della pizza...perciò ci dev'essere un buon accordo su quello che si vuole mangiare se si va in gruppo!) e io non mangio carboidrati di sera a meno che non sia sabato o, in qualche caso eccezionale, domenica (ma solo se ho mangiato poco a pranzo).
Questo è, ne sono certa, l'aspetto più fastidioso della malattia: non essere liberi di accettare un invito. E la cosa più assurda è che a privarci di questa libertà siamo noi stesse! È una prigionia autoinflitta e per questo ancor più dolorosa, è peggio di quando, a quattordici anni, mia madre mi vietava di uscire le sere in settimana durante il periodo scolastico, a meno che non ci si trovasse per studiare.
È paradossale: non c'è niente che m'impedisca di accettare - non è una questione di salute, di soldi, neppure ad essere sinceri sarebbe un problema la tesi, perché potrei lavorarci questa notte o domani sera - ma SO di non poterlo fare. So che il mio programma per questa sera è due fettine di vitello e un caffè per darmi la carica e so che leggerò i loro messaggi per organizzarsi (perché sono dentro un maledetto gruppo di whatsapp) e mi dispiacerà non essere con loro a parlare delle mete delle vacanze, del master di M. e dei nostri progetti con l'università, ma domani mattina vedrò un numero più basso sulla bilancia e saprò di aver fatto la cosa giusta.
Come se, quando dovremo tirare le somme di questa breve e incasinata vita, un numero sulla bilancia contasse più di una serata con gli amici. 
Anni di terapia, di lotta, di piccole conquiste, ma ancora tutto ruota intorno a un numero. Tutto in funzione del cibo. Di quello mangiato, di quello che potrei mangiare, di quello che non posso mangiare. Il cibo occupa il 70% dei miei pensieri quotidiani. E se sto casualmente pensando ad altro, ecco che passo davanti ai cartelli di EXPO e mi viene da ridere perché il tema è - guarda un po'! - il cibo! L'universo intero trama contro di me, si fa beffe della mia ossessione, più prosasticamente mi prende per il culo.
Il pensiero del cibo tiene in scacco la mia esistenza da sei anni e sei mesi. Sono duemilatrecentosettantasette giorni. 2377 giorni di conteggio calorie, di "lo prendo quel gelato? No, poi dovrò fare il doppio delle addominali. Lo lascio lì", di ciclette, di creme per le smagliature, di psicofarmaci, di pianti in bagno, al ristorante, in macchina da sola nel parcheggio di un supermercato in cui ho comprato gli "ingredienti" per un'abbuffata. 2377 giorni e ancora non ne sono stufa. Se fosse una storia d'amore sarebbe quasi ora di metter su famiglia.
Per darvi un'idea di quanto la mia vita sia influenzata dal pensiero del cibo - ma so che mi capirete, posso immaginare che lo siano anche le vostre - vi racconto quello che è successo sabato sera. Ero a cena col mio fidanzato nel nostro ristorante giapponese preferito e io ero stata di umore abbastanza alto fino al momento in cui siamo entrati. Poi la folla, un sms della mia amica L. che non si sentiva bene e voleva vedermi (ma ormai ero lì, non potevo mandare a monte la cena e correre da lei!) e il pensiero imminente della pancia piatta che si sarebbe gonfiata mi hanno messa in crisi. Ho discusso con A. per le solite questioni - il suo lavoro che ci tiene lontani e la sua famiglia che puntualmente riesce a rovinare le nostre gite fuoriporta organizzando eventi di famiglia la domenica o ad agosto - e anziché essere triste perché stavamo discutendo e ci eravamo rovinati la serata ero triste perché non avevo più fame ma ormai avevo ordinato e avrei dovuto ingurgitare lo stesso calorie indesiderate. Perché mangiare controvoglia è così stupido, quando si potrebbe semplicemente non mangiare. Ero più concentrata sul fastidio che mi dava il fatto di stare "sprecando" la mia cena libera senza averne più voglia che sulla discussione che stavamo avendo. E rendermene conto mi ha fatto sentire una persona orribile, tanto che mi è persino venuto da piangere. Ad A. ho detto che piangevo perché mi sentivo in colpa per non essere andata da L. che aveva bisogno di me e lui ha detto che era un motivo sciocco, e sapere che il vero motivo era ancora più sciocco mi ha fatto sentire ancora più in colpa e più in ansia. 
Insomma, una serata disastrosa. Anche se poi ci siamo chiariti, mi ha accompagnata da L. e ieri abbiamo rimediato con una bella giornata insieme in cui sono stata bene e sono stata felice e l'ho anche portato di mia iniziativa a mangiare il gelato in una gelateria che ha scoperto il mio amico I. dove fanno un gusto stranissimo ai pinoli che a me piace un sacco, mi rimane un groppo in gola. Perché ieri ci ho messo un'ora a decidere come vestirmi perché stavo male con tutto e sembravo obesa e A. mi ha chiesto "come fai a vivere così?" ed io ho pensato che non lo so, che la sua domanda è perfettamente legittima, forse me la farei io stessa se mi potessi guardare da fuori.
 Eppure sono 2377 giorni che vivo così. Mi sono diplomata, fidanzata, laureata, tutto con quest'unico chiodo fisso: il mio corpo troppo grosso per essere portato in giro con tanta disinvoltura. Mi sento prigioniera in un corpo troppo grasso per la mia mente, ma forse la verità è che sono prigioniera della mia mente. 
Da sei anni, sei mesi, tre giorni e una manciata di ore.

