mercoledì 29 aprile 2015

le malattie invisibili

Peso: 63,3 kg.

Ieri è stata una giornata densa ed emotivamente impegnativa. 
Al mattino si è laureato il fidanzato del mio migliore amico, e ci sono stati momenti piuttosto pesanti perché i genitori di entrambi non sanno della loro relazione e quindi ho dovuto sostenere il mio amico in alcuni minuti di scoramento dovuti al fatto di dover fingere di essere uno qualsiasi degli amici e non potersi comportarsi come avrebbe fatto una coppia "normale".
Abbiamo parlato tanto, ritornando a casa, della bellezza di sentirsi "normali" e dell'angoscia dei sensi di colpa, della clandestinità, delle bugie. La conversazione mi ha messo in crisi: capivo perfettamente l'anelito alla normalità, anche se per me quella normalità è su un altro piano - non la possibilità di vivere una normale vita di coppia, ma quella di avere una normale relazione col cibo e col mio corpo - e capivo ancor meglio la rabbia per il fatto di essersi imprigionati da soli in questa condizione - se loro due avessero avuto il coraggio di confessare, ad esempio, non avrebbero dovuto nascondersi, avrebbero potuto tenersi la mano prima della discussione, salutarsi con un bacio dopo, farsi una foto abbracciati, orgogliosi e felici - e nel contempo mi sentivo in colpa. In colpa perché la mia sofferenza mi sembra indegna di tutta l'attenzione che le do, perché io piango per una cena fuori, mentre lui piange perché teme di deludere i suoi genitori dicendo loro che non avranno dei nipotini e razionalmente dovrei riconoscere che il suo dolore merita di più del mio.
So che è ridicolo stilare una gerarchia del dolore, che solo chi lo vive in prima persona può coglierne la reale entità, eppure io mi sento in colpa. Mi sento in colpa perché a volte mi sento soffocare e vorrei gridare, ma non posso, perché sento di non avere il diritto di lamentarmi. Non mi manca nulla, perché dovrei stare male? Eppure sto male e alla sofferenza si aggiunge il senso di colpa.
Mi sento in colpa perché qualche giorno fa ho letto su Facebook la lettera di una trentenne morta di cancro al seno che voleva essere un inno alla vita, un monito a ridimensionare i propri problemi e gioire delle piccole cose quotidiane, che assumono tutto un altro senso quando una malattia così ti obbliga a ricalibrare le tue priorità. E allora penso che se mi dicessero che mi resta un anno di vita, forse sarei in grado di godere di ogni cosa bella che mi capita e quelle brutte prenderebbero un'altra luce, ma non riesco ad applicare questa legge del carpe diem, ne soffro, e mi sento in colpa.
Le malattie invisibili. Così le chiamava il mio prima analista, che sosteneva che il mio accanimento sul corpo, l'essermi ridotta ad uno scheletro, fosse un inconscio tentativo di rendere tangibile la mia malattia invisibile, come se servisse a darle concretezza e dignità. Nessuno, diceva lui, direbbe ad un malato di cancro che la sua malattia non è abbastanza grave per soffrirne, mentre è facile sottovalutare la depressione, dire ad una persona depressa che non ha abbastanza motivi per esserlo, generando un circolo vizioso di colpa e dolore, di dolore perché ci si sente in colpa, di senso di colpa perché si prova ancora più dolore.
È un male senza nome quello che mi - ci - divora. Non lo possiamo vedere, non lascia segni evidenti sulla pelle, eppure non possiamo dire di stare bene, anche se apparentemente, ad un'occhiata superficiale, stiamo davvero bene.
Negli anni ho incontrato tante persone che soffrivano di depressione. Le ho viste distruggersi con le proprie mani, ergersi attorno un muro di dolore dal quale non riuscivano ad emergere, benché tecnicamente non ci fosse nulla ad impedire loro di stare bene. Nessuna malattia, nessuna delusione d'amore, nessun lutto da gestire. Eppure soffrivano, e il loro dolore mi è sembrato così vero e profondo da farmi sospettare persino che una malattia "invisibile" sia peggiore, più subdola e crudele, di una malattia grave ma alla quale tutti possono dare un nome e riconoscere dignità, per la quale riesci a sfogarti con gli altri, per la quale puoi trovare sostegno e comprensione.
Eppure, se riesco a "perdonare" gli altri, riconoscendo loro il diritto di soffrire, non riesco a concederlo a me stessa. Mi guardo intorno, ho dei genitori che mi vogliono bene e mi sostengono nelle mie scelte, ho un fidanzato che mi ama anche quando non mi capisce, pochi amici preziosi sui quali so di poter contare sempre è un gruppo più allargato di persone con le quali sto bene e che mi fanno sentire bene, un lavoro che mi permette di togliermi più sfizi del necessario e di viaggiare, una carriera universitaria quasi al termine che mi ha regalato tante soddisfazioni, eppure non sono felice. 
L'angoscia mi coglie senza motivo, non riesco a pensare al futuro perché sul futuro si allungano le ombre del passato e intanto il presente perde consistenza, mi sfugge mentre cerco di trattenerlo. Aspetto qualcosa, ma non so neppure io cosa sia. A volte penso che sia tornare a pesare meno di sessanta chili, a volte penso che quello sia soltanto un pallido tentativo di oggettivare quest'attesa senza senso. Forse aspetto solo di svegliarmi una mattina e non dovermi più confrontare con questi pensieri, sentirmi leggera non sulla bilancia, ma sul cuore.
Vi abbraccio forte e confido nel potere terapeutico del sole, che illumini un po' i miei cupi pensieri!