sabato 18 aprile 2015

"giocare sporco" per iniziare il weekend col piede giusto

 Peso: 63,6 kg
Finalmente vedo il peso scendere a 63. Ero arenata su questo maledetto 64/65 da dicembre, salito a 67 dopo Natale e rifissatosi a 64/65 a febbraio. Non ne potevo più di questo circolo vizioso: scendere a 64 e poco il venerdì e ripartire da 65 e mezzo il lunedì, in un infinita lotta con la mia bilancia e il mio metabolismo che non vuole collaborare. 
Così questa settimana ho deciso di dare una svolta alla questione e un po' ho giocato sporco, lo ammetto. Ho mangiato davvero poco: approfittando del fatto di pranzare quasi sempre fuori (ma da sola) ho mangiato 60g di orzo martedì, 40g di cous cous mercoledì, 70 grammi di cheesecake allo yogurt giovedì e una piccola mozzarella di bufala con i pomodorini ieri (la mia dieta sia articola su blocchi di due giorni, martedì/mercoledì a pranzo ci sono i carboidrati, giovedì/venerdì latticini) e ho fatto sempre cene leggere, a base di pesce o tacchino. 
Ne avevo bisogno, comunque, sia perché mi vedevo enorme, sia perché mi sentivo ancora appesantita e gonfia per le due settimane (del viaggio prima e di Pasqua poi) in cui ho mangiato troppo e male. Volevo sentirmi "pulita", non so se avete presente la sensazione. Non si tratta di sentire la pancia vuota, i brontolii della fame o i crampi allo stomaco, ma di quella sensazione piacevole che si ha quando si mangia il giusto e bene, dopo un pasto equilibrato con una fetta di carne leggera e delle verdure, dopo aver bevuto tanta acqua e fatto tanto sport. 
Mi sono allenata tanto questa settimana: ho fatto sempre almeno un'ora e mezza di ciclette al giorno (oggi sto sfiorando le due), i venti minuti di 30days shred e poi qualche addominale e esercizi per i glutei. 
E ora mi sento più leggera.
So che è per la maggior parte una questione mentale, che probabilmente nel mio corpo non è cambiato nulla da quando, settimana scorsa, pesavo un chilo in più, ma avevo davvero bisogno di iniziare questo weekend con un margine maggiore per potermi concedere qualche sgarro con più serenità. Ed è per questo che ho ristretto un po' più del solito in settimana: volevo arrivare al sabato senza l'angoscia di vedere, in due giorni, rovinata la fatica di una settimana. Che poi, magari non dovrei sbilanciarmi, magari lunedì peserò comunque 65,5 di nuovo, però adesso non lo so e posso organizzare le uscite di oggi e domani con più tranquillità.
Anche se questa cosa che una cena più abbondante del solito mi fa riprendere un chilo e che ogni lunedì mi tocca ricominciare daccapo deve finire. La nutrizionista dice che è normale prendere un chilo dopo essere andati in pizzeria o aver esagerato a cena, ma in un paio di giorni a mangiare normalmente il chilo in più dovrebbe scomparire. Invece per me non è mai così: ne riprendo uno e mezzo e impiego tutta la settimana a smaltirlo, e poi di nuovo la stessa storia il weekend successivo. 
Spero che l'incontro con l'endocrinologa mercoledì mi aiuti a risolvere il problema. La mia tiroide lavora meno del necessario, ma il mio ipotiroidismo non è ancora "patologico" (per quelle tra voi che conoscono il magico mondo della tiroide: il TSH è più alto del dovuto ma riesce ancora a tenere gli ormoni ft3 e ft4 all'interno del range) e quindi fino ad ora è stato "curato" con degli integratori di iodio che dovrebbero indurre la tiroide a produrre più ormoni, ma non sono efficaci come lo sarebbero i farmaci stimolanti che si prendono in casi di ipotiroidismo conclamato.
Io però adesso sono stanca di dover combattere con un corpo "a risparmio energetico", vorrei poter fare come la mia amica L. che a marzo si mette a dieta per l'estate, perde sei chili in quattro mesi senza sforzi e poi si sfonda di cibo da luglio a settembre riprendendosi i suoi onesti sei chili. So che all'endocrinologa delle mie paranoie con il cibo non gliene fregherebbe nulla, però non è giusto che io debba fare questa fatica e non dico tanto per dimagrire, ma per rientrare almeno nel mio pesoforma. È sfiancante e logorante.
Tra l'altro ieri sera ho avuto una piccola discussione con il mio fidanzato sulla questione peso/dieta/dca perché sostiene che la parte superiore del mio corpo sia già troppo asciutta e che non posso perdere altri cinque chili, come vorrei. Gli ho detto che quando ci siamo messi insieme ne pesavo dieci meno di adesso e lui ha tagliato corto dicendo che evidentemente avevo meno muscoli, e che ora con dieci chili in meno sembrerei "come quando eri anoressica" perché "ti si vedono già tutte le ossa". Che ansia questa delle ossa. Voglio dire, tutti abbiamo le ossa e le ossa di spalle, schiena e bacino si vedono su tutte le ragazze magre, solo che nessuno fa caso alle ossa delle ragazze che sono sempre state magre allo stesso modo mentre tutti notano le ossa di quelle che sono state anoressiche. Tutta questa attenzione - "cosa mangi oggi? Mi raccomando, mangia" - mi mette pressione, mi fa sentire come se stessi facendo qualcosa di sbagliato, invece voglio soltanto ritornare al mio peso-forma e sentirmi meno a disagio con il mio corpo. È quello che fanno tutti in questo periodo, senza che amici, fidanzati e genitori comincino a fare il terzo grado. 
Scusate il post di oggi, un po' senza senso, un po' sconclusionato, ma in questi giorni va così. Sono anche un po' altalenante a livello di umore: passo da momenti di allegria dati dal bel tempo e dall'organizzazione delle vacanze estive a momenti cupi generati dalle troppe cose da fare e dalla mia perenne insoddisfazione. Ora vado a fare una lunga passeggiata al parco con il mio ragazzo e il mio cane. Respirerò l'aria di primavera e cercherò di immagazzinare la pace che si respira tra le piante che inverdiscono.
Buon weekend, belle!

mercoledì 15 aprile 2015

prima prova costume della stagione '15 - frivolezza a palate


Peso: 64,6 kg



Post, questo, ad alto contenuto di frivolezze dopo il clima pesante dello scorso week-end. Sto un po’ meglio: riprendere i corsi all’università, la primavera e il Fuorisalone mi hanno messo di buon umore. Ho avuto ancora dei giramenti di testa ma sto cercando di non dar loro troppo peso e di non farmi prendere dal panico. È la primavera, mi dico, insieme a qualche pasticcio ormonale della mia tiroide scassata.

Comunque, dicevo, è arrivato il caldo. La gente che settimana scorsa indossava imperterrita il piumino questa settimana ha rispolverato i sandali – non sto scherzando, ieri in università c’era gente in canotta e infradito – e sui weekend aleggia sempre più consistente lo spettro del lago. Che a me piace, ben inteso, ma lago = spiaggia e spiaggia = costume.