22 commenti:

  1. Risposte
    1. Grazie del sostegno, so che mi capite! 💕
      Un bacio!

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  2. Hai il diritto di potere manifestare la sofferenza, hai il diritto di potere dire di "no" quando non hai voglia di qualcosa, hai il diritto di potere urlare che stai male. Io l'ho sempre pensato: il disturbo alimentare è manifestazione di qualcosa che non si riesce a dire a parole. Lo è in particolar modo il disturbo alimentare perchè sul corpo si riversa qualcosa di indicibile, di inafferrabile, di inavvicinabile. Questo post, non so perchè, mi fa venire in mente sempre la mia tesi.

    "Troppo spesso questo disturbo mentale viene inghiottito in definizioni approssimative, che ne nascondono il suo significato più intimo, proprio della storia di vita personale del soggetto"

    Bisogna cercare "di dare voce al dramma di un’identità negata ed alla drammaticità di un corpo desertificato" perchè è proprio questo il disturbo alimentare: la dicitura corporea di un disagio molto più interiore. Si usa il corpo solo come medium di qualcosa: non per altro esiste anoressia ed anoressia. Binswanger (scusa se faccio sempre riferimento a lui, ma è inevitabile non pensarci) in una conferenza dirà:

    "Bisogna domandarsi in primo luogo come un ammalato viva nel suo corpo o meglio come egli vitalmente sperimenti e “senta” il proprio corpo. Ma per quanto riguarda questo sentire, non si deve pensare a percezioni riferite a questo o a quel senso, a questo o a quell’organo […] Bisogna riportarsi invece al fenomeno, unico e unitario, dell’avere un corpo e di esperirlo".

    Capisci la drammaticità? Cogli la reale profondità che porta un individuo a sfociare nel disturbo alimentare? Ti dico tutto questo perchè non voglio che riduci il tuo disagio, la tua sofferenza a qualcosa di meramente superficiale e privo di valore rispetto a qualche altro problema. Il tuo dolore merita di essere ascoltato, così come il dolore di qualsiasi altra persona. Non soffocarti.

    Un abbraccio

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    1. Grazie per il tuo commento, Val. So che il disturbo alimentare non è che la famosa "punta dell'iceberg" di un disagio molto più profondo e insondabile che sfocia in qualcosa di molto più concreto come possono essere anoressia e bulimia. Talmente concreto che a volte gli stessi "addetti ai lavori" (medici, nutrizionisti, persino gli psicologi) riducono il tutto a un problema col proprio corpo. La mia ultima terapia è finita proprio perché ormai mangiavo "normalmente" e nelle sedute non si parlava d'altro che di cibo, e ormai quel lavoro lo sentivo inutile. Ora forse ne avrei davvero bisogno, ma sarebbe comunque un palliativo, se non si riesce a scavare sotto le macerie del dca.
      Un abbraccio!