Il costume. Così poca stoffa, così tanto odio. La mia nemesi, fonte di tanta rabbia, disgusto ed angoscia. Per due estati – per altro quelle del 2009 e 2010, quando pesavo rispettivamente 49 e 53 kg – andai persino in spiaggia vestita; prendisole, kaftani, parei e ampi cappelli, zeppe e persino gioielli, come a chiarire ulteriormente la faccenda: io non vengo in spiaggia per spogliarmi, fine della questione. Stavo sotto l’ombrellone, dietro i miei occhialoni, truccata, e guardavo da lontano i miei amici che facevano il bagno, e ogni tanto andavo sul bagnasciuga a scattar loro qualche foto, da brava nonna. Per altro in quel periodo avevo un po’ di problemi di ipotensione quindi non potevo stare in spiaggia più di due o tre ore senza rischiare lo svenimento, e ne approfittavo per fare lunghissime passeggiate sorseggiando caffè freddo, da sola, mentre gli altri si arrostivano al sole.

Negli anni ho abbandonato questa mia usanza asociale e ho ricominciato a fare vita da spiaggia – anche se continuo a non essere un’amante della vacanza ombrellone-e-bagnetto – rinunciando al kaftano. Non ho superato il disagio del costume, ho solo imparato a gestirlo. Continuo ad avere l’impressione che tutti sulla spiaggia fissino il mio sedere enorme, che se due persone sulla battigia ridono è perché stanno commentando la mia ardita decisione di mostrare al mondo tutta l’orrenda ciccia che mi ricopre e cerco di stare il più possibile sdraiata, così almeno la pancia sembra piatta, ma ho deciso che non posso privarmi di una cosa così naturale come crogiolarmi al sole e che indossare il costume è, quindi, un male necessario.

Così, per prepararmi psicologicamente all’inevitabile, considerato anche il fatto che esattamente tra un mese parto per la Sicilia con S. e i nostri fidanzati, ho deciso di fare la fatidica prova costume e di inserire le foto nel mio archivio storico degli orrori.


Come vorrei essere in costume:

Se da vestita posso, ogni tanto, trovarmi carina, il costume mi sembra che enfatizzi tutti i miei difetti: pancetta flaccida, braccione, cuscinetti all’interno coscia, e le mie orribili ginocchia (una fissa di lunga data, mi sembra ci sia troppa pelle e ciccia su quella che dovrebbe essere una scarna articolazione).
Poi, già ch’ero nuda e demoralizzata, ed anche per valutare gli eventuali risultati del 30days shred, ho deciso di prendermi le misure.

Vita: 73 cm
Fianchi: 97 cm
Sedere: 106 cm
Coscia: 62 cm
Seno: 92 cm
Braccio: 31 cm

Una coscia sola è grande quasi quanto il mio giro-vita, lo trovo alquanto disgustoso. Il mio obiettivo per l’estate sarebbe di portare le cosce sotto i sessanta cm, perché so che a 59 cm non si toccavano e non sfregavano tra loro, evitandomi almeno questa vista orribile!

E voi, che rapporto avete col costume? Non belligeranza o, come me, siete in grado di rinunciare ad una vacanza al mare pur di non doverlo indossare?

domenica 12 aprile 2015

Ipocondria portami via - voglio solo un po' di pace

Peso: 64,7 kg

Venerdì ho avuto il mio primo (e spero ultimo) episodio di emicrania con aura. Per le fortunate tra voi che non sanno di cosa si tratti, è una simpatica forma di mal di testa anticipata da allucinazioni visive che possono presentarsi in vari modi ma che nel mio caso erano "scotomi scintillanti": praticamente il mio campo visivo, a destra, era ingombrato dalla presenza di queste macchie tremolanti e colorate. Queste fastidiose sensazioni durano per una ventina di minuti, dopodiché insorge il mal di testa vero e proprio, che mi ha lasciato stordita fino a sera.
Ma soprattutto, quella mezz'ora di "allucinazioni" mi ha sprofondata nel panico. Nel giro di mezz'ora avevo preso in considerazione il distacco di retina, un'ischemia e il tumore al cervello; sarei andata in pronto soccorso se non avessi dovuto lavorare tutto il pomeriggio.
Come vi ho già detto parecchie volte, io sono molto ipocondriaca. In passato ho sofferto di moltissimi sintomi di natura psicosomatica ma tanto "reali" da riuscire a preoccupare anche persone molto più razionali di me. Qualche anno fa, ad esempio, ho fatto parecchi esami al cuore e ho portato l'holter pressorio (uno strumentino che ti tieni addosso per 24 ore o 48 o per una settimana intera e ti misura la pressione ogni quindici minuti) perché il mio medico di base non si spiegava gli sbalzi di pressione e le aritmie che mi lasciavano senza forze. E alla fine non avevo nulla: "somatizzavo", così mi dissero.
Era il periodo in cui pensavo di avere la SLA. Ricordo che mi tremava la palpebra inferiore, a volte per qualche minuto, a volte per giorni interi, e mi sembrava d'impazzire. E poi mi s'informicolava il collo, poi il braccio, poi la schiena. E quando mi sedevo avevo sempre le fascicolazioni nelle gambe, come delle piccole scosse elettriche, e pensavo che sarei morta di lì a poco.
La notte in cui ho deciso che avrei ricominciato a mangiare, fine maggio 2009, mi era capitata una cosa simile. Avevo avuto un paio di attacchi di panico - tutto regolare - ma, ad un certo punto, mi accorsi di non riuscire più a muovere un braccio. Era paralizzato, in una posizione innaturale. Provai ad alzarmi dal letto, ma non riuscivo a muovere neanche le gambe! In quel momento pensai che sarei rimasta per sempre legata a quel letto che odiavo, sul quale tutte le notti sprecavo tutte le mie energie per riuscire ad allontanare i miei fantasmi e dormire almeno un paio d'ore, e che non sarei più riuscita a muovere un passo o a prendere in mano una penna. Mi convinsi che il mio corpo, non avendo più nutrimento a sufficienza, aveva deciso di tagliare le terminazioni nervose che portavano il movimento agli arti e sarei rimasta così, solo 'spirito' come avevo tante volte sognato. Non riuscivo neppure a chiamare aiuto, perché avevo la mandibola incollata alla mascella.