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  3. Ciao cara,
    Cosa posso dirti? Anche io, spesso, mi sento in colpa perché, di fatto, mi lamento della mia vita, dell'handicap che la complica e di tutte le difficoltà che, come cieca, devo affrontare, che però non sono nulla se paragonate a quelle di chi ha un ritardo ouna malattia seria. Quindi, beh, ti comprendo molto bene, comprendo la frustrazione dei tuoi pensieri e concordo pienamente su quanto dici delle malattie invisibili, compreso il fatto di non riuscire ad accettare i tuoi demoni e il tuo sentirti sciocca, perché, pur essendo circondata da persone che ti amano e vivendo una vita che ti appaga in molti sensi, avverti la sensazione che ti manchi qualcosa di fondamentale.
    Siamo compagne di frustrazioni di questo tipo, davvero, quindi...
    ti abbraccio forte
    Minerva

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    1. Carissima, io per esempio - non voglio dimostrarti pietà o che, sono solo il più sincera possibile - credo che tu abbia molto più diritto di me di soffrire per la tua condizione.
      Del resto, non hai scelto tu di essere cieca, é pur giusto che tu ne soffra e te ne lamenti, anche se è legittimo pensare che c'è chi sta peggio (ma c'è sempre qualcuno che sta peggio, il ragionamento non tiene). Io, invece, ho l'impressione di essere in parte responsabile della mia sofferenza, di essermela cercata, di essermi costruita la mia prigione e di starci languendo dentro, ormai da troppo tempo. A volte penso che sarebbe rincuorante sapere che l'anoressia è una malattia genetica, potrei almeno sollevarmi dalla colpa di esserci caduta.
      Un abbraccio!

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  4. Condivido pienamente il tuo post.
    La difficoltà di farsi capire all'esterno di fronte ad un disturbo mentale - che sia alimentare o altro - è gigantesca. Forse impossibile.
    E' vero che ogni dolore è diverso, che ognuno per comprenderlo bene dovrebbe provare sulla propria pelle, qualsiasi malattia sia.
    Tuttavia un cancro, un handicap fisico ecc... sono molto più comprensibili rispetto ad un disturbo psicologico.

    Probabilmente perchè si tratta di patologie fisiche, "concrete" che tutti possono effettivamente notare.
    Quando una malattia si vede con gli occhi è lì, non si può negare.
    Difficile è quando gli occhi non si possono usare, non bastano, servono altri sensi per osservarla.
    Ed ecco che è facile negare, sminuire, superficializzare tali disturbi...

    Non c'è una scala gerarchica del dolore, eppure tutti noi la facciamo, anche io ho sempre pensato che la mia sofferenza, la mia depressione e anoressia, fossero una sciocchezza rispetto a chi se ne sta a fare le chemioterapia in ospedale.
    C'è un po' l'idea - radicata pure dentro me stessa - che se si ha un disturbo psicologico è colpa un po' anche personale. (negate richieste di aiuto, chiusura in se stessi... " lo ha voluto lei, se l'è cercata")
    Mentre chi ha un tumore è sfortunato, è il destino, Dio, o chi vuoi, ad essere stato crudele, ingiusto con lui.

    Eppure.... se ci rifletto bene e torno indietro nel tempo mi vengono in mente tutte le brutte sensazioni, l'angoscia, il pianto continuo, la frenesia, la rabbia, il dolore allo stomaco, i brividi di freddo, la debolezza delle gambe, la vocina in testa che risuona sempre, la voglia di farla finita come unica soluzione a tutta la sofferenze lacerante. (Quante volte ci ho provato senza avere poi il coraggio?)
    E allora di fronte a tutto questo non posso dirti altro che tali disturbi forse sono parallelamente gravi ad altre tipologie di malattia, completamente differenti.
    "Il cancro dell'anima..."