Mi spiegarono, poi, che quella paralisi temporanea era stata provocata da un problema di iperossigenazione legata all'attacco di panico ma ormai avevo deciso: ricominciavo a mangiare, perché non volevo morire.
Insomma, la paura di stare male aveva vinto persino sul mio desiderio disperato di scendere sotto i quaranta chili, di vedere finalmente dove finisse l'osso del bacino che potevo seguire con la punta del dito fino all'inguine. La paura delle malattie è sempre stata la mia compagna più grande, insieme all'ossessione per il peso. Come piatti di una bilancia, oggi è più importante l'una, domani l'altra. Oggi penso che sto per morire quindi conviene che mangi senza pensieri, domani scopro che sto ancora bene ed è meglio che arrivi alla morte con 10kg in meno.
Non ho mai tregua. Devo sempre avere qualcosa che mi angoscia, che mi sta sul fiato sul collo, che non mi fa godere appieno la vita.
Ieri mattina e questa mattina mi sono svegliata con dei forti giramenti di testa. E non ho pensato che fosse la pressione bassa (ma l'ho provata: 125-70, perfettamente normale), né la tiroide, né qualche altro sbalzo ormonale, ho pensato di avere un tumore al lobo occipitale del cervello. E questa convinzione si fa strada dentro di me insinuandosi nelle fessure lasciate momentaneamente vuote dal dca. Là, dove ieri c'era il "guarda quelle cosce molli e tremolanti!" oggi c'è "non sono giramenti di testa, sono vertigini date dall'espansione del tumore".
E lo so che è un'ossessione non meno assurda dell'altra, e lo so che ci sono persone che hanno davvero la SLA, il tumore al cervello o che sono cardiopatiche mentre io sono solo una cretina con le crisi d'ansia, ma vi giuro che quando mi partono queste paranoie arrivo a stare davvero male. Oltre a provocarmi qualsiasi sintomo, sono in grado di rimanere in uno stato di derealizzazione/depersonalizzazione per ore.
Oggi, per esempio, ero in giro col mio fidanzato e stavo bene. C'era il sole, eravamo in un posto graziosissimo, faceva caldo e parlavamo delle vacanze estive, quando ad un certo punto ho cominciato a sentirmi assente, a sentire il mondo che si allontanava e ho dovuto sedermi su una panchina, prendere qualche bel respiro, cercare di tornare in me. E io non voglio ricominciare con gli attacchi d'ansia, le benzodiazepine, la paura di uscire da sola.
Questa sera con il mio amico I. ed i rispettivi fidanzati andiamo a mangiare la pizza in una pizzeria buonissima e io non la mangio da gennaio, mi sto preparando a questa serata da una settimana (non ho toccato lievito di nessun tipo) e oggi ho fatto ciclette e ho camminato tantissimo per eliminare anche i sensi di colpa, ma non voglio entrare nel ristorante con la paura di sentirmi male o passare la sera dentro una bolla d'aria, ad ascoltare da lontano i discorsi degli altri. 
Non voglio che mi capiti mai più, sono stanca di quelle cose come di contare le calorie. Voglio solo un po' di pace

mercoledì 8 aprile 2015

pranzare con la pasta e altri alimenti proibiti

 Peso: 65,3 kg

Oggi a pranzo ho mangiato la pasta. Sì, non è una gran notizia, me ne rendo conto; so che c'è gente che mangia la pasta tutti i giorni, anche due volte al giorno, ma io no, io non la mangio mai
C'è stato un tempo, ormai lontanissimo, in cui anche io pranzavo con la pasta, come l'italiano medio. Pasta a pranzo, un secondo a cena. E formaggi e salumi a volontà per arricchire, naturalmente. Poi ho cominciato a contare le calorie e ho scoperto che cento grammi di pasta scondita hanno lo stesso apporto calorico di quattrocento grammi di pollo e ho deciso che potevo fare a meno della pasta nella mia dieta di ogni giorno.
Non mi manca, vi dirò. Sarà che ci sono abituata, sarà che non mi piace neanche così tanto, non mi sembra di fare un sacrificio privandomene. Poi, non è che non la mangi proprio mai: se esco a cena e c'è un primo che m'incuriosisce lo prendo, se vado a pranzo dai suoceri e la mamma del mio fidanzato fa la pasta la mangio, è solo che non fa parte della mia dieta quotidiana, è uno degli "alimenti proibiti", come li chiama la mia amica M.: cose che la gente "normale" mangia ogni giorno, o comunque piuttosto di frequente, e che io non mi sognerei mai di mangiare così alla leggera.
Pasta. Bibite gassate (che per fortuna non mi piacciono) e zuccherate. Snack fuori orario. Pizza. Dolci a chiusura dei pasti.
S. sostiene che un pasto non sia completo se alla fine non c'è il dolce. Io archivio il dolce a fine pasto nella categoria "calorie assunte inutilmente" (di cui fanno parte tutti gli alimenti proibiti): a fine pasto si è già sazi, le papille gustative sono offuscate da altri sapori, se mangi un dolce non te lo godi neanche come potresti apprezzarlo a stomaco vuoto. Così come inorridisco quando vedo la gente mangiare delle fette di pizza enormi in stazione, ad orari improbabili, come le undici del mattino o le cinque del pomeriggio, come spuntino, insomma. Magari alcuni di loro arrivano a casa e si trovano in tavola un bel piatto di pasta e lo mangiano senza ritenerlo assurdo, perché forse è quella, la normalità. Mangiare quello di cui si ha voglia, quando se ne ha voglia. Tipo il fidanzato di S. che quando ci salutiamo alle due, il sabato sera, lui passa dal McDonald's a prendere i chicken mcnuggets, delle palline di pollo fritto anche piuttosto anonime e asciutte. Perché il pollo è sempre asciutto e anonimo, persino fritto.
Comunque, dicevo, oggi ho pranzato con la pasta. Non perché ne avessi voglia, né perché avessi particolarmente fame. Ero solo curiosa, curiosa di sentire che sapore avesse, curiosa di fare un pasto normale, ché il mio ragazzo mangia la pasta a pranzo tutti i giorni e quando stiamo insieme per tanti giorni si stupisce di quante 'alternative' io possa trovare alla pasta e io mi stupisco di come i miei compagni delle scuole medie, a mensa, potessero mangiare pasta al sugo ogni giorno e non esserne stufi.
Ho aperto la dispensa e ho scelto la pasta meno calorica. Si tratta di variazioni ridicole, lo so, ma mi faceva sentire più tranquilla; e poi casualmente la meno calorica - 349kcal per 100grammi - era un formato che mi ispirava fiducia, fusilli bucati. Mai provati. Però erano belli rugosi e spessi, il mio genere. A me la pasta liscia fa impressione, è viscida e i sughi le scivolano addosso. Gli spaghetti in particolare mi fanno venire la pelle d'oca. Mi piace la pasta corta e ruvida, quella che si riempie di condimento e perde il suo sapore di amido.
Non sapevo quanta farne, perché avevo paura di mangiare troppo ma avevo anche paura di non essere soddisfatta, e alla fine ho optato per 65 grammi. Mi è sembrato un buon compromesso tra i canonici cento e i quaranta della mamma della mia amica L., che sostiene che il trucco stia nel mangiarla piano e nell'usare piatti piccoli. L'ho condita con un pesto di peperoni che ho fatto io perché stasera viene a cena il mio amico I. e voglio preparargli delle tartine con pesto di peperoni e ricotta salata e ci ho anche messo un cucchiaino della suddetta ricotta salata.
Ebbene, l'ho mangiata. L'ho anche trovata abbastanza per sentirmi piena, alla fine. Non vi so dire se mi sia piaciuta perché quando mangio da sola mi sembra che qualsiasi cosa abbia lo stesso sapore, di finto e di plastica, ed é per questo che di solito ne approfitto per mangiare verdure scondite e fesa di tacchino. Perciò, boh, non so se fosse buona, se fosse insipida (non ho messo il sale nell'acqua perché l'avevo messo nel pesto ma mi sa che ho sbagliato), se fosse scotta (sulla confezione diceva 10 minuti e siccome a me non piace provarla scondita mi sono fidata). So solo che era pasta, alimento bandito dalla mia dieta quotidiana da novembre 2008 e l'ho mangiata. Da sola, l'ho cucinata come l'avrei cucinata per mio padre e l'ho mangiata io. Io!
Non so se sia normale, ma mi sento bene. Saranno tutti quegli zuccheri complessi che mi stanno andando al cervello.
E voi? Quali sono i vostri alimenti proibiti? Le cose che avete bandito dalla vostra dieta e ora non potete concepire che qualcuno, invece, ne faccia un uso quotidiano?
Baci a tutte!