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    1. Hai colto in pieno il punto, il fatto di sentirsi parzialmente responsabili del proprio dolore forse ci fa sentire ulteriormente in colpa. Dicevo a Minerva, se sapessimo che l'anoressia o la bulimia non dipendono da noi, che era scritto nel nostro corredo genetico che ci saremmo ammalate, forse riusciremmo almeno ad eliminare il senso di colpa, e la sofferenza sarebbe minore.
      Perché siamo sempre lì: nessuno mi costringe a rifiutare un invito, niente mi impedisce di mangiare un cioccolatino se ne ho voglia, eppure oggi sono tornata a casa e sono corsa sulla ciclette prima ancora di salutare mio padre! Perché se non faccio almeno un'ora di ciclette...cosa succede? Boh, in realtà nulla, eppure se non so di aver bruciato almeno tot calorie vado in panico. Ho bisogno delle mie certezze, delle mie rassicuranti abitudini, della mia routine.
      Però effettivamente se penso agli effetti REALI dell'anoressia sul corpo (io in realtà ci ho guadagnato 'solo' squilibri ormonali e problemi ai denti legati al vomito, ma una mia amica ha una grave osteoporosi ed ha solo ventiquattro anni) mi rendo conto di quanto possa fare male anche una malattia invisibile.
      Ti abbraccio!

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  5. Sai cosa penso Euridice?
    Penso che, come tu stessa hai detto, non ci sia tanta differenza tra il rapporto fra i tuoi amici ed il rapporto fra te ed il cibo/corpo.
    Loro fra qualche anno, quando avranno trovato coraggio e confessato tutto vivendo in pace la loro storia, riprenderanno in mano le foto guardandole con tristezza e non con la gioia del ricordo della bella occasione; il ricordo più grande sarà quello della sofferenza del vivere la loro relazione nascosti da occhi indiscreti (famiglia).

    Tu fra qualche anno, quando sarai laureata con lavoro, casa, figli e famiglia appresso, farai lo stesso; riprenderai in mano le foto e ricorderai ogni bella occasione (vacanze, feste, lauree varie, gite, compleanni, anniversari) in funzione del peso, del cibo e della tristezza che provavi in quel momento nel pesare tanto o poco.
    Ricorderai che non eri mai contenta (del peso), che hai perso tempo solo ad odiarti e mai ad amare quelle piccole o grandi cose che ti diversificano da qualunque altra persona.

    Mi ci vedo in minima parte nella persona citata di facebook, passo giornate ad odiare ogni singolo attimo per la sfiga che mi è capitata, ancora non riesco ad assaporare le piccole cose belle, gioire di qualche sorpresa o novità. Vivo ogni attimo come fosse l'ultimo ma nel senso opposto, con tristezza e malinconia. E so che non farò la fine di quella ragazza, ciò nonostante ce l'ho su con il mondo intero.

    Questo perchè siamo ossessionate dal controllo.
    Agli occhi degli altri sembriamo delle pazze malate. Ma non sanno che vogliamo il pieno controllo del peso, del cibo, dell'ordine, della pulizia ed altre sciocchezze, solo perchè non possiamo controllare altre cose che per una perversa fatalità ci piovono addosso.

    Il mio consiglio per te e per me? perdere il controllo, buttare via la bilancia della cucina e del bagno, pulire e riordinare una volta a settimana, parcheggiare malissimo (mi riferisco a te) rompere gli specchi, uscire con la prima cosa trovata nell'armadio, i capelli al vento e struccate, andare a prendere il gelato più buono e assaporandolo fino all'ultimo morso e sorridere anche agli sconosciuti.
    Pura utopia vero? allora vedi che sorridere allo specchio ed apprezzarti, almeno un pochino, non ti sembra difficile in confronto alla pazzia di perdere il controllo....?