domenica 5 aprile 2015

(non) piacersi

Peso di ieri (oggi non ho avuto il coraggio di pesarmi): 65,1 kg.

Vi racconto un aneddoto, per rompere il ghiaccio: in uno dei due alberghi in cui siamo stati mentre ero in vacanza col mio fidanzato, la scorsa settimana, c'era una vasca da bagno circondata da una parete di vetro, in mezzo alla camera. Praticamente, ci si faceva la doccia in vetrina! Il mio fidanzato era ovviamente esaltatissimo perché sostiene che guardarmi mentre mi faccio la doccia sia una cosa estremamente eccitante, mentre io lo trovavo più che altro imbarazzante. Non che mi vergogni a farmi vedere nuda da lui, non ho problemi a spogliarmi con la luce accesa quando facciamo sesso, ma nella doccia c'era uno specchio e quindi io potevo vedermi come mi vedeva lui da fuori. E mi vedevo enorme, molle e sgraziata. 
La seconda sera non ce l'ho fatta: gli ho chiesto di non guardarmi mentre mi facevo la doccia, perché avevo la pancia gonfia e non mi sentivo a mio agio. Lui inizialmente non era d'accordo ma poi ha accettato e ha finto di leggere il giornale sul tablet. È stato un momento orribile: mi sono sentita una cretina ingrata, perché quella vasca scenografica era pensata per essere una specie di gioco erotico e per me invece era tutt'altro.
La terza sera per farmi perdonare gli ho proposto di fare la doccia insieme e mi sono messa di spalle allo specchio, cercando di godermi l'idromassaggio, e sono riuscita a distrarmi dal pensiero fisso del mio grasso che riempiva la vasca, ma l'effetto non è stato duraturo. 
In questi giorni mi vedo bruttissima. Sono flaccida, ho la pancia gonfia e la pelle spenta. 
In vacanza ho mangiato tanto e male. Per far felice il mio fidanzato, principalmente, ma anche perché speravo in questo modo di dare una botta al metabolismo, dato che sono bloccata sullo stesso peso da febbraio, qualsiasi cosa faccia. E in effetti, anche se al ritorno pesavo 65.7 kg, ho perso subito un chilo ed ero esaltata perché pensavo di essere riuscita nell'intento di dare un bello scossone al mio corpo pigro, invece poi ho cominciato a ri-lievitare senza tregua. 
Sapendo che sarei stata a casa da sola per qualche giorno (i miei sono partiti e il mio ragazzo è a casa dal lavoro solo sabato, domenica e lunedì) mentre ero via mangiavo più del dovuto pensando che avrei potuto concedermi dei lunghi digiuni depurativi al ritorno, grazie alla propizia solitudine. Una volta tornata a casa, però, mi sono ricreduta e ho deciso di "coccolarmi" un po'; così, dopo aver accompagnato i miei all'aeroporto, mi sono fermata al supermercato per fare scorta di cose che mi piacciono: carpacci di pesce spada, tartare di tonno, verdure da grigliare...cose che, speravo, mi avrebbero fatto venire voglia di mettermi a tavola senza essere delle schifezze ipercaloriche. In parte ha funzionato, perché sono riuscita a mangiare anche se non c'era nessuno a tavola con me, ma il peso ha ricominciato inevitabilmente a salire. 
Ieri sera volevo mettere i pantaloni amaranto, quelli taglia 40 che ho orgogliosamente rindossato a dicembre dopo più di un anno, ma mi stringevano in vita. Momenti di panico e crisi nera. Ho provato mezzo armadio ma mi facevo schifo con tutto, e intanto eravamo sempre più in ritardo per la cena a casa del fidanzato di S. Ad un certo punto ho pensato di mandare a monte tutto; avrei anche avuto una scusa pronta perché sono raffreddatissima e senza voce ma mi sono sentita in colpa perché avevo passato le ultime ore in cucina a preparare due Bella Elena (una da portare oggi al pranzo dai suoceri) e perché non volevo rovinare la serata anche al mio fidanzato.
Così mi sono fatta coraggio, mi sono infilata i pantaloni neri, mi sono raccolta i capelli e sono uscita sentendomi più brutta, goffa ed ingombrante che mai.
So che potete capire quella sensazione. Mi sento grossa e mi sento sempre sporca, appiccicaticcia come il cibo che ho mangiato in eccesso mentre ero in vacanza. Sono intossicata dal cibo.
Per di più sono flaccida come non mai. Ho ripreso a fare la 30days shred, un allenamento a circuito che dura venti minuti e promette risultati evidenti in soli trenta giorni. L'anno scorso l'avevo fatta per quaranta giorni, prima d'iscrivermi in palestra, e infatti ero riuscita a tonificare abbastanza, nonostante pesassi un bel po' più di adesso. Ho bisogno di vedermi tonica e soda, perché non ce la faccio a provare tutto questo disgusto per il mio corpo, ho paura che lo schifo che provo insieme alla delusione per il peso sempre fermo mi portino a fare delle scelte stupide (come saltare i pasti) e non voglio crearmi le condizioni per agire da sciocca, non voglio avere scuse per trattarmi male. Voglio, invece, curarmi e imparare a piacermi un po' di più. Non mi sono mai vista bella, neanche prima di ammalarmi di dca pensavo di essere bella, ma ci sono periodi in cui mi vedo più o meno brutta e da un paio di settimane a questa parte mi vedo un vero roito.
Scusate la bassezza intellettuale di questo post inconcludente e lagnoso, ma avevo bisogno di sfogarmi un po' e so di poter contare su di voi.
Vi lascio con un quesito: come vi vedete allo specchio? Vi siete sentite belle qualche volta nella vostra vita, quando eravate più magre o più grasse, magari prima di ammalarvi o, paradossalmente, al culmine della malattia?
 
p.s. Buona Pasqua a tutte!
 
 [Tovaglietta trovata in un ristorante in cui ho cenato! :)]