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    1. Perdere il controllo.
      Per me è davvero un'utopia! Pensa che io non riesco neanche ad ubriacarmi! E non si tratta di stare attenta a quello che bevo! Anche quando bevo troppo (vino, perché non sono un'amante di superalcolici o di cocktails dolciastri) non riesco mai a essere davvero fuori di testa come le mie amiche che sproloquiano senza filtri e ridono come oche.
      Pensa che per un periodo sono riuscita a controllare persino i miei sogni. So che può sembrare assurdo, ma prima di dormire mi concentravo a lungo su qualcosa e riuscivo a sognarla, oppure facevo succedere nei sogni quello che volevo, mi sentivo in un certo senso la regista del mio inconscio, e non ero mai riposata, mi svegliavo al mattino stanca come se avessi passato la notte a lavorare (ed effettivamente era così), ho dovuto risolvere con le benzodiazepine per un bel po' per riuscire a riposare la mente almeno di notte.
      Questo per dirti che per me perdere il controllo è davvero difficile. Ed è una delle mie paure più grandi. Però hai ragione, un giorno penserò a quante cose non sono riuscita a godermi e mi pentirò, ma questa consapevolezza non basta a farmi correggere il tiro.
      Ti abbraccio forte!

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  6. Con questo post mi ha tolto le parole di bocca! Mi sento sempre in colpa a esprimere la mia sofferenza perché per me deriva da una malattia senza senso che ancora non so se vedere come una malattia vera e propia..la cosa stupida però che riesco a riconoscere la sofferenza delle altre persone che soffrono didisturbi alimentari come una vera e propia sofferenza che ha bisogno di essere capita e ha il diritto di essere curata,ma questo diritto non lo riconosco per me e mi vergogno come una ladra a parlarne con qualcuno sopratutto perché poi la persone non capiscono..le poche volte che ho provato a parlarne è sempre finita con una gran litigata perché la gente si sente frustrata da il mio malesere,ti dicono cose come "se stai male allora mangia" "staimale mentalmente perché non mangi" o " devi solo imparare a sentirti a tuo agio col tuo corpo" e cerchi di spiegare che il problema non è il corpo che non è così semplice che se mi fosse bastato curare il mio corpo starei gia bene! Quindi è un conflitto continuo..sono malata o non lo sono?! Ho bisogno di aiuto o è solouna mia fissazione che devo togliermi dalla testa?!
    un abbraccio cara..

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    1. Anche io ho sempre paura di parlarne con gli altri perché ho il sentore che possano sottovalutare la nostra sofferenza, sminuire la malattia, ridurla superficialmente ad un problema di natura estetica, ad un "voler dimagrire" che ci è un po' sfuggito di mano, ed ecco che arrivano quei commenti maldestri: "beh, ora sei abbastanza magra, puoi anche fermarti", come se si diventasse anoressiche a tempo determinato, come se fosse soltanto un metodo un po' più strong di fare la dieta -.-'
      Però è bello sapere di trovare un po' di comprensione, almeno qui!
      Un bacio!

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  7. Avrei potuto scrivere le tue stesse identiche parole, la vegogna a parlare di qualcosa di invisibile( a volte mi chiedo se non sia solamente tutta una mia invenzione) perché sicura di non essere capita, ma anche la vergogna per un qualcosa che non merita tutti questi pensieri, eppure lo faccio, passo le giornate a pensare. É confusione, smarrimento, vergogna, qualcosa di indefinito
    Ti stringo forte forte

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    1. Anche io a volte mi soffermo a chiedermi se non sia tutta una mia grande costruzione mentale. Forse non sono malata, forse, ho addirittura pensato qualche volta, la maggior parte della popolazione mondiale ha questo tipo di rapporto con il cibo senza pensare che sia sbagliato. In questo periodo in particolare, quando tutti parlano di dimagrire, sembra quasi plausibile, ma poi mi convinco che, no, non è possibile che tutti stiano così male quando devono finire un piatto di pasta, i ristoranti sarebbero già in crisi.
      Un abbraccio!

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  8. Quanto ti capisco.. E soprattutto, quante di noi apparentemente hanno tutte le carte in regola per poter essere felici, e invece non lo sono?
    Quante vole anche io mi sono sentita in colpa per questo.. Ma alla fine penso che per quanto questa malattia abbia dentro di se una quota di consapevolezza, in fondo sia qualcosa di relativamente controllabile.. io mi sono malata da piccola, non mi ricordo di aver deciso di smettere di mangiare, mi ricordo solo che ero convinta di non poter mangiare, ero ossessionata da quel pensiero.. E ora sono ancora qui a lottare, divisa dal voler dimagrire e il voler essere "normale".. Ma tanto so che la normalità non esiste..

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    1. La normalità non esiste, è vero, ma sono profondamente convinta che esista la possibilità di stare meglio, di recuperare un rapporto se non normale almeno sano con il cibo. È assurdo pensare di NON POTER mangiare, e te lo dico perché anche io lo penso da anni, cucino per gli altri ma io non mangio, perché io non posso mangiare quello che mangiano gli altri, se lo mangio diventerò obesa e sono già grassissima. Credo che non si possa tornare ad avere il rapporto con il cibo che avevamo un tempo (e forse hai avuto anche tu, prima di ricordartene) ma sicuramente si può migliorare la situazione attuale! E te lo auguro, come lo auguro a me.
      Un bacio!

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  9. Non so bene cosa commentare perché provo le stesse cose e lo stesso senso di colpa, come ha detto Ilaria anch'io sento di essermi creata da sola questo problema, e purtroppo è inevitabile sentirsi in colpa ed il senso di colpa genera un circolo vizioso distruttivo come hai detto perfettamente tu...
    "Le malattie invisibili"... Penso che questa espressione sia proprio azzeccatissima!!! La nostra malattia è proprio così, la compriamo con il sintomo e agli occhi degli altri appaiamo normalissime, perché spesso i danni non si vedono fisicamente a meno che non ci si trovi di fronte ad un caso in cui ad esempio si ha un sottopeso gravissimo... I danni all'esofago, ai denti, alle ossa e chissà quanti altri non li vede nessuno... Ne stavamo giusto parlando io e Sybil!!! Questi danni non li considera nessuno perché non si vedono da fuori, io lo vivo in prima persona... Nessuno si accorge di quanto io stia male perché i danni sono all'interno, quindi capisco davvero benissimo il tuo senso di colpa ed il tuo pensiero irrazionale di non essere malata quanto un malato di cancro ad esempio o di soffrire quanto i tuoi amici che non possono vivere liberi il loro amore... Anch'io mi convinco di questo, spesso, spessissimo. Ma questo è l'aspetto ancora peggiore dei disturbi alimentari e delle malattie mentali, non solo stiamo male ma ci sentiamo anche in colpa perché stiamo male e non si vede spesso... È terribile!!! E io sono fermamente convinta che in realtà come dice Ilaria queste malattie sono allo stesso piano di altre, certo le malattie "che si vedono" sono più riconosciute e giustificate dagli altri... Ma noi sappiamo di stare male ed in un certo senso dobbiamo essere forse un po' egoiste e fare di tutto per accettare in primis che stiamo male!!! Perché si malattie invisibili si muore esattamente come di altre... E allora forse vale la pena smettere di incolparci anche se è difficilissimo, ma penso che questo inculcarci che stiamo meno male di altri sia proprio caratteristico della malattia...
    Scusa per il commento un po' senza senso e non molto comprensibile...
    Non mi resta che abbracciarti forte forte ed augurarti buon 1 Maggio!!!
    ❤️

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    1. È vero, se smettessimo almeno di incolparci per il fatto di essere malate, forse potremmo accettare di più il nostro dolore e provare ad uscirne. A me è capitato spesso di pensare al dca come ad una punizione: me la sono cercata io, ed è giusto che io rimanga infangata in questo schifo. Perché dovrei poter mangiare come tutti gli altri ora, se per anni non ho fatto altro che desiderare il contrario? È più che giusto, da un certo punto di vista, che i miei ormoni siano sballati e i miei denti siano marci, l'ho voluto io. Se fumassi e mi venisse un cancro ai polmoni sentirei di essermelo meritato, e delle volte sento di meritarmi tutta questa sofferenza come castigo per non essere stata in grado di apprezzare quella normalità che avevo. So che è sbagliato e controproducente, ma non riesco a fare diversamente.
      Un bacio!

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  10. Come ti capisco... Concordo con Kiki, ne parlavamo oggi!
    Quel dolore interiore a cui non sa dare un nome nessuno... Quei giorni in cui non stai male per il cibo, quei rari giorni sono terribili: a chi, a cosa dare la colpa? Ed ecco l'abbuffata, ecco il capro espiatorio, ecco il cibo lì, pronto perché tu prenda la mira e ci spari contro... Chi si sente in diritto di stare male? Mia mamma e mio papà parlavano sempre della depressione dicendo che non esisteva, "e queste persone che dicono di essere depresse" e "queste malattie moderne".. Finché una signora del nostro condominio non è stata trovata, la scorsa estate mentre noi eravamo in vacanza, impiccata sul suo balcone. I miei la conoscevano da quando abitavano li, ovvero 20 anni. Depressione, ecco la sentenza.. Che dire? Ci si deve uccidere perché il nostro dolore sia lecito? E ancora li ci sarebbe il discorso sull'egoismo e l' egocentrismo che stanno sempre bene... Secondo me ad un certo punto bisogna rinunciare a voler essere capito a tutti i costi. A cercare negli altri una sorta di approvazione, una specie di "permesso" per stare male. Quando il mio compagno di classe si è ammalato io ho pensato "vorrei che mi venisse un tumore al seno. Ho un seno cosi grande, possibile che a lui viene all'anca e a me al seno no??" una sera mi faceva male il seno e sono corsa dalla guardia media sperando di avere un tumore... Avevo un'infezione, cosi ho fatto anche una mammografia... Continuando a sperare... Cattiva? Non so, forse stupida. Avrei tanto voluto che qualcuno dicesse "ecco, ora si che puoi stare in un letto sdraiata a piangere". E chissà, magari avrei potuto infilarci il dca.. Legittimarlo..
    Perciò capisco anche troppo bene ciò che provi... Ma tu scava e continua a scavare nel tuo cuore..con o senza l'approvazione degli altri..
    io non ti so dire se il tuo dolore meriti o meno di essere ascoltato perché sinceramente non lo penso del mio.. Però posso assicurarti che se non ti prendi sul serio tu, è molto difficile che lo facciano gli altri..
    è banale, sentito e risentito ma è cosi...

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    1. La questione dell'egoismo è un'altra cosa che davvero non ho mai capito. L'ho sentito ripetere a M., poi l'hanno detto anche a me: l'anoressia è una malattia da egoisti, perché "non capisci che fai stare male tutti comportandoti così?". Come se io (noi) mi divertissi. Come se non mangiassi per fare un dispetto a qualcuno. Come se pensare ossessivamente di essere grassa, sbagliata, enorme, fosse piacevole.
      I malati sono tutti egoisti. Chi è malato pensa solo a se stesso, al fatto che è malato e vorrebbe invece non esserlo, e tutto il resto è ridimensionato in funzione della malattia. Questo vale soprattutto per le malattie mentali, che si insinuano dentro e si nutrono di ogni nostra debolezza. Io sono egoista, ma non ne sono fiera. Vorrei non esserlo, mi sento in colpa quando torno a casa e invece di rimanere a chiacchierare con i miei corro a pedalare, ma non ce la faccio, è più forte di me.
      Un bacio!

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  11. queste malattie sono invisibili anche perchè i confini tra mente e spirito non sono definiti........somatizziamo le emozioni.le emozioni diventano corpo e il corpo diventa spirito,che anela al desiderio.

    capisco quello che dici.




    ps ti ringrazio per il tuo commento al mio blog...insieme al primo è stato quello che ho gradito di più.
    ancora grazie

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    1. Le conosco bene, le somatizzazioni. Ho fatto periodi a combattere con vertigini, fascicolazioni, dolori dappertutto, ed era "solo" una questione psicosomatica. La nostra mente è così potente, se solo potessimo indirizzarla nella direzione giusta!
      Un bacio!

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